Michael Jackson. Genio e martirio

Storia del mito e della fragilità umana

27 Giugno 2009   10:55  

La sua morte è giunta poche ore dopo quella di Farrah Fawcett, l’angelo biondo più famoso d’America, simbolo di bellezza planetaria e strumentalizzazione mediatica del dolore. Come per la nota charlie's’angel al piccolo Michael non è stato permesso di crescere, tantomeno di invecchiare. Figli di un’epoca fortemente votata all’immagine corporea del sé, sono stati abbandonati dal loro stesso corpo, tradito, malato, mutilato, martoriato in nome di un ideale che non è categoria dello spirito, ma dogma pericolosamente umano della finzione elevata a sistema.

Una figura avvolta dal mistero quella di “Jacko”, come amano definirlo i tabloid americani. Nato nel 58 a Gary, nell’Indiana, Michael Joseph Jackson compare sul Pianeta in un momento storico ancora particolarmente focalizzato su razza e ceto sociale. Settimo figlio dei musicisti Joseph Walter Jackson e Katherine Scruse, il piccolo Michael viene scoperto da un mondo adulto profondamente colpito dalla sua precoce e geniale vocazione artistica, ma del tutto indifferente alla tenera e sguarnita personalità umana del bambino che pure esiste in lui. Un tradimento affettivo che lo segnerà a vita e che raggiungerà l’apice nella costruzione, da musicista adulto e affermato, dell’enorme parco a tema Neverland(Santa Barbara, California), l’Isola che non c’è, grottesco e mediatico teatro di una sindrome di Peter Pan mai completamente superata, e della quale tutto sembra indicare sia rimasto vittima.

Alla tenera età di 5 anni Michael viene infatti esibito come ballerino, percussionista e vocalist innovativo nella band dei fratelli maggiori, con i quali formerà lo storico gruppo dei Jackson Five. Manipolato e gestito dal padre (secondo le fonti musicista frustrato e violento)come inestimabile macchina da successo, il futuro Re del pop affronta recite, spettacoli e concerti senza sosta, fino a scalare le classifiche mondiali e imporsi al grande pubblico come bambino prodigio. Ma è un bambino di colore, e qualcuno- paradossalmente lo stesso padrone di casa Jackson- gli fa notare il naso troppo grande, decisamente afro, fastidioso dettaglio da ridimensionare, scolpire, mutilare secondo il gusto bianco dello star system americano, all’epoca ancora pienamente intriso di perfezionismo e culto dell’immagine. Un particolare anatomico contro il quale l’eterno Peter pan di Gary farà i conti per tutta la vita, arrivando a dimezzarlo, rendendolo infetto e inoperabile.

Artisticamente superiore al resto della -pur talentuosa- famiglia, Michael si sgancia dai Jackson Five e dalla leggendaria casa discografica Motown, per intraprendere come solista quella che sarebbe stata, di lì a breve, la strada di una celebrità e di un successo planetario ancora oggi rimasti indiscussi . L’ascesa della giovane stella prende velocità nel 78,quando durante le riprese del film "The Wiz"( in cui recita accanto a Diana Ross e del quale scrive la colonna sonora) viene in contatto con il noto "tuttofare dell’R&B" Quincy Jones. Un incontro alchemico che nell’arco di qualche anno lo condurrà all’incisione dell’album  più venduto di tutti i tempi meglio noto come "Thriller": è il 1982 e una nuovo modo di fare musica si impossessa delle classifiche di tutto il mondo. Le radici nere del jazz si mescolano alla leggerezza visuale del pop moderno creando arrangiamenti dove l’incontro degli opposti raggiunge livelli tali da rendere indistinguibile qualsiasi risonanza razziale o di classe.

Se il tentativo di Michael di fondere le categorie del bianco e del nero riesce pienamente nella musica, lo stesso non può dirsi della vita privata, dove l’aspirazione all’unità del giovane cantante, dolorosamente s’infrange contro i limiti di un’immagine anatomica avvertita come ingombrante, malvoluta, e forse persino odiata. Se l’ex suocero Elvis era stato ingaggiato perché “bianco con una voce da nero”, con Michael il mondo mediatico si fa più sottile e ambiguo, suggerendogli un’immagine che rifletta almeno a sufficienza l’ideale bianco del lineamento adolescenziale, acerbo, svincolato da una dimensione anagrafica che già comincia a pesare sulle mire di quanti ne gestiscono beni e vita finanziaria. Sono gli anni della chirurgia plastica, del continuo sbiancamento dell’epidermide, della leggendaria camera iperbarica, dei matrimoni falliti, delle mascherine indossate in pubblico, un pubblico sempre più incuriosito dall’oggetto della sua idolatria, sfuggente, etereo irreale.

Come nel Ritratto di Dorian Gray il protagonista della nostra storia si sdoppia in due esseri opposti, da un lato la stella più luminosa del firmamento pop con i suoi 270 milioni di dischi venduti in tutto il mondo, il suo celebre passo di danza Moonwalk(lanciato nell’83 durante l’interpretazione della splendida Billie Jean in occasione dei 25 anni della Motown), l’icona mondiale di We Are the World, scritto a scopo benefico assieme al collega Lionel Richie, dall’altro il fragile e ambiguo Peter Pan di Neverland Ranch, accusato di pedofilia e poi scagionato, il caso psichiatrico di dimorfismo corporeo più famoso al mondo, simbolo e vittima sacrificale di una società vincente all’esterno e perduta dentro, dolorosamente ignara che senza amore anche il genio più grande è destinato a fallire.

La verità è che Michael era entrambi i suoi volti. Geniale, sensibile e generoso aveva davvero costruito il suo Ranch per i bambini poveri e bisognosi. Poi però gli spettri di un’infanzia negata, vissuta al gelo di una gestione familiare priva di tenerezza e per nulla incondizionata deve essere riaffiorata, portandolo ad ammutinarsi in compagnia del suo esercito bambino nell’Isola che non c’è.  Struggente e misterioso “non luogo”, dove ogni regola del mondo adulto, ogni dualismo giusto-sbagliato, vero-falso, bianco o nero … semplicemente, cessavano di esistere.

Addio Michael. Grazie.



 

«Il mio obiettivo nella vita è quello di dare al mondo ciò che ho avuto la fortuna di ricevere: l'estasi della divina unione attraverso la mia musica e la mia danza.»

«Ero già un veterano prima di essere adolescente.»

«Mi sento come uno di tanti. Se mi taglio sanguino. E mi imbarazzo facilmente.»


Michael Jackson









Giovanna Di Carlo


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