La Costituzione tra emergenza e ricostruzione

di Giovanni Incorvati

22 Aprile 2010   18:21  

Un intervento sulla ricostruzione aquilana di Giovanni Incorvati, docente di diritto costituzionale nell'università La Sapienza di Roma ...

''Quest'anno ricorrono diversi anniversari che ci riguardano. Il primo in ordine storico è legato ai provvedimenti in forma di decreti legge che furono presi all'inizio del 1909, a seguito del terremoto di Messina e di Reggio Calabria di fine dicembre 1908. Santi Romano, giurista a quell'epoca già abbastanza famoso, prese lo spunto da queste misure di ordine pubblico per scrivere in quello stesso anno un articolo di carattere teorico che fece epoca fin dal momento in cui apparve.
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Qui, dice, a differenza di tutti gli altri terremoti, c'è stata un'enorme limitazione della libertà che non ha precedenti nella storia dell'Italia unita, e nemmeno in quella dell'Europa degli ultimi decenni. Sulla base dello stato d'assedio proclamato dal governo, la popolazione è stata costretta, a differenza di altre emergenze, ad un esodo forzato sia da Messina che da Reggio. In circostanze simili il governo ha il potere non solo di limitare la libertà e di obbligare con la forza, ma può sospendere o disattivare la giurisdizione ordinaria. Come riconosce Romano stesso, i giudici possono essere sempre un grosso ostacolo, soprattutto nelle emergenze. Allora essi vengono messi da parte, e tutto questo naturalmente limita l'uguaglianza davanti alla legge. Così alle limitazioni della libertà e dell'uguaglianza dovute a cause naturali si aggiungono, con effetti di sinergia, le limitazioni a entrambe, prodotte dall'azione del governo. Secondo Romano è una novità straordinaria che deve farci riflettere, in quanto porta a sconvolgere il quadro giuridico con altrettanta straordinarietà.
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[L'art. 3 c. 2 della Costituzione] riprende in forma rovesciata i concetti espressi da Santi Romano a proposito del terremoto di quaranta anni prima, quando aveva evidenziato la limitazione della libertà e dell'uguaglianza di fronte alla legge. Messo in guardia anche da tali teorizzazioni e dalla loro diffusione, il costituente prospetta qui l'esistenza di ostacoli che, "limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza", impediscono la realizzazione di una serie di altri diritti fondamentali. E proprio per questo stabilisce, all'inizio del comma 2, che "è compito della Repubblica rimuovere" tali "ostacoli".

Quali sono dunque questi diritti fondamentali? Il comma 2 ne cita espressamente un paio: "il pieno sviluppo della persona" e "l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese". Si badi bene: non parla di "tutti i cittadini" ma di "tutti i lavoratori", riconosciuti come parte integrante dell'"organizzazione" della "Repubblica" e del "Paese".

Facciamo il caso, che ci tocca così da vicino, del dopo terremoto aquilano: anche gli immigrati abitanti nella zona del cratere devono poter partecipare con i cittadini alla ricostruzione. Il Governo italiano, la Giunta regionale abruzzese, quella provinciale aquilana e quelle dei comuni del cratere non esauriscono dunque "la Repubblica" né "il Paese", ma devono predisporre tutti gli strumenti idonei a favorire la partecipazione di tutti. La fine di questo secondo comma si collega così, con una connessione ad anello, al suo inizio.

(...)

Nel 2009 a L'Aquila invece il Governo cosa fa? Dà attuazione non alla linea della Costituzione, ma a quella prospettata un secolo prima da Santi Romano, con tutte le implicazioni che ne derivano per la libertà e l'uguaglianza, a cominciare dell'esodo forzato degli abitanti e dall'accumulo al loro posto delle macerie nelle piazze e nelle strade del centro, il cui mantenimento viene fatto coincidere con tutta la durata dello stato di emergenza. Una durata che dovrà protrarsi - ordina il decreto del Presidente del consiglio del 6 aprile, che purtroppo pochi hanno preso la briga di andare a leggere - almeno fino al 31 dicembre 2010. Sul modello sviluppato un secolo prima, la "dichiarazione dello stato di emergenza" è una sorta di dichiarazione di guerra che lancia l'allarme, ma solo a catastrofe ormai avvenuta. L'apparato concettuale qui utilizzato non potrebbe essere più rivelatore della linea di militarizzazione spinta che è stata messa in atto nei campi di accoglienza temporanea aperti tutt'intorno al centro storico de L'Aquila.

