Ordine Giornalisti Vs. Barbara D'Urso il Presidente Iacopino Rincara la Dose

Nuove riflessioni contro il simbolo della "TV del Dolore"

10 Dicembre 2014   06:37  

Rincara la dose il presidente nazionale dell'Ordine dei Giornalisti, Enzo Iacopino, contro la presentatrice ed ex giornalista Barbara D'Urso.

Iacopino aveva denunciato la presentatrice Mediaset a fine novembre per "esercizio abusivo della professione giornalistica" criticando aspramente le modalità di trasmissioni come Pomeriggio 5 e Domenica Live.

Uno stile "simil-giornalistico" che per il presidente dell'Ordine non poteva più essere tollerato oltre tanto da generare "falsi" servizi e approfondimenti giornalistici.

Iacopino aveva ottenuto la sospensione dei due programmi (alcuni maligni dicono, però, che Mediaset abbia voluto fare solo una pausa natalizia .ndr) e così pareva che il sereno fosse tornato, invece no.

Infatti qualche giorno fa lo stesso presidente dell'Ordine è stato costretto a "rincarare la dose" o meglio chiarire la posizione dei giornalisti e personale nei confronti della conduttrice, non della persona, si badi bene.

Una riflessione attenta che sottolineamo e sottocriviamo mentre colleghi di importanti testate continuano a "mandare in onda" su carta stampata, web e tv il malore mortale di Mango, le foto del piccolo Loris e l'accanimento nel pubblicare questo o quel feticcio (che spesso è, però, molto richiesto e visto dal pubblico .ndr).

Di seguito la riflessione su Facebook di Enzo Iacopino Presidente Nazionale dell'Ordine dei Giornalisti.

BARBARA D'URSO, I SUO FAN, I COMICI E I DIRITTI DEGLI ULTIMI.

Mettetevi comodi: è un post molto lungo, dal quale rimuoverò non già i commenti critici, ma gli insulti e le volgarità nei confronti di chiunque. Con la preghiera di limitare gli interventi plurimi - così abbiamo spazio per confrontarci tutti - per i quali si può ben usare il profilo personale, invece di pubblicarvi foto di torte e ricette di cucina.

La signora D'Urso dopo quattro anni di iscrizione all'Ordine si è dimessa, nel 1999, perché voleva, da libera cittadina, fare danaro con la pubblicità. Era ed è suo diritto. I giornalisti hanno regole deontologiche, che lei conosceva, e debbono fare informazione, da freelance o sotto testata giornalistica, rispettandole.

Queste regole non riguardano solo la pubblicità, ma, in senso lato, il rispetto della verità e delle persone.

Lei ha un "suo" modo di fare tv: le faccette, gli occhi umidi, una straordinaria capacità di passare in un attimo dalle lacrime a stento trattenute a sorrisi smaglianti. Ha un suo pubblico.

Sono cittadini che provano piacere nel sapere quanti amanti, veri o presunti, ha avuto una signora assassinata, ad esempio.

Non intendo mancare loro di rispetto, neanche riducendo il tutto al bisogno di avere compagnia pomeridiana o di sapere tutto, ma proprio tutto, anche il tutto che spesso poi si scopre che non c'è.

Un "tutto" enfaticamente "esclusivo", prevalentemente negativo, pruriginoso per scelta, ammiccante per necessità in modo da far sentire chi guarda migliore dei protagonisti-vittime delle trasmissioni.

È uno degli aspetti della libertà. L'altro è che possono esserci cittadini i quali questo modo di fare informazione ("un piacere e un dovere", dice la signora D'Urso) possono non gradirlo.

L'obiezione che basta il telecomando per fare una scelta è non solo miope, ma un inno all'egoismo.

È una riflessione che affido ai tanti fan della signora D'Urso, non ai "comici" interessati al suo salotto per promuovere un qualche loro libro o per trovare attenuanti a quel certo modo di "fare informazione", da loro spesso condiviso. Magari ricorrendo ai plastici, per sceneggiare la morte di un bimbo. O facendo vedere schizzi di sangue sulle pareti di una casa di montagna. O esibendo le foto di un cadavere sul tavolo di un obitorio. O pubblicando fotografie di parti del corpo di una bambina alla quale dopo la vita si strappa pure la dignità di essere umano.

