Quando un brigatista diventa un divo

In "La prima linea" di Renato De Maria

04 Novembre 2009   12:33  

"Un film di cui tutti hanno parlato, e nessuno ha ancora visto". Questa è la frase che campeggia al termine del trailer de La prima linea, film sulla vicenda di Sergio Segio, brigatista attivo negli anni di piombo. Effettivamente, la pellicola di De Maria nessuno l'ha ancora vista, ma ognuno s'è sentito in dovere di dire la sua. Come'è possibile concedere il contributo statale (ben un milione e mezzo di euro), per dare la possibilità di narrare le 'gesta' di un assassino?
Segio, infatti, per far uscire di prigione la sua amata 'collega' Susanna Ronconi, ha ucciso Angelo Furlan, un ignaro passante sessantaquattrenne. Da qui nascono tutte le polemiche, soprattutto delle associazioni delle vittime del terrorismo, indignate perchè quello Stato per loro assente, ora si preoccupa di finanziare un'opera volta a riaprire una ferita mai cicatrizzatasi. Andrea Occhipinti, il produttore, confessa come il Ministero, prima di concedere i soldi, ci abbia pensato davvero bene. Ci mancherebbe altro.
Tra poco, comunque, si finirà di parlare senza conoscere, visto che il film uscirà il prossimo 20 novembre, e, finalmente, potremo vedere se Riccardo Scamarcio e Giovanna Mezzogiorno avranno lavorato bene ai loro rispettivi ruoli. Da critico cinematografico, ho imparato che un film può essere processato solo dopo averlo visto. Solo gli occhi, potranno dirci se l'attività di Segio è vista con il dovuto distacco, o con un impropria partecipazione emotiva, ingiustificabile davanti alla vita di un omicida.
Devo dire, comunque, che il livello di rischio è davvero molto alto. Il trailer si apre con queste parole: "Negli anni Settanta sono stato tra i fondatori del gruppo armato... abbiamo fatto cose da pazzi... eravamo convinti di avere ragione: avevamo scambiato il tramonto con l'alba". Molto furba come idea, quella di riprendere le parole tratte dal libro di Segio, Miccia corta, da cui la pellicola è tratta, dal sapore di mea culpa non troppo convinto.
Dico da subito che, se si vuol parlare di terrorismo, la condanna deve essere netta e senza appello. Nulla, neanche la più profonda convinzione ideale in ciò che si sta facendo, può, in alcun modo, essere portata come scusante alla morte di altri uomini, per altro del tutto estranee ai fatti. Ha ragione il regista De Maria quando afferma: " quegli anni sono stati il nostro Vietnam. Ed è giusto raccontarli, anche al cinema", purchè il grandeschermo non porti all'esaltazione di questi personaggi.
Credo sia un'accortezza dovuta non solo ai familiari delle vittime, ma anche alle generazioni future, le quali dovranno imparare da certi fatti a non ripetere gli stessi errori. La storia deve insegnarci a non commettere sempre gli stessi sbagli, non a rivangare entusiasti le ceneri di un periodo vergognoso del nostro Paese, caduto in ostaggio di mani sporche di sangue, di uomini stolti che hanno pensato di trasformarsi in eroi nella maniera sbagliata. Ed ora, forse, lo stanno diventando.

Francesco Balzano

 

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