"Penso dunque sono": il NO alla legge bavaglio

In tutta italia contro il ddl intercettazioni

01 Luglio 2010   08:30  

Oggi si manifesta, per non rimanere in silenzio, per dire a no a chi vuole mettere a tacere il pensiero in nome del bene comune.

Si manifesta contro la legge bavaglio, contro il disegno di legge che dovrebbe essere discusso alla Camera il 29 luglio.
Oggi la manifestazione sarà popolare, lo sciopero vero, quello indetto dalla Fnsi è per il 9 luglio prossimo.

Il bavaglio stordisce, ci priva della parola, ma quando il bavaglio è mentale ci rende muti di pensiero, quell'elemento umano che contraddistingue come esseri "superiori" diversi dalle bestie in cui il pensiero è elementare, molto simile al riflesso.

 Il pensiero, quello libero, quello che non risponde a dettami ideologici, fa paura, perché la sua forza distruttiva è inimmaginabile. "Penso dunque sono" diceva Cartesio, dunque agisco, dunque reagisco.

E se il bavaglio è su ciò che si scrive il danno è profondo: si priva l'intelletto di chi legge di arricchirsi attraverso l'acquisizione di nuovi elementi che stimolano la riflessione e aumentano le conoscenze, e si ottiene un risultato spaventoso: la non conoscenza, il silenzio.
Il pensiero diffuso tra le persone" è che il problema della legge bavaglio sia un problema di una nicchia, di una casta, non certo delle persone qualsiasi che di problemi ne hanno altri: le tasse, la disoccupazione, il caro vita. Ecco il punto.
L'informazione, quella corretta che si fa servizio al cittadino, serve a tutti. Serve a sapere, serve a conoscere, serve a non chiudere gli occhi, serve a tenere alta l'attenzione. Nel nostro paese non c'è la tradizione, tutta americana, della stampa "cane da guardia del potere".
Cane da guardia sì: "tu politico se sbagli, lo fai solo e sempre a danno dell'elettore, del cittadino che rappresenti. Allora io giornalista sono lì a guardarti perché tu non cada nell'errore, ma se errore c'è, deve essere apertamente noto a tutti. Perché la democrazia è partecipazione. Oggi ti voto, tu domani sbagli, io lo so e dopodomani se voglio, non ti rivoto". Questo controllo, questa consapevolezza, questa libertà di pensiero, e quindi di azione, è ciò che spaventa i teorizzatori della legge bavaglio alias ddl intercettazioni.
In America si dice che "il miglior disinfettante sia il sole" ovvero le notizie brutte, quelle fanno paura, devono uscire fuori, solo così potranno essere curate.
Il ddl in via di approvazione compie un atto grave quando va oltre il diritto sancito dalle leggi: l'articolo 21 della Costituzione proclama il diritto alla libertà d'informazione senza limiti diversi dal buon costume, vietando le autorizzazioni e le censure, cioè gli strumenti di asservimento della stampa conosciuti sotto il fascismo.
Oggi anche la Convenzione europea dei diritti dell'uomo, è l'altra base sicura del diritto alla libertà della stampa.
L'art. 10 comm 2 della Convenzione ammette "formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni", ma solo quando siano "misure necessarie in una società democratica" per tutelare certe esigenze di sicurezza, ordine pubblico, ecc., che non ricorrono nel caso della legge italiana.
La Corte europea ha inoltre precisato che le limitazioni possono derivare solo da "bisogni sociali imperativi" (non esigenze di funzionamento di pubblici poteri), che le misure prese "non devono essere di natura tale da dissuadere la stampa dal partecipare alla discussione di problemi di legittimo interesse generale" e, che quando c'è di mezzo il diritto all'informazione, "il potere di apprezzamento degli Stati si arresta di fronte all'interesse delle società democratiche ad assicurare e mantenere la libertà di stampa".
Oggi si manifesta perché si mantenga viva l'attenzione su ciò che ci accade intorno, per non essere schiavi nella non conoscenza. Ben prima di questi tempi oscuri Alexis de Tocqueville, filosofo e storico francese della prima metà dell'ottocento, aristocratico ammirato e turbato da questa mostruosità chiamata democrazia sosteneva "la libertà di informazione è la sola difesa reale contro la tirannide della maggioranza".

