A dieci mesi dal terremoto la ricostruzione che non parte

6 aprile 2009-6 febbraio 2010

06 Febbraio 2010   10:53  

Sembra che sia avvenuto una settimana fa eppure è trascorso quasi un anno dal terremoto dell'Aquila.

In dieci mesi sono nati nuovi quartieri, è stato stravolto il tessuto urbano della città, intesa come territorio comunale. Nessuno, a ventiquattro ore dalla scossa della notte del sei aprile, era senza acqua e cibo e senza un riparo, che fosse una tenda o un albergo o alloggio più o meno lontano dalla propria terra.

Poi, step dopo step, con un rimescolamento umano con pochissimi precedenti, grandi masse di persone si sono riposizionate da un posto all'altro. A chi aveva trovato ospitalità nei campi di accoglienza è stata offerta una sistemazione più confortevole, spesso a costo di allontanarsi da L'Aquila, chi era emigrato sulla costa abruzzese ha in molti casi trovato la possibilità di riavvicinarsi alla propria città.

Ad oggi più di tremila e settecento persone sono ancora esiliate negli alberghi, la maggior parte di loro nelle strutture costiere. In tutto sono ancora senza una “fissa dimora” più di diecimila persone, sono quelle che trovano ospitalità negli alberghi ma anche quelle che sono nelle caserme o in abitazioni prese in affitto.

Molte di queste potrebbero essere definite outsider, senza diritti, persone fantasma, per le istituzioni: un numero. Si tratta in molti casi di single, al massimo di coppie, quasi sempre senza figli ma con i requisiti che gli avrebbero consentito di avere diritto ad un alloggio nel progetto C.a.s.e., insufficiente per tutti.

La L'Aquila del dopo sisma è un universo di quartieri dormitorio, tante piccole new town. Se la città federiciana aveva prima del sei aprile una periferia degradata sviluppatasi quasi senza alcuna regola – caratteristica che il terremoto ha drammaticamente evidenziato, mettendo in ginocchio una comunità intera che senza il centro storico ha vissuto una enorme disgregazione sociale – oggi la scelta di fare venti new town piuttosto che una, rischia di lasciare per anni venti satelliti senza pianeta, venti quartieri senza una piazza, un bar, un cinema, distanti chilometri gli uni dagli altri.

La ricostruzione dell'Aquila ancora non comincia.

Le case lievemente danneggiate, nella classifica della Protezione civile identificate con le lettere B e C, a dieci mesi dal terremoto, ancora non vengono riparate.
A giugno dell'anno scorso l'ormai ex commissario Bertolaso firmava l'ordinanza per la cosiddetta ricostruzione leggera. Solo a settembre, dopo un braccio di ferro teso a dimostrare l'efficacia di quello esistente, la Regione pubblicava il nuovo prezziario, frutto di una revisione di quello esistente, sollecitata dai tecnici, per renderlo confacente ai danni da terremoto.

Le case B e C sono 12.000, neanche su un quarto di queste ad oggi – dieci mesi dal trremoto - sono stati iniziati i lavori di ristrutturazione.

Nessuno ha contezza di quante siano complessivamente le abitazioni classificate E, l'unico dato quasi certo – ma molto parziale perchè non comprende i centri storici - riguarda le periferie, dove le E sarebbero circa 12.000, di queste ad oggi sono 150 le pratiche presentate.

La nuova guida della ricostruzione, il presidente della Regione Chiodi e il sindaco Cialente, sta pensando ad una serie di misure finalizzate a velocizzare l'avvio delle riparazioni, fra queste l'imposizione di un limite agli incariche per i professionisti e la scadenza, fissata al sei aprile prossimo – ad un anno dal terremoto – per la presentazione delle perizie sulle abitazione classificate E.

Subito sono insorti gli ingegneri, evocando lo spettro della “sveltina per far fuori le professionalità aquilane”, le quali evidentemente già sanno che, in due mesi, non riusciranno a completare una perizia su un edificio E. Ma forse in cuor loro sanno anche che non ce la farebbero anche se scadesse due mesi più tardi, perchè - come accaduto per le B e le C - è ragionevole pensare che anche questo termine sarà prorogato. O forse sanno che due mesi non è un tempo abbastanza lungo per poter espletare le numerose pratiche di cui fanno incetta.

Misure impopolari vengono annunciate dal sindaco Cialente, che si è scagliato contro chi “pensa di poter rinviare a suo piacimento i lavori”.
“Vorrà vedere ricostruita la città in soli dieci anni”, avranno pensato quei tecnici che minacciano di scioperare a favore di una ricostruzione più meditata.

La storia deve aver insegnato ancora troppo poco. Gli scandali che hanno accompagnato la ricostruzione in altri territori italiani colpiti dal terremoto, hanno portato a misure molto restrittive, a costo di una burocrazia quasi soffocante, nella concessione di contributi per i danni provocati dal sisma; e se la città dovesse dimostrare di non avere le forze per ricostruire autarchicamente, non sarebbe uno scandalo aprire le porte a energie esterne che consentano se non una veloce ricostruzione, almeno un suo immediato avvio.

(MS)

 

Foto:Fabio Sciarra

 


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