Rinviato il ritorno dell'alpino abruzzese ferito in Afghanistan

Rientrate le 4 salme

11 Ottobre 2010   14:40  

Luca Cornacchia, l'alpino abruzzese rimasto ferito alle gambe nell'agguato contro il contingente italiano sabato scorso, è ancora ricoverato nell'ospedale militare di Deliram, in Afghanistan. Al momento, la data del suo rientro in Italia non è stata fissata, mentre sarebbe previsto per oggi l'incontro con gli psicologi, che dovrebbero informarlo della morte dei suoi commilitoni. 

Mentre si registra lo sfogo della mamma di Luca Cornacchia, la signora Cesidia, che oggi, in un'intervista rilasciata a Radio24, ha detto: "Mio figlio mi diceva: talebani sempre in agguato. Non manderei nessuno in Afghanistan, si risolvano da soli i problemi". Dai microfoni di Radio 24, Cesidia Di Giandomenico, dice che "il figlio è stato miracolato. E ora cerca sempre gli amici. Oggi gli psicologi lo informeranno - spiega - dei compagni che non ce l'hanno fatta". Il figlio e' alla terza missione in Afghanistan, la sua ottava in totale. "Ma stavolta era partito scontento, perche' sapeva che andava in una zona piu' pericolosa e perche' - dice - lasciava un bambino di un anno". "Mio figlio mi diceva che i talebani sono sempre in agguato. Loro vogliono la guerra. Luca mi ripete sempre 'Noi dobbiamo andare la', perche' degli innocenti hanno bisogno di noi'". Cornacchia ha parlato brevemente al telefono con la moglie. "E' stato miracolato, ora voglio solo che rientri", dice a Radio 24 la madre.

Luca ha telefonato anche ieri alla moglie, rassicurandola sulle sue condizioni di salute. Da quanto si è appreso le ha riferito di stare meglio chiedendo informazioni dei suoi compagni. Il militare non sa ancora che sono morti nel tragico agguato dei talebani nel sud dell'Afghanistan. Ieri mattina i suoi genitori si sono recati a messa, poi sono rientrati nella loro casa  a Lecce dei Marsi dove è ancora presente una delegazione di militare. Nei prossimi giorni attendono di poter parlare direttamente con il figlio che, sinora, ha chiamato solo la moglie.  
"Conoscevo bene Manca e Ville: con loro ho vissuto le prime missioni in Afghanistan e proprio la prima l'abbiamo fatta insieme; sono stati con me anche in pattuglia, soprattutto Ville. Erano due ragazzi fantastici, altruisti, seri e posati: stavo pensando di farli diventare istruttori di compagnia". E' la testimonianza, all'aeroporto militare di Ciampino, del tenente Andrea Trevison, vicecomandante di compagnia del Settimo Reggimento alpini della Brigata Julia, nell'attesa dell'arrivo dell'aereo con le salme dei quattro alpini uccisi in Afghanistan. Alla domanda se le uccisioni di militari italiani possano incidere sul morale dei soldati, il tenente ha risposto con un secco "no: proprio perché ci sono stati dei morti, gli uomini reagiranno in un altro modo", ha detto.


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