Agorà esalta Ipazia, faro della ragione

di Nicola Facciolini

22 Giugno 2010   09:11  

"Vedendo la casa astrale della Vergine, verso il cielo è rivolto ogni tuo atto, Ipazia sacra, bellezza delle parole, astro incontaminato della sapiente cultura"(Pallada, Antologia Palatina, IX, 400). Egitto, Anno Domini 391. In Alessandria l'astronoma e filosofa Hypatia (370-marzo 415) lotta per preservare tutto il sapere del mondo antico racchiuso nello scrigno della famosa Biblioteca.

Il suo giovane schiavo Davus è lacerato tra l'amore segreto per Ipazia e la libertà che potrebbe conquistare scegliendo di unirsi all'inarrestabile insurrezione dei cristiani, convertendosi e guadagnando la causa nella setta dei Parabolani. Tutto questo nella pellicola cinematografica Agorà (Usa-Spagna, 2009, 126 min.) del regista cileno Alejandro Amenàbar, girata a Malta tra il 17 marzo e il 30 giugno 2008, uscita in Italia il 23 aprile 2010, distribuita da Mikado in 200 copie, esattamente un anno dopo il suo passaggio a Cannes.

Per vivere la realtà di una civiltà remota, il film è ispirato a eventi reali mai portati prima d'ora sul grande schermo, anche se nella saga di Star Trek vi sono storie di scienziate di altri mondi e civiltà che richiamano la figura di Ipazia. Agorà è sicuramente un film in memoria di donne coraggiose come l'iraniana Neda Salehi Agha-Soltan.

Che, come Ipazia, sono le migliori in quanto disposte a perdere la vita per quello in cui credono. Una qualità incredibile e ammirevole in qualunque cultura, religione e civiltà. Agorà è anche un film che onora scienziate del calibro di: Henrietta Swan Leavitt (astronoma statunitense che mise in relazione le dimensioni delle stelle con la loro luminosità); Vera Rubin (l'astrofisica Usa, benché ignorata dalla comunità scientifica perché donna, si accorse che mancava all'appello il 90% della massa della nostra Galassia, la Via Lattea, fornendo un contributo essenziale alla scoperta della Materia Oscura); Lisa Randall (la prima donna a conquistare una cattedra al dipartimento di Fisica dell'Università di Princeton, al Mit e ad Harvard: è autrice di uno dei modelli più accreditati di Multiverso). Esemplare la fotografia di Xavi Giménez. Esalta il punto di vista del Sovrannaturale che scruta dall'alto le tragedie dell'umanità tra spettacolari viaggi orbitali (grazie alle immagini Nasa) e immaginifici epicicli astrali. Il kolossal esalta Ipazia: faro, icona e sentinella della Ragione e della Verità che, grazie anche al cono di Apollonio, cerca di svelare i misteri dell'universo e della persona. Non nel paganesimo, non nel culto, non nel cieco scientismo, ma nella riflessione e nell'osservazione. Un film da far vedere a tutti, anche nelle canoniche, nelle odierne agorà estive del cinema all'aperto. Gli spettatori sospendono l'incredulità e pensano veramente di camminare per le strade di Alessandria, una città spettacolare e dalle dimensioni incredibili. Magnifica, antica e impressionante (qui è stato sepolto Alessandro Magno), è uno dei maggiori centri della civiltà greco-romana, il più grande porto del Mediterraneo con il famoso Faro, una delle sette meraviglie del mondo antico. Ma di quale scontro tra Fede e Ragione parlano agnostici ed atei? Ma quale paura per il Vaticano? Quali pensieri contorti si aggirano nella mente dei nemici della Chiesa? "Agorà - assicura il regista Amenàbar - non è un'offesa al Cristianesimo ma è un film contro tutti i fondamentalismi e non c'è stata alcuna pressione del Vaticano per frenare l'uscita della pellicola". Siamo tra il IV e il V Secolo dopo Cristo, all'epoca dell'Impero Romano diviso tra Oriente e Occidente. Ipazia fa parte della nobiltà, la classe superiore nella vita di Alessandria. Gli intellettuali pensavano alla traiettoria della Luna, del Sole e delle altre stelle ed erano profondamente umanisti: qualità perse dai nostri attuali scienziati, salvo rare eccezioni. Ma in Alessandria avevano anche un loro lato oscuro: la schiavitù. Un'intera classe di persone erano schiave. Non erano nemmeno considerati umani, più simili agli animali domestici. Le violente sollevazioni religiose per le strade di Alessandria si diffondono fin dentro la famosa Biblioteca (il cui incendio per opera dei romani nel III secolo d.C., portò alla distruzione di 500mila volumi) di Serapide, coinvolgendo i discepoli di Ipazia. Siamo in un contesto di azioni cruente reciproche tra pagani, cristiani ed ebrei con le autorità imperiali romane accerchiate tra più fuochi.

