La festa della donna oltre la retorica e le mimose

Precarietà e violenze in aumento

08 Marzo 2010   10:31  

Le origini della festa dell'8 Marzo risalgono al lontano 1908, quando, pochi giorni prima di questa data, a New York, le operaie dell'industria tessile Cotton scioperarono per protestare contro le terribili condizioni in cui erano costrette a lavorare. Lo sciopero si protrasse per alcuni giorni, finché l'8 marzo il proprietario Mr. Johnson, bloccò tutte le porte della fabbrica per impedire alle operaie di uscire. Allo stabilimento venne appiccato il fuoco e le 129 operaie prigioniere all'interno morirono arse dalle fiamme. Successivamente questa data venne proposta come giornata di lotta internazionale, a favore delle donne, da Rosa Luxemburg, proprio in ricordo della tragedia.

Questo triste accadimento, ha dato il via negli anni immediatamente successivi ad una serie di celebrazioni che i primi tempi erano circoscritte agli Stati Uniti e avevano come unico scopo il ricordo della orribile fine fatta dalle operaie morte nel rogo della fabbrica.

Successivamente, con il diffondersi e il moltiplicarsi delle iniziative, che vedevano come protagonistele rivendicazioni femminili in merito al lavoro e alla condizione sociale, la data dell'8 marzo assunse un'importanza mondiale, diventando, grazie alle associazioni femministe, il simbolo delle vessazioni che la donna ha dovuto subire nel corso dei secoli, ma anche il punto di partenza per il proprio riscatto.

Ai giorni nostri la festa della donna è molto attesa , le associazioni di donne organizzano manifestazioni e convegni sull'argomento, cercando di sensibilizzare l'opinione pubblica sui problemi che pesano ancora oggi sulla condizione della donna, ma è attesa anche dai fiorai che in quel giorno vendono una grande quantità di mazzettini di mimose, divenute il simbolo di questa giornata, a prezzi esorbitanti, e dai ristoratori che vedranno i loro locali affollati, magari non sanno cosa è accaduto l'8 marzo del 1908, ma sanno benissimo che il loro volume di affari trarrà innegabile vantaggio dai festeggiamenti della ricorrenza. Nel corso degli anni, quindi, sebbene non si manchi di festeggiare queste data, è andato in massima parte perduto il vero significato della festa della donna, perché la grande maggioranza delle donne approfitta di questa giornata per uscire da sola con le amiche per concedersi una serata diversa, magari all'insegna della "trasgressione", che può assumere la forma di uno spettacolo di spogliarello maschile, come possiamo leggere sui giornali, che danno grande rilevanza alla cosa, riproponendo per una volta i ruoli invertiti.

Per celebrare la festa della donna, bisogna comportarsi come gli uomini?

La disoccupazione femminile in Italia fa aumentare la povertà delle famiglie e abbassa il tasso di natalità
di Isabella Rossi

Nel mondo il 60% degli indigenti sono donne. La povertà delle donne, a livello mondiale ha la sua prima causa nella disoccupazione. Il tasso di occupazione femminile in Italia è attualmente pari al 46,3 %, uno dei più bassi di Europa. Nonostante le donne laureate in Italia siano numericamente superiori ai loro compagni maschi - su 161.445 studenti che hanno conseguito una laurea di primo livello nel 2006, il 57,3% erano donne – a ciò non corrisponde una maggior occupazione.
Drammatico, poi, è il dato che attesta a circa 10 milioni il numero delle donne in età lavorativa, contro i cinque maschili, che hanno rinunciato a cercare un impiego (fonte Isfol 2007). In seguito alla maternità una donna su nove in Italia esce dal mercato del lavoro. Le differenze salariali, nel nostro paese sono cospicue: in generale si registra un 22% in meno per le lavoratrici dipendenti e un 27% in meno per quelle autonome rispetto ai colleghi maschi.
Dal 2005 al 2006 i posti a tempo indeterminato assegnati alle donne sono diminuiti del 4,7% mentre quelli a termine sono aumentati del 3,2%. Un quinto delle lavoratrici, poi, segnala episodi di discriminazione o di mobbing legati al part-time e al rientro dalla maternità.
Ma quali ripercussioni hanno sulla società italiana queste disparità di trattamento? L’aumento della povertà femminile e la discriminazione delle madri nei luoghi di lavoro hanno una evidente e durissima conseguenza per tutti. Su mille persone in Italia nascono 8,4 bambini all’anno. E questo, è chiaro, si ripercuote su tutto il “sistema Italia”.
In altre parole le disparità di trattamento - dovute all’arretratezza culturale di una classe dirigente italiana formatasi mediamente sul finire degli anni trenta, quando ancora le donne italiane non avevano il diritto di voto – generano un impoverimento globale delle famiglie ancorate ad uno stipendio che non regge l’avanzata dei prezzi.
Se da un lato l’equazione meno donne occupate e meno sviluppo economico è chiara ai paesi dell’Europa occidentali – La Commissione Eu impone all’Italia il raggiungimeno del 60% dell’occupazione femminile entro il 2010 -, dall’altro l’attitudine femminile all’imprenditoria viene confermata anche dall’esemplare caso della Grameen Bank. La banca fondata dal premio Nobel Muhammad Yunus - 7,44 milioni di clienti, il 97% donne – è, forse, l’unica banca del terzo mondo che concede crediti anche alle donne negli Stati Uniti.
Intanto in Italia arrivano, in campagna elettorale, due proposte per migliorare le condizioni delle famiglie.
Il Pdl si propone l’introduzione del “quoziente familiare” che andrebbe a tassare maggiormente il reddito delle mogli - che percepiscono meno del marito - e meno quello dei mariti, il Pd propone un incentivo al lavoro di cura gratuito attraverso una riduzione di aliquote fiscali sulle donne che possano “certificare”le spese di cura.
Peccato che in entrambi i casi niente viene fatto per aumentare l’occupazione femminile, penalizzata proprio dalla cultura della discriminazione, dal peso dei lavori di cura gratuiti, dalla differenza dei salari a pari prestazione, dalla mancanza di flessibilità e in genere dalla tradizionale incapacità di partorire nuove strategie economiche per il paese.


