Si chiamano Jean Alexandru (18) e Oltean Gavrilia (27) i "nuovi accusati" dello stupro della Caffarella. Entrambi originari di Calarasi (una cittadina poco distante da Bucarest), sono stati incriminati per "violenza sessuale di gruppo" e rapina. A confermare i sospetti emersi durante le indagini nei confronti dei due giovani immigrati di nazionalità romena, è stato il test del Dna, questa volta risultato positivo, e ossia corrispondente a quello rilevato sul luogo dell'aggressione e sul corpo della vittima. I sospetti autori della violenza erano stati più volte fermati per reati di furto e rapina compiuti in zone isolate. Un'attività definita "seriale" dalle forze dell'ordine, che in seguito a monitoraggio avevano stilato una lista di rapinatori nonché "frequentatori abituali" dei parchi nella Capitale.
LE INDAGINI. E' proprio tale attività di ricerca e controlli incrociati che ha reso la polizia in grado di risalire all'identità dei due malviventi romeni: il profilo genetico appartenente ad uno dei due uomini corrispondeva infatti a quello contenuto nel liquido seminale rinvenuto alla Caffarella. Indagando sulle frequentazioni dell'individuo gli investigatori sono poi giunti al secondo romeno(ora detenuto nel carcere di Trieste), anch'esso inchiodato dall'esame del sangue. Da fonti interne alla Questura romana, è emerso come sia stata “la serialità dei reati” commessi dai due giovani a portare alla loro successiva identificazione e cattura: il 14 e il 15 febbraio la coppia aveva compiuto altre due rapine ai danni di 4 ragazzi e di due fidanzatini adolescenti. Sarebbe stato quest'ultimo reato, avvenuto in viale Monia, nel Parco degli Acquedotti, a permettere alle forze dell’ordine di incastrare i due romeni sospetti.
OMBRE NELLA CAPITALE. Jean Alexandru e Oltean Gavrilia avevano vissuto, negli ultimi mesi, in un padiglione della vecchia Fiera di Roma, raggiunto dopo una lunga serie di spostamenti attraverso i vari campi nomadi presenti nella Capitale, ultimo dei quali il Casilino 900. L'orripilante campo rom situato tra la Casilina e la Palmiro Togliatti: circa 650 persone provenienti da Montenegro, Kosovo, Macedonia e Bosnia a contatto con la nuda terra, senz'acqua né elettricità. Lo stesso ritrovo che il sindaco Alemanno andò a visitare lo scorso anno per via di questioni inerenti il piano regolatore, rimanendone traumatizzato, spiazzato: "Peggiore di un campo profughi palestinese" aveva riferito ai cronisti.
VITE AL BIVIO. Al Casilino 900 la sera si accendono i gruppi elettrogeni, un'unica fontana fornisce il bene più prezioso ai componenti della baraccopoli, i servizi igienici sono all'interno di gabbiotti sprovvisti del più elementare dei comfort. Le baracche sono formate da pezzi di compensato e lastre di alluminio, fredde d'inverno e roventi in estate. I bambini vanno a scuola, ma vivono, apprendono e giocano nella sporcizia, spesso a contatto con le pozzanghere e la fanghiglia di strade prive di asfalto e controllo. I rom che abitano il Casilino sono dediti al commercio: mercatini dell'usato messi sù con gli oggetti ripescati dai cassonetti. Molti cercano di condurre un'esistenza moderata e serena,al riparo dagli orrori lasciati nelle terre d'origine. Alcuni lavorano regolarmente. Altri rapinano. Qualcuno violenta.