Massimo Bossetti si Sfoga: "Ingenuo e Stupido, ma Non un Assassino"

01 Luglio 2016   16:55  

"Sarò un ingenuo, uno stupido, ma non sono un assassino". E' l'ultima difesa in aula di Massimo Bossetti accusato dell'omicidio di Yara Gambirasio. Nelle sue dichiarazioni spontanee, l'imputato si rivolge ai giudici della Corte d'Assise di Bergamo: "Se mi condannerete questo sarà il più grave errore giudiziario di questo secolo".

E' teso Bossetti quando inizia a parlare: non frasi a braccio, ma pagine scritte fitte su alcuni fogli chiusi in una cartellina rossa. Dichiarazioni spontanee, durate circa 40 minuti, che chiudono il processo di primo grado.

"Sono un ignorante ma non sono un assassino. Sono più che certo - afferma Bossetti - che si è verificato un errore" sulla prova regina del Dna, "fatemi ripetere l'esame. Se fossi l'assassino sarei un pazzo a dirvi di ripetere l'esame".

"Sono estremamente sicuro che quel Dna non è mio. Vi supplico, vi imploro - dice rivolto ai giudici - di fare questa verifica. Datemi questa possibilità perché il risultato vi darebbe sicuramente la verità su di me". Per Bossetti "è impossibile" che la traccia biologica trovata sugli indumenti della vittima sia sua perché "non solo non ho ucciso Yara, nemmeno l'ho mai conosciuta, neppure un contatto ho avuto".

E "nonostante le tante insistenze di farmi confessare, le accuse infamanti nei miei confronti, non ho mai accettato il rito abbreviato. Io voglio, intendo, uscire a testa alta da questo ingiusto impianto accusatorio. Mai e poi mai chiederò uno sconto di pena perché le persone che hanno la coscienza pulita non devono chiedere nulla".

"La mia vita è rovinata, io sto già scontando l'ergastolo, sono da due anni in carcere. Mi rendo conto che è difficile assolvere Bossetti, ma è molto più difficile sapere di avere condannato un innocente" conclude l'uomo che ricorda "i milioni di euro spesi" per cercare il colpevole del delitto, sottolineando che "la morte della ragazzina meritava tutto l'impegno possibile, ma le indagini si sono indirizzate "su una sola persona decisamente sbagliata".

"Restando nelle vostri mani accetto il verdetto qualunque esso sia perché pronunciato in buona fede - le parole di Bossetti rivolto ai giudici - Quello che vi chiedo è su quali prove, come posso accettare tutte queste inspiegabili anomalie? Come fate a condannare una persona assolutamente innocente e alla luce di quali prove emerse con assoluta certezza? Non esiste nessuna piena certezza, nessuna certezza su nulla, nessuna compatibilità su niente".

Dopo le dichiarazioni spontanee di Bossetti i giudici si sono riuniti in camera di consiglio per emettere il verdetto. La sentenza è attesa dopo le 20. Tre le ipotesi per l'imputato: ergastolo con isolamento diurno per sei mesi come chiesto dal pm Letizia Ruggeri, una condanna 'ammorbidita' da possibili attenuanti per il muratore incensurato o la libertà immediata dopo due anni in carcere.

L'INCHIESTA - Tanti gli elementi di un'inchiesta, racchiusa in 60 faldoni, che ha come prova regina il Dna. La pistola fumante per l'accusa, un colpo a salve per la difesa.

La traccia mista - forse sangue - trovata sugli slip e sui leggings della 13enne scomparsa da Brembate il 26 novembre 2010 appartiene alla vittima e a 'Ignoto 1' poi identificato in Bossetti. Ma in quella traccia il Dna mitocondriale (indica la linea materna, ndr) non corrisponde all'imputato. "Un'anomalia che non inficia il resto: solo il Dna nucleare ha valore forense", sostiene l'accusa. Un "mezzo Dna contaminato" la cui custodia e conservazione "sono il tallone d'Achille" di un processo "indiziario", ribattono i difensori Claudio Salvagni e Paolo Camporini.


E' un'indagine faticosa, con numeri record e che non trascura nessuna pista, quella che porta a identificare il padre naturale di Bossetti (Giuseppe Guerinoni di cui sarà necessario riesumare la salma), quindi la madre che ha sempre negato la relazione clandestina.

Un percorso che dimostra la genuinità dell'inchiesta: "Si è partiti da un Dna che non si conosceva" per arrivare a un uomo "nato e cresciuto in queste zone. Non sapevamo chi fosse, non era un sospettato, e ciò sgombra il campo dall'idea di voler trovare a tutti i costi un colpevole", le parole del pm Ruggeri nella sua requisitoria. Provette e reperti di cui i legali di Bossetti contestano i risultati e che, in ogni caso, "sarebbero un indizio non preciso di un contatto e non di un omicidio".

Un delitto non premeditato senza testimoni oculari, in cui resta ignoto il movente, dove si può ricostruire solo in parte quanto accaduto. E il corpo di Yara, trovato il 26 febbraio 2011 in un campo abbandonato di Chignolo d'Isola, a restituire la trama dell'aggressione - colpita alla testa e accoltellata più volte con armi mai trovate morirà di stenti dopo una lunga agonia - a conservare possibili indizi di chi l'ha portata via mentre dalla palestra tornava a casa.

A incastrare Bossetti ci sarebbero altri elementi: i passaggi del furgone davanti al centro sportivo e le fibre tessili sulla vittima compatibili con la tappezzeria del suo Iveco; le sferette metalliche su Yara che rimandano al mondo dell'edilizia o l'assenza di alibi e il suo tentativo di fuga il giorno dell'arresto. Indizi su cui la difesa ribatte mettendo in dubbio anche il luogo dell'omicidio. Il furgone immortalato non è di Bossetti e l'allineamento degli orari delle telecamere non combacia con i tempi dell'accusa; le sfere e le fibre non riconducono con certezza all'imputato, il quale non è mai scappato.

Sarà il presidente della corte, Antonella Bertoja, a leggere la sentenza. Anche per la lettura del dispositivo le telecamere resteranno fuori, dopo le minacce indirizzate al pm e alla corte. Quello di oggi è il primo passo per conoscere la verità sull'omicidio della giovane ginnasta.


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