Violenza sulle donne: un dramma quotidiano che si consuma quasi sempre in famiglia.

Parlano i dati. E non lasciano scampo. In Italia, la violenza sulle donne (spesso madri), sessuale, fisica e psicologica, è un problema quotidiano. Che si consuma quasi sempre in famiglia. E di cui la maggior parte delle donne fa ancora fatica a parlare. E’ una strage di innocenti, in pieno terzo millennio, in un paese che si ritiene avanzato e paladino della difesa dei diritti umani.

L’indagine Istat. Il 21 febbraio 2007, l’Istat ha presentato i risultati di un’indagine finanziata dal Ministero per i Diritti e le Pari Opportunità con i fondi dell’Unione Europea, per la prima volta completamente dedicata a questo fenomeno.
Venticinquemila donne tra i 16 e i 70 anni, provenienti da tutto il territorio nazionale, formano il campione esaminato. Il metodo usato è stato quello dell’intervista telefonica. I dati si riferiscono al periodo gennaio-ottobre 2006. In pratica l’altro ieri. Informazioni più che attendibili, riportate da tutti i più importanti quotidiani e telegiornali, e di cui si è parlato (finalmente) il 25 novembre scorso, in occasione della “Giornata internazionale contro la violenza sulle donne”. Prima e dopo, il niente. Il tema, come spesso capita, scompare da tutti i grandi media.

Vocabolario. Prima dei dati, però, tre definizioni che forse è meglio non dare per scontate: -Violenza fisica: va dalle forme più lievi a quelle più gravi; si intende la minaccia, per una donna, di essere colpita fisicamente, di essere spinta, strattonata, presa a schiaffi, calci, pugni, colpita con un oggetto, ustionata o minacciata con le armi;
-Violenza sessuale: comprende stupro, tentato stupro, rapporti sessuali non desiderati subiti per paura delle possibili conseguenze, attività sessuali degradanti e umilianti;
-Violenza psicologica: ha varie forme, e spesso molte donne faticano a rendersi conto di essere vittime di una forma di violenza: ne fanno parte, tra le altre, le denigrazioni, il controllo dei comportamenti, le intimidazioni, le limitazioni economiche imposte dal partner e le strategie di isolamento.

Numeri spaventosi. E veniamo ai principali risultati dell’indagine, che riguardano, lo ricordiamo, anche il Sud Italia: sono quasi 7 milioni le donne che hanno subito uno (o più insieme) dei tre tipi di violenza (citati sopra) nel corso della loro vita.
Il 14,3% delle donne con un rapporto di coppia attuale o precedente, inoltre, è stata vittima di almeno una violenza fisica o sessuale da parte del proprio partner; se poi si considerano solo le donne con un ex partner, la percentuale arriva a toccare il 17,3%.
Il 24,7% delle donne italiane ha invece subito violenze da un altro uomo.
Mentre la violenza fisica è più di frequente opera dei partner (12% contro 9,8%), accade il contrario per quel che riguarda la violenza sessuale (6,1% contro 20,4%), soprattutto per il peso delle molestie sessuali. La differenza, infatti, è quasi nulla per gli stupri e i tentati stupri.

Il silenzio. Il vero problema è che le vittime restano quasi sempre in silenzio: il 96% delle violenze subite da un non partner e il 93% di quelle subite dal proprio compagno, infatti, non sono denunciate. Non crediamo serva aggiungere commenti a questa amarissima realtà.

