Ad un volontario: Francesco

di Adriano Sabatini

15 Dicembre 2010   18:05  

Un toccante racconto di Adriano Sabatini, di Barisciano, pubblicato dalla Nuova Provincia di Asti, dedicato ad un eroe del quotidiano che non c'è più, Francesco Canta, volontario della Protezione civile. A Barisciano Francesco, arrivato da San Damiano, piccolo paese del Piemonte, ha servito pasti, montato tende, dato un'immenso aiuto senza chiedere nulla in cambio. Francesco a 58 anni è morto per un tumore. 

''Ho sempre pensato che il coraggio lo hai o non lo hai! Ci ho creduto fino a quel 6 aprile 2009, quando le mie convinzioni sono svanite come tante case che mi stavano intorno e che si sedettero a terra portandosi via i propri occupanti.

A casa mia, quando, dopo tutte quelle scosse premonitrici, arrivò quella devastante, iniziammo a vibrare come se si fosse su di una vecchia lavatrice con il programma di centrifuga avviato.

Improvvisamente sbalzati dal letto, ci riunimmo nella parte della casa che ritenevo più sicura. Mio suocero, quando la costruirono, si adirò con il progettista perché lì, al centro, era saltato fuori un quarto pilastro che nella prima stesura del progetto non era previsto. La sua ira, però, andò subito via quando l'ingegnere gli disse: "Se dovesse fare un terremoto, qua sotto, sarete al sicuro". Questa frase, oggi, la ripete ogni volta che gli chiedono se alla casa costruita per le sue figlie vi fossero stati danni. Ormai, quella frase, fa parte del suo bagaglio di nozioni di vita. Ora che la sua casa è distrutta, l'importante è che le sue figlie e le sue nipoti si siano salvate: di me e mio cognato, che pure vi abitiamo, non gli interessa minimamente, forse pensa che gli uomini possano salvarsi più facilmente!

Anche noi conoscevamo quello che il progettista dichiarò all'atto della costruzione della nostra casa sulla dura roccia di Barisciano. È lì che ci bloccammo prima di scappar via alla fine della scossa ed è lì che mia figlia Stefania mi disse, piangendo come una disperata:" Papà scappiamo, lasciamo questa casa e questo paese che qui si muore!".

Si muore! Erano realmente morti 308 innocenti quella mattina del 6 aprile ed io, quando mia figlia disse quelle parole, fui consapevole che il coraggio non lo puoi avere in tutte le situazioni della vita. Certe volte succede qualcosa di disastroso, di maledettamente invisibile e non capisci cos'è, ma ti rodi nella rabbia di dover obbedire, passivo, perché certe cose non puoi vincerle, non puoi prenderle a schiaffi, non puoi farci proprio nulla. Succedono e basta, e tu puoi solo averne paura!

Cara Stefania, quale sarebbe la nostra meta? Abbandonare tutto, lasciare la terra dei nostri avi, gli affetti e dirigere la prua verso altri lidi? Quali? No, non sono Ulisse ed ho capito, dopotutto, che non ho tanto coraggio. Proprio quando tu hai iniziato a piangere il mio coraggio è mancato.

Quella notte, dopo le 3 e 32, andammo ad accertarci che i nostri cari, i nostri amici e compaesani stessero bene ed attendemmo l'alba in auto all'Aia di Tricaglio, in quel quartiere dove Bruna, la mia sposa, e la sua famiglia di origine ebbero i natali e dove loro, i vecchietti, sono ancora lì ad abitare. Ora senza la loro casa, irrimediabilmente danneggiata. La gente, specialmente gli anziani, vagavano come zombie senza sapere cosa fare, senza essere certi di dover fare qualcosa. Molti piangevano.

Arrivò l'alba e iniziammo ad attrezzarci per poter stare all'aperto per un po' di giorni. Ci siamo restati per mesi! L'aia si trasformò in un grande accampamento con cucina di fortuna che dispensò, da subito, latte, caffè ed i biscotti che qualcuno era andato a prendere, furtivamente a casa, nonostante i divieti. Quella cucina fatta di lamiere zincate e senza un minimo di rispetto per le norme igieniche ed edilizie, era il nostro primo tentativo di sentirci vivi. Quell'abbozzo di vita comune è andato in giro per il mondo, con le foto inviate in internet, grazie al mio pc ed alla mia fotocamera digitale. Così trascorse il primo giorno, ma già al secondo arrivarono i volontari. Fu nel pomeriggio che montarono le tende in cui trascorremmo buona parte di quel brutto 2009.

Gli uomini erano tanti e ve ne fu uno che, oltre a montare tende, si avvicinò per chiederci come stessimo. Avevamo bisogno di tutto, ma quella era la cosa che ci mancava di più: qualcuno che ci comprendesse e ci confortasse, così come fece quell'angelo di nome Francesco.

Credevo realmente che fosse un angelo, tanta era la dolcezza con cui ci avvicinava. Aveva abbandonato, come sempre, la sua casa lasciando il timone della nave a sua moglie Luciana, abituata a fare la Penelope ad intermittenza. Francesco, come responsabile della Protezione Civile di San Damiano, fiore all'occhiello del paese, era sempre in viaggio.