Al centro della spietata lotta di potere tra Impero romano e Chiesa. Intrappolata dentro le sue mura del Sapere, la talentuosa Ipazia cerca di salvare papiri e pergamene del mondo antico. Tra i suoi discepoli, due giovani si contendono il cuore della donna: l'arguto e benestante pagano Oreste (futuro prefetto imperiale) e lo schiavo cristiano Davus. Ipazia non credeva agli dei, amava la ragione e la verità, interrogando le stelle, l'universo ignoto e, inconsapevolmente, Dio, ossia la Verità. Fu uccisa per invidia come molte donne nella storia. Ultima erede della cultura antica e, in quanto donna, massima espressione di una lunga evoluzione del pensiero civile e libero che non si rivedrà più fino all'epoca moderna, Ipazia viene travolta dalla crisi di un mondo decadente. Roma non ha mai amato la scienza e gli scienziati. La Chiesa non poteva permettere l'esistenza di una donna intellettuale in grado di tenerle testa. Siamo quasi alla fine di un grande Impero che non ha mai saputo e voluto ripensarsi, trovandosi così impreparato di fronte al nascere ed al dilagare di movimenti fondamentalisti sempre più fanatici e intolleranti. Una lezione per l'Umanità che nella Storia spesse volte giustifica ed alimenta fanatici e intolleranti che nulla hanno a che fare con la civiltà, l'ordine, il diritto, la fede religiosa e, soprattutto, con il Vangelo di Cristo. I tempi in cui visse Ipazia erano molto difficili. Le invasioni barbariche avevano annientato i fasti e le sontuose città dell'Impero Romano d'Occidente.

Ora premevano sull'Impero Romano d'Oriente, su Alessandria. La paura, i disordini e le violenze erano all'ordine del giorno. In primis colpivano le autorità romane ed ecclesiastiche che, tuttavia, sembrano dare nel film carta bianca ai parabolani, la setta cristiana che arriva a distruggere la Biblioteca del Serapeo dove Ipazia lavora insieme ai suoi discepoli. C'erano due Biblioteche in Alessandria. La prima è bruciata quando è arrivato Giulio Cesare, la seconda nel terzo secolo dopo Cristo. Il film parla di quest'ultima post-datando l'episodio con Ipazia che assiste alla sua distruzione. E l'inizio della fine. Sono tanti i parabolani del XXI Secolo simili a quelli di Alessandria che annientarono e bruciarono libri ed ebrei. Con apparente ostilità implacabile verso l'eresia e il potere imperiale, il vescovo Cirillo, leggendo e interpretando alcuni passi della Sacra Scrittura, nel film attacca senz'appello l'eretica strega Ipazia, dalle cui labbra pende Oreste che non si inginocchia. La filosofa aveva rifiutato di convertirsi nonostante le richieste insistenti e più che logiche dei suoi amici e discepoli. Ipazia è irremovibile. Così tutti l'abbandonano (all'inizio, sotto buona scorta romana) nelle mani degli spietati esecutori. Il regista avrebbe dovuto rappresentare fedelmente la fine di Ipazia. Fin troppo politicamente corretta è la pietà di Davus ("E' svenuta!") prima della lapidazione post mortem della donna da parte dei pazzi parabolani.