La prima volta in cui ho detto che "non è un tesserino a fare di una persona un giornalista" è stato nel maggio del 2009.

Ero accanto a Pino Maniaci, direttore della Tv antimafia Telejato, che veniva processato a Partinico per esercizio abusivo della professione giornalistica. Fu assolto anche grazie alla mie dichiarazioni.

Spiegai che la legge prevede un percorso di attività per due anni, prima di diventare pubblicista.

La signora D'Urso quel percorso ha scelto di farlo, accettando le regole deontologiche scritte per tutelare i diritti dei cittadini. Ma poi ha rinunciato all'iscrizione per ragioni materiali: il danaro della pubblicità.

Un'opportunità che aumenta in modo direttamente collegato alla notorietà.

Per mantenere e incrementare la quale c'è chi è pronto a passare sui diritti più elementari.

Quelli dei morti e quelli dei vivi. Quelli degli adulti e quelli dei minori. I vostri, quelli di vostri amici, dei vostri figli o dei vostri nipoti.

Il problema più grave non è dare informazione senza essere iscritti all'Ordine dei giornalisti.

La norma esiste, nel codice, e riguarda tutte le professioni e nessuno l'ha mai sospettata di ledere l'articolo 21 della Costituzione. Chi obietta che deve valere per medici e architetti, ma non per limitare l'uso delle parole, finge di non sapere che queste, usate male, possono uccidere più di un bisturi adoperato in modo approssimativo o di un calcolo di costruzione anche parzialmente sbagliato. Siamo distratti, purtroppo, e ci rendiamo conto di questo solo quando le parole toccano noi o i nostri cari.

L'iscrizione all'Odg non è garanzia di qualità dell'informazione.

Né assicura rigoroso rispetto della verità e delle persone (quale che sia la loro colpa, vera o presunta; il colore della pelle; la fede religiosa; il credo politico; la loro condizione sociale o economica). Ma il giornalista che si rende responsabile di violazioni deontologiche sa che rischia una sanzione che può arrivare ad impedirgli l'esercizio della professione. Regole fissate a tutela dei diritti dei cittadini, non della "casta" (una "casta" alla quale appartengono migliaia di colleghi pagati 3 o 5 euro ad articolo).

I giornalisti sono responsabili di errori. SÌ.

Qualcuno di loro si fa parte o portavoce di interessi di parte. SÌ.

Quando accade, l'Odg - con i limiti di una legge che l'Ordine subisce anche nelle parti che non condivide - interviene con i procedimenti disciplinari.

L'Odg, nel suo insieme, commette errori. SÌ: ne ho tormentata consapevolezza.

Ma l'obiettivo, SEMPRE, è il tentativo di tutelare al meglio il diritto dei cittadini.
Ecco perché non basta il telecomando. L'uso di questo prezioso strumento è come guardare dall'altra parte.

Vi piacerebbe se la cosa riguardasse voi e i vostri amici, i vostri figli o i vostri nipoti? Non vi piacerebbe.

Siamo un Paese che si commuove per tanti diritti negati nel mondo. Un Paese che dona con il cuore il poco che ormai ha per costruire pozzi o vaccinare bambini nella non più lontana Africa. Un Paese capace di indignarsi per l'uccisione di un giovane nero nei lontani Stati Uniti.

Un Paese che dovrebbe trovare l'orgoglio di chiedere rispetto per Elena Ceste e i suoi quattro figli minorenni. Quel rispetto che ha negato, senza trarne insegnamento, a Sarah Scazzi.Hanno cuore, testa, sangue come i nostri bambini. La loro stessa innocenza.

Un rispetto che non deve consistere nella cancellazione della verità, ma che dobbiamo recuperare da soli, come cittadini perché le varie autorithy, alcune lautamente retribuite con i nostri soldi, continuano a non dare segni di vita.

Il loro telecomando sembra rotto: guardano solo dall'altra parte, vivono la loro comoda vita.
I diritti degli ultimi? Buoni propositi per la notte di Natale.


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