Ogni tanto un incendio d'estate e un alluvione in autunno. I problemi non mancavano mai e così, oltre le esercitazioni di rito per tenersi pronti e qualche piccolo intervento in zona, vi erano i grandi eventi calamitosi straordinari che tenevano occupati uomini e mezzi della Protezione Civile e, spesso, molto lontani dalle loro dimore.

Francesco giunse a L'Aquila il giorno stesso del sisma, come se le previsioni fossero quasi certe. Fu destinato a Barisciano e Tempera. Dopo aver montato le tende al nostro campo base, andò a farlo in altri campi satellite nati vicino alle abitazioni di residenza, in modo da far sentire meno, agli sfollati, la lontananza dalle proprie abitazioni.

Il nostro campo era nato spontaneamente nell'Aia di Tricaglio e vi affluirono tutti quelli che risiedevano nel quartiere omonimo o, chi, come me, aveva i propri affetti in quella che era ed è, a tutt'oggi, l'unica zona rossa del paese. Perciò Tricaglio era chiuso per l'instabilità degli edifici e per eventuali ulteriori crolli che continuavano ad esserci.

Francesco era spesso da noi e non era raro che si fermasse la sera, anche con i suoi uomini, a bere un bicchierino di genziana nel gazebo-mensa-soggiorno da noi allestito. Era stato lui che si era prodigato a completarlo col riscaldamento per evitare di viverci con cappotto e cappello.

In quelle serate quante chiacchierate con tutti noi! Nei primi giorni ne avevamo bisogno quanto l'acqua o il pane. Eravamo ignari della nostra sorte. Io ero alla mia seconda esperienza, dopo il sisma dell'Irpinia che sentii bene a Napoli, dove vivevo allora, ma in questo ero proprio all'epicentro. Chiedevamo tutti che cosa sarebbe accaduto nei prossimi giorni e quando ci avrebbero dato un alloggio stabile. Molti si affidavano ai volontari, non solo per necessità importanti, ma anche per le cose più semplici. Ricordo che Gino chiese a Francesco come potesse portar da mangiare ai suoi animali domestici e lui lo aiutò a recarsi alla stalla.

Per Gino fu un grandissimo favore e Francesco raccontava sempre della commozione che lo invase quando il vecchietto volle ricambiare: "Ho solo queste due uova da darti, prendile pure". Quel regalo, in quel momento, fu un dono prezioso che Francesco rifiutò senza turbare il suo amico, avendo cura di rendere dolce anche il suo diniego.

Ricordo che era presente dappertutto, ovunque ve ne fosse bisogno. Spesso lo trovavi all'ospizio e non sempre per un intervento, ma per regalare una parola buona ai vecchietti. Una volta si mise a disposizione per risolvere il caso di un' anziana costretta a letto e non cosciente. Era restata in casa con tutte le scosse e lui provvide a fornirle una tenda riscaldata, dove la portò, con l'aiuto dei suoi colleghi, con tutto il letto.

Nel periodo in cui è stato in Abruzzo, andava spesso via e poi tornava di nuovo. A volte, partiva per andare a casa e ripartiva, subito, per un alluvione o per un incendio. Era, la sua, un po' la vita di un marinaio: oggi in un porto, domani in un altro e dopodomani chissà dove.

Dopo i primi mesi vennero periodi più tranquilli ed il mio amico fece affluire donazioni al mio paese grazie alla bontà dei suoi paesani, all' Amministrazione Comunale di San Damiano d'Asti, alla Proloco e a Don Antonio, il parroco, che con il suo gruppo " I Diapason" venne finanche ad allietarci un giorno con un bel concerto. Pensai che in quel paese, il buon Dio, avesse lavorato un po' di più a creare buoni cristiani!

Ma le venute di Francesco non terminarono qui. Sembrava che non potesse più staccarsi da noi. La sua era una sete di affetti: non poteva stare senza abbeverarsene! Una vita fatta di avventura in avventura, semplice ma intensa. Forse non sapeva nemmeno dove si trovasse in ogni momento della sua vita. Il volontariato lo aveva portato anche all'estero.

La sua patria era il mondo, la sua una grande scelta di vita. Una vita non più sua, ma di quelli che erano lì ad attenderlo. Dedicata a loro ed a loro consegnata. Come la vita di tanti volontari, spesa a servire ed aiutare chi ne ha bisogno senza chiedere nulla in cambio. Non ci sono luoghi precisi per far del bene, come non ci sono sempre persone particolari a cui farlo. È l'intero mondo ed è tutta l'umanità che ne ha la necessità!

Quando, dopo giusto un anno dal suo arrivo in Abruzzo, Francesco ci lasciò per un più lungo viaggio, andandosene per sempre da questo mondo che aveva tanto nel cuore, creò un vuoto incolmabile non solo in me, ma in tanti che lo avevano conosciuto qui a Barisciano. Il pomeriggio del 5 aprile 2010 (il suo decesso avvenne il 6) mi telefonò e mi disse che voleva tornare presto con la sua famiglia. Voleva rivedere l'Abruzzo perché, per la malattia, era stato lontano. Stava male ed aveva ancora sete di avventura, di conoscere, di bere alla vita, a quella vita che lo stava abbandonando. Un grande desiderio di viaggiare, ma fu il suo ultimo viaggio.

di Adriano Sabatini


Oroscopo del Giorno powered by oroscopoore