Manovra, rinviato il taglio degli stipendi parlamentari. I tempi? E' questione di fiducia...

13 Dicembre 2011   10:39  

"Salvi gli stipendi parlamentari". E' uno dei titoli più ricorrenti sui pochi quotidiani oggi in edicola, ma comunque visibili nelle versioni online.

La notizia, che già fa infuriare i più e infiamma il dibattito sui social networks, è la decisione del governo di rinunciare ad ogni intervento sui ricchi emolumenti di cui godono deputati e senatori.

Un emendamento alla manovra, presentato dallo stesso esecutivo, infatti, stabilisce che sarà il Parlamento a provvedere al taglio degli stipendi adeguandoli alla media europea.

Il testo del decreto approvato dal Consiglio dei ministri stabiliva che dovesse essere il governo, con un  decreto, ad adeguare gli stipendi dei parlamentari in base ai risultati della commissione Giovannini, al lavoro da settembre per individuare la media dei trattamenti economici dei parlamentari europei. Poiché questa norma ha creato polemiche sul rischio sul rischio che potesse essere intaccata l'autonomia delle camere, l'emendamento del governo ora prevede che "il Parlamento e il governo, ciascuno nell'ambito delle proprie attribuzioni, assumono immediate iniziative idonee a conseguire gli obiettivi".

La nuova norma non solo non fissa un termine preciso, ma è alquanto discutibile nel merito: l'argomentazione presa ad alibi per rinviare ogni decisione è relativa ad una presunta violazione della sovranità dei due rami del Parlamento che ci sarebbe stata in caso di intervento da parte dell'esecutivo.

Nel solo triennio 2008-2011 il governo di Silvio Berlusconi ha posto la fiducia su propri provvedimenti per 50 volte. Non era stato da meno il predecessore, Romano Prodi ne aveva chieste una trentina.

La questione di fiducia, che comporta che tutti gli emendamenti decadono e la legge deve essere votata così come è stata presentata, è notoriamente uno strumento antiostruzionistico, proprio perchè annienta ogni discussione in Aula e ogni possibilità di proporre modifiche ai testi di legge proposti dal governo.

E', di fatto, una sospensione della sovranità parlamentare. Proprio quella che, oggi, nessuno si è voluto permettere di violare.


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