Omicidio Loris, "Così è Morto Mio Figlio". Confessione shock di Veronica Panarello

20 Novembre 2015   06:14  

Quello che ha raccontato da subito non era frutto di fantasia, ma «ciò che ho sempre ritenuto fosse accaduto». Lo afferma Veronica Panarello, nella sua deposizione alla Procura di Ragusa, spiegando di «avere preso coscienza dei fatti sin dallo scorso mese di luglio». E, cioè, che lei a scuola non Loris non lo aveva portato. E da quando ha realizzato quello che era veramente successo, di fronte alla visione della verità dei fatti, ha «patito un peso enorme di cui volevo assolutamente liberarmi».

Dopo avere portato il corpicino del bambino, che secondo la sua ricostruzione è morto mentre giocava con delle fascette, nel canalone, si è recata a un corso di cucina a Donnafugata. E lì, fa mettere a verbale il 13 novembre scorso, «ho incominciato a rimuovere il ricordo di ciò che avevo fatto, rappresentandomi in realtà che avevo lasciato Loris a scuola».

Per Veronica Panarello è «stato un brutto sogno che avevo fatto». Quindi è tornata a Santa Croce Camerina e «in totale stato di confusione sono scesa dall'auto nella convinzione di prendere il bambino».

LA CONFESSIONE CHOC «Era in piedi, con il busto reclinato in avanti e la mani poggiate sul petto, ho pensato che avesse difficoltà a respirare per avere ingerito qualcosa che gli era andato di traverso». Così Veronica Panarello ricostruisce ai magistrati della Procura di Ragusa la scena del drammatico «incidente» che, secondo la sua versione, avrebbe causato la morte di suo figlio Loris. Lei, fa mettere a verbale il 13 novembre scorso, tenta di soccorrerlo «battendogli gli schiena» e anche «cercando di mettergli una mano in bocca», ma «era serrata» e non riusciva ad aprirla.

Quando il bambino, «violaceo in viso», «si accascia in posizione supina», Veronica Panarello, dice, ha «potuto notare che il collo era cinto da una fascetta, le stesse che aveva ai polsi» e che si era messo per giocare «la sera prima». Tenta quindi disperatamente di togliere la fascetta, di strapparla «anche con le unghie», senza riuscirci. Per questo la taglia con «la forbice arancione». «Ho poggiato la mia guancia sulla sua bocca - aggiunge la donna - per potere udire il suo respiro, ma non sentivo nulla». Il primo istinto, sostiene davanti ai Pm, è stato quello di chiamare aiuto con il cellulare, ma, «mi sono bloccata - spiega - e ho pensato che non avrei saputo come giustificare quanto accaduto».

Quindi la decisione di portare via il corpicino di Loris caricandolo sulla sua auto. «Mi sono diretta verso Punta Secca - sostiene - non sapendo ancora dove andare, combattuta tra chiedere soccorso e il dubbio su come avrei potuto giustificare l'accaduto». Poi l'arrivo a Mulino Vecchio dove lascia il cadavere del figlio per tornare a casa, recuperare indumenti e zaino del figlio, buttati via mentre va al corso di cucina, dove tutto diventa «un brutto sogno che avevo fatto».


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