Viaggio negli abissi sismici. Intervista al prof. Mantovani

di Nicola Facciolini - Parte prima

19 Ottobre 2009   13:36  

PARTE PRIMA - Il terremoto di L’Aquila 2009 è profondamente diverso dal sisma del 1703. Gli scienziati italiani, già prima del sisma (Mw=6.3°) del 6 aprile 2009 nell’Aquilano, nei loro studi e nelle loro pubblicazioni scientifiche internazionali cercavano di riconoscere le zone sismiche più esposte nel nostro Paese a forti scosse. Ricerche concettualmente basate su un fenomeno fisico largamente conosciuto in letteratura, come il rilassamento post-sismico prodotto da forti terremoti. Un campo di applicazioni, esperimenti, conoscenze e progetti da valorizzare, alla luce delle tredici Raccomandazioni fornite dal gruppo G10 di geoscienziati riuniti lo scorso 2 ottobre da tutto il mondo a L’Aquila, dalla Protezione civile italiana, per accelerare un settore di ricerca ritenuto strategico: la previsione-prevenzione dei terremoti e l’informazione al pubblico. Inizia un viaggio affascinante negli abissi della crosta terrestre d’Abruzzo. Se, come sembra, le ipotesi dell’approccio deterministico dovessero essere confermate, allora si aprirebbero scenari previsionali molto interessanti. Inoltre, tale approccio essendo basato su un fenomeno che dopo scosse molto intense si propaga con effetti apprezzabili sul territorio (“La simulazione numerica del rilassamento post-sismico indotto da terremoti peri-adriatici (Viti e altri, 2003; Cenni e altri, 2008) ha dimostrato che le variazioni di velocità indotte da terremoti molto forti (M>6.5-7.0) sono largamente superiori al potere risolutivo delle misure geodetiche”) consentirebbe di controllare la plausibilità delle previsioni fatte mediante misure sperimentali di tipo geodetico o geofisico. Nel caso di un terremoto come quello di L’Aquila (Mw=6.3), l’energia coinvolta potrebbe essere insufficiente per innescare effetti significativi nelle zone adiacenti, ma gli scienziati tenteranno ugualmente di riconoscere, mediante una rete geodetica abbastanza densa, la progressiva migrazione della perturbazione innescata, soprattutto verso l’Appennino Settentrionale. Per dare un’idea del tipo di informazione che tale rete può fornire, secondo gli studi del team del prof. Enzo Mantovani, “l’analisi dei dati raccolti negli ultimi otto anni indica che le velocità nella parte esterna dell’Appennino settentrionale sono sistematicamente più elevate di quelle della Toscana interna, come previsto dal modello cinematico di lungo termine”. La conoscenza del campo di velocità che si è sviluppato dal 6 Aprile e si svilupperà nei mesi e anni prossimi, “potrà costituire un prezioso riferimento per la valutazione delle variazioni di velocità che seguiranno future scosse forti di disaccoppiamento nell’Appennino Centro-Settentrionale”. E’ comunque opportuno precisare che questo tipo di informazione non consente di prevedere il luogo e il tempo di futuri eventi sismici, come ben sanno gli scienziati. Studi recenti sull’assetto sismotettonico e sulle regolarità della distribuzione di scosse forti nelle zone periadriatiche, integrati dalla valutazione dei possibili effetti di rilassamento post-sismico innescato da terremoti forti, indicano che per alcune zone italiane potrebbe essere possibile riconoscere con congruo anticipo (anni) l’avvicinarsi di periodi di elevata pericolosità sismica. Questa delicata informazione dovrebbe essere usata per distribuire in modo più razionale ed adeguato le risorse destinate alla difesa dai terremoti in Italia. Per capire la procedura proposta e le evidenze che ne permettono l’applicazione all’intera dorsale appenninica, anche in vista del prossimo Report internazionale del gruppo G10 dei geoscienziati, abbiamo intervistato, in esclusiva, il coordinatore scientifico di importanti programmi di Sismologia anche in Abruzzo, il professor Enzo Mantovani dell’Università di Siena che ringraziamo vivamente per la cortese attenzione e sensibilità ai temi della divulgazione scientifica.