Gli stupri in famiglia. La maggior parte delle violenze si consuma in ambito familiare, e gran parte delle vittime (e spesso si parla di madri con figli) ha subito più episodi di violenza nel corso della propria esistenza. C’è da aggiungere che tale violenza ripetuta avviene più frequentemente da parte del partner che dal non partner (67,1% contro 52,9%).
Gli stessi partner, mariti o compagni, sono anche i maggiori responsabili degli stupri (il 69, 7%). Nel 17,4% dei casi, gli autori delle violenze sono comunque conoscenti della vittima. Sono nel 6,2% dei casi, gli autori sono estranei; inoltre, nel 91,1% dei casi gli stupri sono ripetuti, e nell’ 11,2% la donna era in cinta. Il contrario di quello che vorrebbero farci credere i mass media. Altro che extracomunitari, quindi. Come si deduce facilmente dai dati, dunque, per una donna il rischio di subire uno stupro (piuttosto che un tentativo di stupro) è tanto più elevato quanto più è stretta la relazione tra autore e vittima.

La violenza psicologica. Sette milioni 134 mila donne hanno subito o subiscono violenza psicologica in Italia: le forme più diffuse, in questo caso, sono l’isolamento o il tentativo di isolamento (46,7%), il controllo (40,7%), la violenza economica (30,7%), la svalorizzazione (23,8%) e le intimidazioni nel 7,8% dei casi.
Il 43,2% delle donne ha subito violenza psicologica dal proprio partner attuale. Di queste, 3 milioni 477 mila ne sono state vittima sempre o spesso (il 21,1%); 6 milioni 92 mila donne hanno invece subito solo violenza psicologica dal partner attuale (il 36,9% delle donne che attualmente vivono in coppia); 1 milione 42 mila donne hanno subito, oltre alla violenza psicologica, anche quella fisica o sessuale.

La violenza in famiglia non è percepita come reato. Può sembrare incredibile, ma sono tantissime le donne che spesso non si rendono conto di essere vittime di violenza, e considerano normali tali comportamenti. Ciò avviene nei troppi casi in cui la violenza si verifica in famiglia, e spesso è accompagnata da un claustrofobico clima di omertà. Infatti, il 21,3% delle vittime, pur avendo avuto la sensazione che la propria vita fosse in pericolo in occasione della violenza subita, non l’ha considerata un reato. Solo il 18,2% delle donne pensa alla violenza subita in famiglia come tale (e quindi degna, almeno in teoria, di essere denunciata); per il 44% si è trattato semplicemente di “qualcosa di sbagliato”; mentre, per il 36%, solo di “qualcosa che è accaduto”. Anche nel caso di stupro o tentato stupro, solamente il 26,5% delle donne lo ha considerato un reato.

Le conseguenze della violenza subita. Le donne che hanno subito più violenze dai propri partner, in quasi la metà dei casi hanno sofferto, a seguito di esse, di perdita di fiducia e autostima, di sensazione di impotenza (44,9%), disturbi del sonno (41,5%), ansia (37,4%), depressione (35,1%), difficoltà di concentrazione (24,3%), dolori ricorrenti in diverse parti del corpo (18,5%), difficoltà a gestire i propri figli (14,3%), idee di suicidio e autolesionismo (12,3%).

L’ultima “novità”: lo “Stalking”. Il fenomeno dello “stalking”, di cui si è molto parlato negli ultimi mesi, è in realtà strettamente connesso al tema della violenza psicologica. Si tratta di comportamenti persecutori ai danni delle donne (e sono due milioni e 77mila quelle che in Italia hanno subito tali forme di violenza) da parte dei partner al momento della separazione o in seguito ad essa.
Ora vediamo in pratica cosa sono costrette a subire queste donne: il 68,5% dei partner cerca insistentemente di parlare con contro la loro volontà; il 61,8% chiede ripetutamente appuntamenti per incontrarle; il 57% le aspetta fuori casa, o a scuola, o al lavoro; il 55,4% invia loro messaggi, telefonate, e-mail, lettere o regali indesiderati; il 40,8% le segue o le spia; l’11%, infine, adotta altre strategie. Quasi il 50% delle donne vittime di violenza fisica o sessuale da un partner precedente ha subito anche lo stalking.

E i figli? Chiudiamo con un ultimo dato, che ci riporta, in parte, all’intervista a Concita De Gregorio: 690 mila donne hanno subito violenze ripetute da partner e avevano figli al momento della violenza. Il 62,4% ha dichiarato che bambini e ragazzi hanno assistito ad uno o più episodi di violenza. Nel 19,6% dei casi vi hanno assistito “raramente”, nel 20,2% “a volte”, nel 22,6% “spesso”.

Conclusioni. Inutili ulteriori considerazioni a questo dramma nazionale. Donne e uomini, madri e padri, amici e parenti omertosi (oltre, evidentemente, ai mass media, a chi governa, e alle autorità che dovrebbero garantire la sicurezza di ogni cittadino) possono solo rendersi conto in fretta di quanto fino ad oggi è accaduto. E da qui ripartire. Per il bene e il futuro di tanti figli incolpevoli. A. Pr.

FONTE www.italiadonna.it


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