Che esistevano soltanto in Egitto, imponevano la dottrina della Chiesa con la forza, mentre nel deserto nascevano diversi movimenti ascetici. La gente era convinta che Cristo sarebbe tornato e tutti dovevano essere preparati espiando i propri peccati e svolgendo penitenze per ottenere la salvezza. Il deserto offriva un'opportunità unica di penitenza e così molti anacoreti egiziani e siriani rinunciavano a tutto. Provenivano dalle classi umili, raramente erano persone istruite, ma piuttosto dei mistici che preferivano abbandonare la vita pubblica per aspettare il Cristo trionfante. Aiutavano il prossimo, digiunavano per lunghi periodi, in perfetta castità e povertà, mentre svolgevano atti penitenziali per i peccati dei loro fratelli. Erano anche una formidabile riserva politico-religiosa per i Vescovi. Ma nel supplizio finale Ipazia fu realmente squartata viva. Così illuministi e nemici della Chiesa fin dal 1736 (non solo i poeti) la elessero loro eroina insieme al domenicano Giordano Bruno. Il film Agorà è l'occasione per parlare sinceramente e criticamente della celebre matematica e filosofa alessandrina, senza irrazionali scivoloni nell'anticlericalismo più assurdo, antistorico e illogico. La grande Storia non si studia sui sussidiari e sui film ma sulle fonti originali. Come sembra abbia fatto il regista cileno che esplora l'esperienza individuale della popolazione di Alessandria in un'epoca di grande turbolenza. Una rivoluzione ha preso piede nelle strade della città, alimentata dal declino della civiltà greco-romana e dall'avanzata del Cristianesimo. Simbolo di tolleranza tra le culture, Alessandria sembra immersa in quel tipo di stravolgimenti che normalmente indicano la fine di una civiltà e l'inizio di un nuovo ordine. A perdere sarà l'Impero, a vincere sarà la Chiesa. I temi toccati dalla pellicola sono notevoli e stimolanti: dalla riflessione su scienza e religione, al dialogo tra le fedi e le culture, ponendo al centro della discussione la vicenda personale della protagonista Ipazia, emblema di donna emancipata ma non trasgressiva, simbolo della conoscenza e della ragione libera da vincoli sociali, politici e religiosi. Tante le concessioni di una pellicola (nel cast stellare: Rachel Weisz, attrice londinese, figlia di una psicanalista austriaca e di un inventore ungherese, diventata famosa per la sua interpretazione del film La mummia); Rupert  Evans, Max  Minghella, Ashraf  Barhoum, Oscar Isaac, Richard   Durden, Sami  Samir, Michael Lonsdale; fotografia: Xavi Giménez; sceneggiatura: Alejandro Amenábar, Mateo Gil) che, per la prima volta in assoluto, racconta liberamente un momento storico in cui la Chiesa inizia a diventare una potenza e i martiri non sono più soltanto i cristiani. Alessandria era il centro del mondo e della formazione intellettuale in quel periodo.

Le persone arrivavano da ogni angolo della Terra per discutere di teatro, filosofia, matematica, astronomia e religione. Come oggi a New York, Londra, Parigi, Berlino, Pechino o qualsiasi altra grande capitale mondiale. Ma nei tempi antichi le persone non viaggiavano come facciamo oggi con gli aerei: la grande maggioranza probabilmente si allontanava soltanto di qualche chilometro dalle zone di origine. Così, una città con africani, nordeuropei, latini, indiani e orientali, diventava necessariamente uno dei posti più cosmopoliti della Terra. Non è una sorpresa che differenti filosofie potessero coesistere ad Alessandria perché la gente andava lì per imparare. Ecco perché il film è incredibilmente realistico in un contesto sorprendentemente moderno, alimentato da mondi scientifici, filosofici e religiosi che s'incrociano tra loro.