Poi, sempre sulla stessa traccia, il 28 aprile 2009 c'è stato il decreto legge n. 39 sul terremoto in Abruzzo, convertito in legge due mesi dopo dal Parlamento (legge n. 77 del 24 giugno). Come sottolineavano poco fa i colleghi e amici, esso ha disposto all'articolo 5 la sospensione dei processi: così, ancora una volta, vengono limitati il diritto alla giurisdizione e l'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. (...)

Inoltre tutto l'insieme di tali misure, sia quando dispongono l'esodo forzato, sia allorché limitano il diritto alla giurisdizione, contravviene alla legge istitutiva della Protezione civile. Come abbiamo appena visto, la legge 225 del 1992 legittima l'azione di governo nell'emergenza, ma solo in quanto venga data attuazione al principio costituzionale della partecipazione. Tuttavia la consultazione dei cittadini viene impedita proprio dall'insieme di tali misure. Infine, alla Protezione civile vengono attribuiti poteri straordinari non solo riguardo alla fase dell'emergenza, ma anche per i compiti propri della ricostruzione. Così queste due fasi, che la legge tiene sempre ben distinte, vengono mescolate e confuse tra di loro in modo del tutto illegittimo. In deroga alle leggi urbanistiche e paesaggistiche (vedi il cosiddetto "piano c.a.s.e."), si mettono i cittadini di fronte al fatto compiuto. Si interviene troppo presto in modo definitivo là dove non si dovrebbe costruire, e troppo tardi là dove occorrerebbe ricostruire. Ma così si impedisce anche l'attuazione di un altro fondamentale principio costituzionale, che riguarda anch'esso i terremoti. Mi riferisco a quello contenuto nell'articolo 9 della Costituzione, che dà una definizione a dir poco innovativa del paesaggio e della sua tutela.

Fino al 1948 la nozione di tutela del paesaggio che circolava in modo pressoché esclusivo, anche a livello internazionale, era quella prevalsa nel già citato congresso di Parigi dell'ottobre 1909. I paesaggi come quadri da apprezzare e da preservare, in quanto rappresentazioni di bellezze fuori dal comune.

Come accennavo, questa idea è legata strettamente a quelle di Santi Romano sullo stato di eccezione. Un modo di vedere sintetizzato da par suo da D'Annunzio con il celebre motto pronunciato nel corso della sua visita a una delle prime realizzazioni del dopo terremoto del 1908, su cui si era polarizzata tutta la sua attenzione, ossia il lungomare di Reggio Calabria, definito da lui come "il più bel chilometro d'Italia".

La "ricostruzione" aveva dato la priorità a operazioni d'immagine che costituivano l'altra faccia, quella più fruibile, di uno stato di eccezione destinato a durare negli anni. L'altra faccia, assai poco estetizzante, di questa medaglia sarà offerta un secolo dopo dalle battute berlusconiane, come quelle sulla vacanza in campeggio degli sfollati aquilani internati nei campi militarizzati, o come quella tutta ideologica sull'alternativa "c.a.s.e. o container", che esclude ogni progettualità e produce solo accozzaglie di abitazioni definitive e alienanti. (...)

Nell'articolo 9 della Costituzione la tutela del paesaggio è inserita e strettamente collegata a un duplice contesto dinamico: da una parte quello dello sviluppo della cultura e della ricerca scientifica e tecnologica (comma 1), dall'altra quello della tutela dell'intero patrimonio storico e artistico della Nazione (comma 2). È perché il paesaggio per sua natura è in movimento, che esso deve essere oggetto della più ampia progettualità.

Ma la formulazione stessa dell'articolo 9 stabilisce anche una connessione logico-temporale immediata con l'articolo 3 comma 2: "È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli" - così comincia quest'ultimo articolo. "La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura" - è questo l'inizio dell'articolo 9. E come potrebbe essa "pro-muovere" sviluppo e tutela, senza prima "ri-muovere" gli ostacoli che impediscono la partecipazione di tutti i lavoratori e senza considerare questi ultimi come parte attiva della Repubblica?

Ecco dunque perfettamente delineate, entro il quadro concettuale offerto dalla Costituzione, le linee operative che essa detta per una situazione come quella del dopo-terremoto a L'Aquila. Tutti sono legittimati a prendere l'iniziativa. E hanno il diritto di dare l'avvio, come lavoratori, alla rimozione, anche simbolica, degli ostacoli. Ostacoli a volte fisici, spesso giganteschi e con una forte componente metaforica, che non solo limitano di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, ma impediscono il pieno sviluppo della persona umana.''

Giovanni Incorvati

 


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