Caro Paolo <!-- @page { size: 21cm 29.7cm; margin: 2cm } P { margin-bottom: 0.21cm } -->

La faglia che ha scatenato il terremoto a L'Aquila il 6 Aprile 2009 non sarebbe stata tra le più pericolose presenti nella zona. Il sistema montuoso del Gran Sasso d’Italia, è attraversato da una serie di grandi faglie, alcune note e più superficiali, altre definite dagli scienziati cieche. In corrispondenza della faglia di Paganica gli studiosi avrebbero rilevato un affondamento del terreno di 25cm da un lato con un corrispondente innalzamento del terreno al lato opposto. E’ vero?

Le faglie che vengono attivate in ogni forte terremoto dipendono dal contesto particolare che si è sviluppato per quel terremoto (campo di sforzo, reticolo di fratture presenti, attività precedente delle faglie, etc), che può essere diverso da quelli che hanno portato alle scosse precedenti nella stessa zona. Quindi, molti pensano (come noi) che non sia possibile, o per lo meno molto difficile, prevedere a priori le caratteristiche (soprattutto la lunghezza) e la localizzazione precisa delle faglie che si attiveranno in futuro nella zona. Questa opinione è confortata da quanto è successo in occasione delle scosse forti nelle ultime decine di anni, la cui localizzazione ha sistematicamente sorpreso gli esperti dell’INGV che avevano compilato un quadro delle principali faglie sismogenetiche dell’Italia. Per cui ritengo che aver definito la faglia di Paganica come meno pericolosa prima del terremoto del 6 Aprile, sia stata un’ipotesi arbitraria. Come arbitrario sarebbe prevedere la geometria e la lunghezza della faglia che sarà attivata dal prossimo terremoto forte nell’Appennino centrale. Tali ipotesi sono prevalentemente basate sulle tracce superficiali delle presunte faglie, che sono solo una piccola parte della zona di debolezza della crosta in quella zona, e sull’idea che i terremoti colpiscano sempre la stessa struttura (concetto del terremoto caratteristico)”.

 

L’Abruzzo ha superato la crisi sismica?

Speriamo”.

 

Cosa possiamo dire con certezza scientifica?

“Purtroppo niente di preciso su questo punto. Servirebbero informazioni che non abbiamo sulla conformazione delle zone di debolezza presenti e sul loro livello di caricamento”.

 

Cosa avete scoperto dalla terribile sequenza sismica aquilana, dal 14 dicembre 2008 in poi? Quali sono stati i risultati scientifici e le scoperte più significativi?

“Lo studio di ogni terremoto fornisce una serie di informazioni su dove e come quella scossa si è sviluppata, ma tali informazioni non consentono per ora di stabilire come, dove e quando si verificheranno le prossime scosse nella stessa zona. Non esistono casi in cui questo è stato fatto con successo”.

 

Avete scoperto la causa del sisma del 6-7-9 aprile 2009 ?

Evidentemente lo sforzo accumulato in quella zona ha superato la resistenza meccanica delle rocce nella zona di faglia. L’analisi delle deformazioni recenti-attuali nella catena appenninica ha permesso di capire quali meccanismi deformativi sono in atto in tutta la catena e quali forze tettoniche le provocano, ma questa informazione non può essere ancora usata per capire quando e dove avverrà il prossimo cedimento sismico. Stiamo tentando di usare le nostre conoscenze molto avanzate sul quadro tettonico della catena, per riconoscere le zone sismiche italiane che sono più esposte nel prossimo futuro”.

 

I terremoti lenti registrati dall’Ingv-Infn sotto il Gran Sasso, prima dell’evento principale, cosa possono dirci sull’attivazione delle faglie responsabili del disastro?

Può essere un’informazione interessante, ma le sue implicazioni sono ancora oggetto di studio. Comunque, per il momento non esiste un metodo efficace per fare previsioni sulla base di tali indizi”.

 

Ci sono stati “precursori” prima del terremoto grazie ai quali si poteva prevedere il sisma di L’Aquila?

A mia conoscenza, gli unici segnali che hanno scatenato discussioni su questo problema sono quelli relativi all’emissione di radon e all’intensificazione della sismicità minore nei mesi precedenti la scossa principale. In alcuni casi lo studio della concentrazione del radon ha dato indicazioni interessanti, ma purtroppo non esiste attualmente nel mondo una casistica di queste segnalazioni che consenta di riconoscere l’emissione di radon come un precursore attendibile. Anche l’andamento della sismicità minore non ha mai consentito di fare previsioni corrette. In moltissimi casi non è stato seguito da scosse forti”.

