Itinerari abruzzesi: Roccascalegna

12 Ottobre 2007   13:27  
ll castello di Roccascalegna ha la consistenza delle visioni che talvolta si incontrano nei libri, a cominciare “Il Libro di re Ruggiero” del geografo Edrisi, che per primo ne fa menzione. Il merito va soprattutto al sudore degli operai longobardi e poi normanni, che sfidando le vertigini, trasportarono pietre fin sopra la cima adunca di una sfoglia di arenaria e le unirono a creare, a beneficio dei posteri, il soggetto di una gran bella cartolina. Fu nei secoli avamposto militare dei tanti popoli ed eserciti che qui dominarono nei secoli e poi dimora di baroni che stupravano ex-lege le novelle spose del contado. Ora le mura racchiudono, come in uno scrigno, i profumi delle ginestre e delle rose canine. Il Castello è tornato infatti a vivere grazie alla passione dei ragazzi della Proloco del paese, che hanno trasformato il castello in uno spazio espositivo permanente. Per tutta l’estate protagonisti saranno usberghi e camagli, spade con pomo a mandorla e balestre, asce da fianco e faretre porta quadrelli: ovvero l’armamentario dei cavalieri e balestrieri normanni e dei fanti e catafratti bizantini, che insediarono questa rocca da cui i longobardi guardavano in cagnesco il mare. Pezzo forte dell’esposizione è però una fedele riproduzione di una macchina da guerra per il lancio del terribile “fuoco greco”, capace di incendiare l’acqua e terrorizzare il nemico, ignaro del fatto che si esso si spegneva con semplice pipì. Passeggiando negli stretti vicoli ai piedi del castello ci imbattiamo nella bottega del signor Cosmo Cianci. Anche lui talvolta ha un’armatura, brandisce un piccolo affumicatore e comanda un grande esercito, di ben tre milioni di api che producono mieli di tutte le sfumature e profumi. Lupinella e acacia, eucalipto e ciliegio, timo e castagno: nello specchio fluido del miele si riflette tutta la generosità di queste vallate, custodi di una biodiversità di cui solo chi si prende cura della terra può comprendere a pieno il significato. Cosmo prima di diventare apicoltore faceva l’operaio in una delle tante fabbriche della Val di Sangro. “Forse adesso lavoro anche più ore di quelle che facevo in fabbrica, però sono un uomo libero, i miei ritmi sono naturali, produco quello che mi piace, penso di fare una cosa importante per il paese che amo”. E pazienza la tredicesima. Molti visitatori del castello hanno adottato un alveare di Cosmo. Pagano una quota annuale e ricevono a domicilio una fornitura di miele e di altri prodotti, come cera e propoli. In più sono ospitati a Roccascalegna per partecipare in prima persona alla smielatura e all’invasettamento del prezioso nettare. Molto si può imparare dalle tecniche di apicoltura: il miele viene, a livello industriale, pastorizzato, solo per renderlo più fluido e dunque più facile da spalmare sulle fette biscottate. In questo modo però il miele perde molte sostanze nutritive; le comodità talvolta non fanno bene alla salute. Per non parlare delle api: prive di un sistema nervoso evoluto, comunicano alla perfezione e, a differenza di noi meridionali, lavorano alacremente all’unisono e in armonia come fossero cellule di un organismo invisibile. Scriveva Max Stirner: “Nella vita umana molto di più di quanto si pensi dipende dalle api.” E a tal proposito gli sciami degli apicoltori della vallata non hanno subito perdite a causa di veleni disseminati nell’ambiente dai moderni agricoltori e dalle fabbriche. Il ronzio delle api non è dunque solo la minaccia di una puntura, ma un indicatore di ottima qualità ambientale. “Un signore – spiega Cosmo - dopo aver assaggiato il miele, mi chiese se era possibile portarsi a casa l’arnia che aveva che aveva adottato, con tutte le api.” La risposta implicita è che se avesse voluto lo stesso miele da quell´alveare in macchina avrebbe dovuto caricarsi anche i prati e i boschi della Val di Sangro, la Majella e la brezza che soffia dall´Adriatico e in cui si specchiano i trabocchi. La Val di Sangro tutto intorno è immersa nella luce del Mediterraneo, che secondo Fernand Braudel è un crocevia di terra e di acqua, di uomini e saperi, uno spazio che estende i suoi confini fin dove cresce la vite, il grano e l’ulivo. Il Mediterraneo è anche lentezza, e “andare lenti - scrive Franco Cassano – significa rispettare il tempo abitandolo di poche cose di grande valore”. Perciò si può anche concludere questo itinerario nell’ospitale bar del paese, che non applica sovrapprezzi per il superbo panorama che seduti al tavolo si può ammirare. Filippo Tronca

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