A L'Aquila siamo tutti antagonisti

La città morta e le anime spente

09 Luglio 2010   12:05  

"Presenza tra i manifestanti di appartenenti all'area antagonista e di rappresentanti di centri sociali di Roma e dell'Aquila, che incitavano a forzare il blocco per strumentalizzare possibili disordini" così la Questura di Roma e la Polizia di Stato in un comunicato congiunto in cui tentavano di spiegare il perché dei tafferugli tra aquilani e poliziotti, avvenuti a Roma mercoledì 7 luglio 2010.

Partiamo da qui oggi, in questa giornata di silenzio dettato dallo sciopero contro la legge bavaglio, manifestazione cui la nostra redazione aderisce perché l'informazione deve essere la più ampia e più libera possibile.

Non daremo quindi notizie di cronaca, ma saremo qui a testimoniare che questo silenzio non vuole essere un bavaglio che ci auto imponiamo. Allora oggi ci avviamo per un percorso particolare. Come cronisti non è nostro compito esprimere pareri e giudizi, siamo tenuti al racconto dei fatti, dettagliato ed essenziale allo stesso tempo. Oggi però vogliamo essere cronisti del nostro pensiero. Nella giornata del silenzio vogliamo dire la nostra su quanto ci è intorno.

Allora ritorniamo alle parole del Questore di Roma, Giuseppe Caruso e del Capo della Polizia, Antonio Manganelli.
Tra i più di 5000 manifestanti giunti a Roma il 7 luglio, c'erano antagonisti.

Antagonisti, si immagina, dello Stato.
Si è vero c'erano. Perché a L'Aquila, oggi, esistono solo antagonisti.
Antagonisti e contrapposti all'idea che "tutto va ben, tutto va ben".
Tutto, o quasi, va male.

"Vi hanno dato le case e vi lamentate pure" vociano le persone che a L'Aquila non hanno messo piede né prima né dopo il sisma.

Qui, per l'esattezza, abbiamo solo le case. E non per tutti.

Su 48.545 persone rimaste senza casa, solo 18.758 alloggiate tra progetto C.A.S.E. e i Moduli abitativi provvisori (casette in legno), e affitti calmierati, mentre 31.860 si trovano in una situazione precaria, tra alberghi (3.305), sistemazione autonoma con contributo statale di circa 300 euro al mese (25.479), o alloggio nelle caserme (595)-dati ufficiali relativi al solo comune di L'Aquila-.

Per gli altri comuni del cratere 6190 sono assistite: 3011 persone vivono nei MAP (moduli abitativi provvisori), 226 Affitti concordati con la Protezione Civile, 93 in altre strutture comunali e 2860 con Contributo di autonoma sistemazione.

Quindi se pur assistiti, molti non hanno casa.
E non parliamo di nomadi e avventurieri, ma persone normalmente abituate ad una casa
, non ad un albergo o una caserma. Il problema, si dirà, non è questo. Basta avere un tetto.
Vero, verissimo, dopo che molti il tetto sotto cui vivevano prima del 6 aprile lo hanno perso per sempre quella notte, spesso a rischio della propria stessa vita.

Tra le persone colpite ci sono quelli che hanno perso non solo la casa, ma anche e soprattutto i propri cari, tutto. E che come conforto, spesso, non hanno nulla.

La città è stata spappolata e nessuno sembra accorgersene. La società civile è disgregata, dispersa.

E questi ingrati aquilani diventano anche antagonisti!

308 morti sono un dolore, un segno profondo in una città piccola in cui molti si conoscevano, una città storica fatta di angoli, di punti di incontro, di luoghi di ritrovo.
Oggi gli aquilani vivono il dolore e la mancanza in condizioni difficili.
Tutti separati, tutti in luoghi diversi da quelli dove avevano vissuto per decenni, luoghi, per la maggior parte, non scelti da chi ci abita. Luoghi senza anima, senza storia, senza servizi.

Chi ha casa, spesso è in luoghi dove non c'è altro al di fuori dell'insediamento realizzato dalla Protezione Civile. Luoghi estranei al mondo, dove mancano servizi essenziali, spazi per la socialità.