 

La sequenza prima e dopo il 6 aprile 2009, possiamo definirla correttamente “sciame sismico”?

“La definizione di questo termine non è sempre univoca. In generale si riferisce ad una serie di terremoti di bassa intensità. Se però tali scosse avvengono dopo una scossa forte vengono invece denominate repliche o aftershocks”.

 

 

Il terremoto del 6 aprile ha aumentato lo stress sulle faglie circostanti?

“E’ molto probabile, ma per fare previsioni attendibili sulle possibili conseguenze di questo aumento le informazioni attualmente disponibili non sono sufficienti. Per esempio, quantificare l’aumento di stress indotto (come è già stato fatto da alcuni ricercatori) non consente di fare previsioni sull’attività delle faglie implicate poiché non sappiamo il loro livello di caricamento attuale e la loro soglia di rottura. In moltissimi casi nel mondo una scossa forte non è stata seguita negli anni successivi da terremoti significativi nell’area circostante”.

 

Poteva andare peggio?

“E’noto dai cataloghi sismici che in questa zona d’Abruzzo ci sono stati terremoti molto più forti in passato”.

 

Avete calcolato l’aumento di probabilità sismica per L’Aquilano e il Teramano?

“Ogni valutazione di questo tipo parte da presupposti non dimostrati sul comportamento della sismicità”.

 

Vi sono state previsioni sismiche “sincrone” al terremoto di L’Aquila ?

Non mi sembra per quanto riguarda la zona mediterranea”.

 

Il terremoto del 6 aprile 2009, nel quadro delle conoscenze sulla sismicità delle faglie attive nell'Abruzzo Appenninico, come può essere definito?

Il meccanismo focale (studio della geometria della sorgente sismica) e altre evidenze indicano che la scossa del 6 Aprile è stata associata ad una faglia normale (dovuta ad una estensione circa diretta ENE-OSO), ma il quadro delle deformazioni recenti-attuali nell’Appennino centrale indica un meccanismo deformativo regionale molto diverso, legato ad una compressione parallela alla catena appenninica, che in tempi geologici ha prodotto, per esempio, la formazione della struttura arcuata del Gran Sasso. Le faglie tensionali e transtensionali dell’Aquilano sono legate al regime estensionale che si sviluppa all’interno di tale arco”.

 

E’ un’anomalia rispetto ad altre zone appenniniche?

“Nell’Appennino settentrionale, per esempio, la tendenza dominante è quella di rilasciare l’energia sismica in modo più graduale nel tempo rispetto all’Appennino centrale”.

 

Il sisma del 1703 a L’Aquila, Norcia e Teramo, in cosa è stato diverso rispetto al terremoto del 6 aprile 2009?

“Ha interessato una faglia più lunga”.

 

La Città di L’Aquila era compresa tra le aree a rischio sulla base delle previsioni probabilistiche?

Considerata la precedente attività sismica di questa zona, era inevitabile”.

 

Esistono modelli che utilizzano la sismicità pre-evento per le previsioni deterministiche?

“Siamo a conoscenza di modelli statistici”.

 

Come funzionano?

“Sono basati sull’assunzione che i terremoti si distribuiscano in modo particolare nel tempo. Il problema di tali modelli è dimostrare che i loro presupposti sono realistici. Noi abbiamo proposto modelli deterministici che in base alla distribuzione dei terremoti forti nelle zone circostanti permettono di capire quali zone italiane hanno elevate probabilità di essere colpite da scosse intense negli anni successivi. Questa previsione, però, non fornisce informazioni precise sul tempo e il luogo della scossa attesa”.

 

 

Quali e dove sono collocate le faglie e fagliette sismogenetiche che attraversano l'Appennino abruzzese?

“Nessuno lo sa con precisione”.

 

La scienza oggi è in grado di calcolare, per ognuna di esse, la probabilità di produrre eventi sismici?

“No”.

 

La Città di Teramo, anche solo di rimbalzo, quali accelerazioni può subire da terremoti di quale intensità e da quali faglie?

“Essendo molto vicina al sistema di faglie dell’Aquilano, le intensità possibili sono purtroppo elevate (per Magnitudo superiori a 6° Richter)”.

Il sottosuolo della Valle Subequana vi preoccupa come scienziati?

“Come quello delle zone vicine”.

 

SEGUE

 

 

 

 

 

 

 

 

 


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