A L'Aquila il tempo invecchia in fretta

di Betty Leone

07 Aprile 2010   13:35  

"Il tempo invecchia in fretta" è il titolo dell'ultima raccolta di racconti di Antonio Tabucchi: nessun'altra frase rende così bene il mio stato d'animo quando penso che è passato un anno dalla notte che ha cambiato la vita degli aquilani e ha cancellato molta storia della mia città. Un anno in cui la tragedia dell'Aquila è stata usata come vetrina del "Governo del fare" e come modello del "decidere rapidamente e senza vincoli".Le case
antisismiche, il G8, i villaggi di legno sono apparsi nelle cronache come segnali di un vero e proprio miracolo capace di esorcizzare il problema vero: dove e come reperire le ingenti risorse necessarie a ricostruire una città con le sue strutture produttive e culturali, con i suoi monumenti, il suo ospedale , le sue scuole, le sedi delle sue istituzioni.

Qualche giorno fa il Presidente Berlusconi, al telefono con il candidato del PDL alla presidenza della provincia, chiudendo la campagna elettorale diceva: "abbiamo dato una casa a tutti, per il resto ci vorrà molto tempo".

In realtà non proprio tutti hanno avuto una casa, circa 7000 persone, quasi tutte anziane, vivono ancora negli alberghi della costa ormai sradicati dalle proprie amicizie e abitudini. Quelli che hanno la fortuna di vivere nelle famose e costosissime (2700 euro a mq) case di Berlusconi, come tutti le chiamano qui, vivono in dignitosi residence tutti accessoriati, dove non è possibile portare nulla che ricordi la tua casa, sia per mancanza di spazio, sia perché, anche per appendere un quadro, va chiesta l'autorizzazione.

Nessuno ha previsto che questi agglomerati di edifici, che ospitano centinaia di famiglie, fossero dotati di spazi comuni per riunioni, feste, piccole iniziative di socializzazione, perché comunque andavano considerate abitazioni provvisorie. Se invece i tempi saranno molto lunghi come vivranno gli abitanti delle "news towns"? Continueranno a frequentare i centri commerciali, ormai anch'essi ridotti a specie di mercati arabi, perché affollati di negozi e bancarelle che non trovano altri spazi? Una città non è fatta solo di case; per vivere ha bisogno di relazioni sociali, di memorie condivise, di opportunità economiche. Ha bisogno innanzitutto di lavoro e questa è l'altra nota dolente mai nominata nelle cronache del "miracolo aquilano".

Tutte le attività commerciali e professionali del centro storico sono morte o dislocate, molti giovani si sono già trasferiti in altre città, le aziende che  versavano in difficoltà anche prima del terremoto stentano a riprendere l'attività e verosimilmente sarà necessario richiedere un'ulteriore proroga della cassa integrazione. Persino le imprese locali che operano nell'edilizia non riescono a lavorare, nel "cantiere più grande d'Europa", perché non ottengono crediti dalle banche e non hanno capitale sufficiente per anticipare le spese.

La strada perciò è aperta per le grandi imprese che spesso, come dimostrano le inchieste di questi giorni, sono permeabili alle mafie e a tutte le forme di economia illegale. A tutt'oggi non esiste un piano per il lavoro, un'idea per formare professionalità locali necessarie alla ricostruzione, né un'idea su come intervenire, e con quali priorità, nel centro storico.

Negli ultimi tempi l'immagine di efficienza del Governo e della Protezione Civile si è incrinata a causa di due avvenimenti che hanno cambiato anche la percezione esterna di quanto è accaduto all'Aquila. Il primo riguarda lo scandalo del G8 che ha coinvolto lo stesso Bertolaso, ed ha evidenziato come, al di là delle responsabilità individuali, tutte da accertare, il modello dell'accentramento e della velocità delle decisioni non semplifica le soluzioni,ma le sottrae ad ogni controllo e produce malaffare e spregiudicate speculazioni. Il secondo riguarda il cosiddetto "movimento delle carriole", ossia quei cittadini che, stanchi di sentirsi dire che l'emergenza era finita e tutto era risolto, hanno deciso di organizzarsi e di andare a rimuovere le macerie del centro storico che giacevano da un anno nelle piazze e nelle vie il cui accesso libero è vietato dal 6 Aprile scorso anche ai proprietari delle case parzialmente agibili ma abbandonate ormai da molti mesi.

Questa iniziativa, cominciata, come altre, per tentare di riaggregare gli aquilani rientrati alla periferia della città, ha avuto una grande risonanza nazionale e, grazie ai mezzi di comunicazione, ha mostrato a tutto il mondo lo stato di incuria e degrado in cui versa il centro dell'Aquila; ha insomma mostrato il vero volto del post-terremoto rispetto al quale non servono facili trionfalismi, ma serve chiarezza, programmazione degli investimenti economici e degli interventi da fare, identificazione delle priorità. Ambedue gli episodi da me citati dicono che se si vuole ricostruire la città, con tutto quello che ciò significa, bisogna rendere possibile il protagonismo e il controllo dei cittadini, e ristabilire la fiducia nelle istituzioni elettive e negli organismi di rappresentanza (sindacato, associazioni ecc.) perché le scorciatoie delle decisioni  rapide troppo spesso rispondono agli interessi di pochi.

Insomma, nonostante le ultime elezioni provinciali non abbiano premiato chi ha provato ad interpretare le attese dei cittadini, bisogna ripartire dalla democrazia senza perdere troppo tempo: il tempo invecchia in fretta.

Betty Leone - Sinistra ecologia e libertà


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