E' Madre Maria Nazarena, a raccontarci con poche ed essenziali parole il dramma: "C' è bisogno di ridare un volto a questa città. Ne hanno bisogni i ragazzi. Gli adolescenti. Adesso è una pena passeggiare per il centro. E' tutto cantierato, le macerie sono ancora lì. Ma davanti a quei cantieri hanno messo le baracche ed è lì che i ragazzi si buttano via, bevendo e fumando. Annegando la tristezza. E' un vero strazio la sera vederli persi lungo il viale della Croce Rossa. Non erano così i nostri ragazzi, prima del terremoto."

Nulla è come era. Case diverse non proprie, persone che non ci sono più.
E tanta disperazione, di chi non ha più propria casa, di chi non avrà tanto tempo per poter vedere la propria casa ristrutturata, figurarsi la città ricostruita, di chi dopo quella notte, ha perso il lavoro.

Nel solo centro storico, di 1000 esercizi commerciali, solo 300 hanno riaperto, ma in altri luoghi della città.
Delle 2.300 imprese artigiane del cratere un migliaio non sono ancora riuscite a ripartire. 10.000 aziende in difficoltà, 8000 casse integrati e 8 milioni di euro di cassa integrazione in deroga
Per gli autonomi aiuti per 3 mesi a 800 euro per gli autonomi.

Una città piegata, dove mancano lavoro, socialità, futuro e soprattutto certezze.

E il capo della questura di Roma riferisce che nella manifestazione degli aquilani a Roma c'erano anche i centri sociali. Quali?
L'Aquila è un centro sociale.
Si cercano posti dove stare insieme, quando ci si incontra non si fa altro che parlare dei problemi, di discutere; in tanti sono diventati autonomi reporter, saggisti.
Tutti hanno voglia di sapere, di cercare spiegazioni, di chiedere giustizia, di capire, di individuare un futuro. Un centro sociale a cielo aperto.

"I recenti dati forniti dall'Inps", spiega Giorgio Rainaldi, presidente della Camera di commercio dell'Aquila "evidenziano un monte ore di cassa integrazione ingente che, a marzo 2010, ha interessato più di 3mila dipendenti. Le imprese e i lavoratori del cratere non sono nelle condizioni, ad oggi, di tornare a pagare le tasse e i tributi", sottolinea Rainaldi, che chiede pari trattamento con Umbria e Marche, "solo con una nuova proroga e provvedimenti mirati Stato, imprese, lavoratori e famiglie aquilane potranno, insieme, programmare il futuro di un territorio che, ha, soprattutto e più di ogni altra cosa, bisogno di certezze".

Ma i dipendenti, le tasse le stanno già pagando! Gli altri torneranno a farlo da dicembre.

L'Aquila, una culla della storia e dell'arte, un luogo sereno dove amavano tornare tutti quelli che, nati lì, erano stati costretti ad emigrare, un posto al quale anche il più distratto dei passanti rimaneva legato, per la luce, per l'aria, per quelle strade medioevali, per quella sensazione di tranquillità, di serenità.
Di tutto questo non c'è più nulla. Non ci sono anche 308 persone che animavano questa città.
E ci si chiede cosa vogliano mai questi ingrati aquilani, sulle teste dei quali c'è anche chi è riuscito a ridere. E se lo sappiamo è perché nessun bavaglio è intervenuto sulle intercettazioni che hanno reso pubbliche quelle maledette parole.

Gagliardi:...oh ma alla Ferratella occupati di sta roba del terremoto perché qui bisogna partire in quarta subito...non è che c'è un terremoto al giorno
Piscicelli:..no...lo so (ride)
G:...così per dire per carità...poveracci
P:..va buò ciao
G:...o no?
P:...eh certo...io ridevo stamattina alle 3 e mezzo dentro il letto
G:...io pure...va buò...ciao.

A parlare sono due inquisiti, Francesco Maria De Vito Piscicelli, direttore tecnico dell'impresa Opere pubbliche e ambiente Spa di Roma, e tal cognato Gagliardi, molto vicini ad Angelo Balducci, l'ex-vice di Bertolaso nell'emergenza G8 della Maddalena, presidente del Consiglio superiore dei lavori pubblici, nonchè pubblico ufficiale presso il Dipartimento per lo Sviluppo e la competitività del turismo della Presidenza del Consiglio dei ministri, con sede alla Ferratella. 

Di questi personaggi oscuri, della propaganda, delle false promesse, dell'incertezza, di tutto questo, gli aquilani, sì, sono antagonisti.

(Barbara Bologna)

 

 

 

 

 

 

 

 


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