(Barbara Bologna)

Perché non bisogna approva il ddl lo spiega molto bene Roberto Saviano, dalle pagine di Repubblica.

Ecco perché bisogna fermarla
di ROBERTO SAVIANO
La Legge bavaglio non è una legge che difende la privacy del cittadino, al contrario, è una legge che difende la privacy del potere. Non intesa come privacy degli uomini di potere, ma dei loro affari, anzi malaffari. Quando si discute di intercettazioni bisogna sempre affidarsi ad una premessa naturale quanto necessaria. La privacy è sacra, è uno dei pilastri del diritto e della convivenza civile.
Ma qui non siamo di fronte a una legge che difende la riservatezza delle persone, i loro dialoghi, il loro intimo comunicare. Questa legge risponde al meccanismo mediatico che conosce come funziona l'informazione e soprattutto l'informazione in Italia. Pubblicare le intercettazioni soltanto quando c'è il rinvio a giudizio genera un enorme vuoto che riguarda proprio quel segmento di informazioni che non può essere reso di dominio pubblico. Questo sembra essere il vero obiettivo: impedire alla stampa, nell'immediato, di usare quei dati che poi, a distanza di tempo, non avrebbe più senso pubblicare. In questo modo le informazioni veicolate rimarranno sempre monche, smozzicate, incomprensibili. L'obiettivo è impedire il racconto di ciò che accade, mascherando questo con l'interesse di tutelare la privacy dei cittadini.

Chiunque ha una esperienza anche minima nei meccanismi di intercettazione nel mondo della criminalità organizzata sa che vengono registrati centinaia di dettagli, storie di tradimenti, inutili al fine dell'inchiesta e nulle per la pubblicazione. Il terrore che ha il potere politico e imprenditoriale è quello di vedere pubblicati invece elementi che in poche battute permettono di dimostrare come si costruisce il meccanismo del potere. Non solo come si configura un reato. Per esempio l'inchiesta del dicembre 2007 che portò alla famosa intercettazione di Berlusconi con Saccà ha visto una quantità infinita di intercettazioni di dettagli privati, di cui in molti erano a conoscenza ma nessuna di queste è stata pubblicata oltre quelle necessarie per definire il contesto di uno scambio di favori tra politica e Rai.

La stessa maggioranza che approva un decreto che tronca la libertà di informazione in nome della difesa della privacy decide attraverso la Vigilanza Rai di pubblicare nei titoli di coda il compenso degli ospiti e dei conduttori. Sembra un gesto cristallino. E' il contrario. E non solo perché in una economia di mercato il compenso è determinato dal mercato e non da un calcolo etico. In questo modo i concorrenti della Rai sapranno quanto la Rai paga, quindi il meccanismo avvantaggerà le tv non di Stato. Mediaset potrà conoscere i compensi e regolarsi di conseguenza. Ma la straordinaria notizia che viene a controbilanciare quella assai tragica dell'approvazione della legge sulle intercettazioni è che il lettore, lo spettatore, quando comprende cosa sta accadendo diviene cittadino, ossia pretende di essere informato. Migliaia di persone sono indignate e impegnate a mostrare il loro dissenso, la volontà e la speranza di poter impedire che questa legge mutili per sempre il rapporto che c'è tra i giornali e i suoi lettori: la voglia di capire, conoscere, farsi un'opinione. Non vogliamo essere privati di ciò. Mandare messaggi ai giornali, mostrarsi imbavagliati, non sono gesti facili, scontati. Non sono gesti che permettono di sentirsi impegnati. Sono la premessa dell'impegno. L'intento d'azione è spesso l'azione stessa. Il dichiararsi non solo contrari in nome della possibilità di critica ma preoccupati che quello che sta accadendo distrugga uno strumento fondamentale per conoscere i fatti. La legge che imbavaglia, viene contrastata da migliaia di voci. Voci che dimostrano che non tutto è concluso, non tutto è determinabile dal palinsesto che viene dato agli italiani quotidianamente. Ogni persona che in questo momento prende parte a questa battaglia civile, sta permettendo di salvare il racconto del paese, di dare possibilità al giornalismo - e non agli sciacalli del ricatto - di resistere. In una parola sta difendendo la democrazia.

©2010 Roberto Saviano/ Agenzia Santachiara

 

 


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