Novantanove anni fa l'immane tragedia del terremoto della Marsica

13 Gennaio 2014   10:06  

Trentamila morti su una popolazione di 120.000: questa la cifra drammatica del terremoto della Marsica la mattina del 13 gennaio del 1915. Al termine della scossa di magnitudo 7.0 con epicentro nel Fucino il sisma aveva colpito dritto nel cuore il nostro territorio, Avezzano non c’era più e contava oltre 9.000 vittime, Gioia dei Marsi 3.500 morti, Pescina 5.000, San Benedetto dei Marsi 2.700 e via via tutti gli altri centri. Oggi la Marica, l'Abruzzo e l'italia ricorda quell'immane tragedia.

Ad Avezzano solenni celebrazioni alla presenza del ministro per le Riforme Istituzionali, Gaetano Quagliariello, il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Giovanni Legnini, e il marsicano Gianni Letta (Presidente del comitato d'onore).

Alle 11.30, nell'aula consiliare, è in scaletta la presentazione dell'istituzione “Celebrazioni Centenario del Terremoto della Marsica anno 2015”,

Alle 16, nella Chiesa don Orione, la ricorrenza chiude i battenti con la Celebrazione della Santa Messa in suffragio delle vittime del devastante sisma del 13 gennaio 1915. Sul Monte Salviano sarà deposta una corona di fiori.  

A seguire un articolo di Claudio Panone

13 Gennaio 1915 : Sono trascorsi 99 anni ma il modo di pensare e di affrontare il problema non è cambiato!

Alla stazione di Sante Marie, il treno 611 di transito nella Marsica non arrivava, era il 13 gennaio del 1915 e quel treno non giunse mai , era deragliato a Paterno alle ore 7:52. Fu proprio da Sante Marie che poi partì il primo degli spacci redatto dall’agenzia Stefani attraverso il quale si cominciò a sapere ….''

Il 13 gennaio accade qualcosa di inatteso, incontrollabile, feroce, per cui si arresta quel treno, si ferma la vita, si frattura e si interrompe la storia e con essa le storie, quando poi si riprendono il loro cammino, si porteranno dietro sempre quel giorno …

“ Il 13 gennaio del 1915 un violento terremoto (Ml 6.8 – Mercalli XI ) gettò nella desolazione e nel lutto la Marsica e l’Abruzzo intero. La scossa fu avvertita in tutta l’Italia centrale.

Per l’estensione dell’area di influenza, per il numero di vittime (33000) e dei feriti, per la distruzione dei centri abitati, rappresenta il terremoto più violento, in Italia, del XX secolo, superato solo dal terremoto di Messina del 28 dicembre 1908 (oltre centomila vittime).

Così descrisse l’evento G. De Simoni:

“ Era la terra della bellezza e della semplicità ed è divenuta la terra della morte e del dolore; era la regione della serenità e della calma ed è divenuta quella del lutto e dello strazio. La tristezza vi si è distesa intorno con veste funerea.

Un destino di una brutalità feroce l’ha colpita, l’ha penalizzata con rabbia, distruggendo senza risparmiare, frantumando, livellando terribilmente, in un attimo.

Dove era la vita sono le macerie, dove ferveva il lavoro la sciagura violenta ha formato un vasto cimitero, che si spalanca pauroso in una sola enorme tomba.

Era nel mezzo della penisola come il grande cuore d’Italia e in quelle contrade vivevano genti sane, con austerità, isolate, avvolte quasi nell’aura di leggenda e di fatalismo che avevano qualcosa di mistero, con una compostezza mite e rassegnata in un’infinita pace che piaceva e si ricercava.

Quel senso mistico di pace si rispandeva nell’aria attraverso la maestà delle montagne, nella ombreggiata quiete dei boschi folti, lungo le valli solcate dai fiumi profondi e che le alluvioni ed i turbini, le furie delle frane, gli impeti dei venti non avevano potenza di turbare.

Quelle popolazioni erano forti contro tutte le inclemenze; sembrava che le sfidassero e che in esse ingagliardissero le multiformi energie, e sono state schiacciate sotto il peso mostruoso delle pietre delle loro case nelle quali vivevano con i ricordi nell’intimità che rende patriarcale la famiglia e che rappresentava nelle grandi linee del suo carattere fisico e morale la vivace razza d’Abruzzo così pensosa intorno alle montagne d’ onde scendono perenni i fiumi all’Adriatico la poesia delle leggende e l’acqua delle nevi …

Per richiamare l’attenzione dell’Italia e del Governo è venuto il flagello tremendo.

Quelle popolazioni non avevano mai chiesto nulla per loro ed oggi l’eco angosciosa della loro agonia solleva la discussione sui molti problemi e su quello della viabilità principalmente.

Esisteva una sola linea ferroviaria e si è dimostrato che paralizzandola si metteva fra l’Abruzzo aquilano ed il resto del mondo un deserto di ventiquattro ore! ….”.

Nella cultura popolare il terremoto è stato accettato in maniera fatalistica poiché evento naturale imprevedibile e come tale inevitabile.

Lo stesso Ignazio Silone, dopo l’evento, lo considera addirittura come strumento di giustizia:

“Nel terremoto morivano ricchi e poveri, istruiti e analfabeti, autorità e sudditi. Nel terremoto la natura realizzava quello che la legge a parole prometteva e nei fatti non manteneva: l’uguaglianza …”.

La Natura, però, non è mai tanto cattiva quanto può esserlo l’Uomo. L’Uomo che spesso si rende protagonista di scelte irresponsabili e scellerate, capaci di minare tragicamente la sua stessa esistenza.

L’evento naturale può essere mitigato attraverso la prevenzione: la prevenzione antisismica è difficile, complessa e costosa, ma non impossibile ed è la sola via per ottenere risultati immediati, positivi e tangibili.

I forti terremoti abruzzesi, purtroppo, non sono stati per noi d’insegnamento per fare meglio per il futuro ed è per questo che dovremmo invece prendere d’insegnamento le parole dello scrittore marsicano Panfilo Gentile:

“In trenta secondi possiamo perdere la vita e le ricchezze. Impariamo a vivere proponendoci scopi che trascendano la nostra vita e le nostre ricchezze: il terremoto non ci torrà più nulla. Trenta secondi ci avvertono che lo spirito non ha ancora vinto la natura; impariamo a liberarci dell’impero di una casualità indegna dell’uomo”. 

 


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