Nell'Alessandria di Ipazia non era semplice distinguere i gruppi sociali, i ricchi dagli intellettuali. Le persone istruite avevano una posizione sociale ed economica che permetteva loro di accedere all'istruzione. C'erano pochi casi di persone nate povere che potevano arricchirsi. La mobilità sociale di cui godiamo oggi in Occidente, non esisteva: le classi erano molto più definite. Un intellettuale era un aristocratico perché costoro erano gli unici a poter leggere e scrivere. Proprio in quel periodo si afferma il Clero che accetta i poveri, gli oppressi e gli ignoranti che talvolta potevano scalare i vertici della gerarchia. Molti imparano a leggere i testi sacri, altri anche a scrivere per poter annunciare a tutti la Parola di Dio. Quelli che lo desideravano potevano fare carriera, sebbene i membri più importanti del Clero provenissero quasi sempre da famiglie ricche. La Biblioteca di Alessandria diventa un luogo leggendario di formazione, grazie a una tassa simbolica pagata dalle navi che visitavano la città: dovevano lasciare una copia di qualsiasi libro che trasportavano. Un po' come oggi su Google, eclettica Biblioteca universale. Ma quanti veri santi non cristiani ci sono in Cielo? "La Chiesa, sull'esempio di Gesù, vede l'amore per Dio e per il prossimo come un motore potente capace di offrire un'autentica energia che potrà irrigare l'ambito sociale, giuridico, culturale, politico ed economico"(Benedetto XVI - Discorso 12 Giugno 2010). Nell'udienza generale di mercoledì 3 ottobre 2007 Papa Benedetto XVI ricorda la figura di San Cirillo d'Alessandria (www.reginamundi.info/padridellachiesa/SanCirilloAlessandria.asp) e siamo certi che tra le pecorelle note al Signore, sicuramente Ipazia ha un posto sicuro nel Suo Cuore. Per il martirio subito. "Considero Ipazia la versione femminile di Gesù - fa notare il regista - il suo insegnamento era la tolleranza verso gli altri, la comprensione e il rapporto che aveva con i suoi allievi era simile a quello di Gesù con i discepoli. Non a caso prima di iniziare a girare ho voluto rivedere Il vangelo secondo Matteo di Pier Paolo Pasolini".

Ipazia è una figura cristiana? "Agorà è la storia di una donna, di una città, di una civiltà e di un pianeta. L'agorà è la Terra su cui dobbiamo tutti vivere insieme. Abbiamo cercato di mostrare la realtà umana nel contesto di tutte le specie terrestri e la Terra all'interno di un contesto universale, guardando gli esseri umani come fossero formiche e la Terra come una piccola sfera tra tante stelle. Abbiamo giocato cambiando la prospettiva. Talvolta mi piacerebbe guardare da una serratura e vedere il passato esattamente come si è svolto - rivela il regista - anche se questo fosse possibile soltanto per cinque secondi o cinque minuti. E' una cosa che abbiamo cercato di fare in questo film: offrire al pubblico la possibilità di guardare il passato per due ore. Questo è un viaggio nel tempo e nello spazio. Agorà è, per molti versi, la storia del passato che si rivolge in maniera indiretta a quello che avviene nel presente. E' uno specchio che le persone possono guardare e osservare attraverso la distanza del tempo e dello spazio, per constatare quanto poco sia cambiato il mondo". Il film è girato in lingua inglese, primariamente per il mercato anglosassone ed americano. "Già in fase di scrittura - spiega il regista - sapevamo che avremmo provocato discussioni accese. Stavamo raccontando un periodo oscuro della cristianità. Eppure non avevamo nessuna intenzione di offendere i fedeli. Anzi, per me l'ispirazione del film resta cristiana: tanto i valori quanto il martirio di Ipazia accostano la sua figura a quella del Cristo. Fernando Bovaira, Mateo Gil e io siamo stati immersi per tre anni nella storia e nei libri di astronomia, completamente coinvolti dall'Egitto di 1700 anni fa. E' sorprendente come un mondo così leggendario (la Biblioteca di Alessandria, la Via Canopica e Il Faro) sembri condannato all'oblio, soprattutto al cinema". Chi ha pensato di trasformare Ipazia da simbolo di scienza, verità e libertà ad eroina femminista sessantottina di guerre sante laiciste, non ha capito nulla.

Agorà celebra una figura straordinaria, astronomicamente profetica (via gli epicicli!) che forse anticipò i tempi, lo stesso Keplero. Non a caso la pellicola era già pronta per celebrare l'Anno Internazionale dell'Astronomia 2009. Ma come Pitagora, Ipazia non fu compresa dalle menti dell'Impero Romano. Nell'Alessandria d'Egitto del Quinto secolo d.C., la figura di una scienziata, per giunta consigliere del prefetto imperiale, così illuminata e seria, non poteva andare bene. Ognuno deve assumersi nella Storia le sue responsabilità, senza eccezioni. La vita di Ipazia fu soffocata nell'Anno Domini 415 in maniera orribile. In attesa della Giustizia di Dio e degli uomini. L'interpretazione dell'attrice, premio Oscar, Rachel Weisz, è magistrale.

Il kolossal preparato da un'accurata ricostruzione storica che non trascura i dettagli, fa già molto parlare di sé tra i cristiani, i mussulmani, gli induisti e tutti coloro che credono nella dignità della persona umana. In questo Amenàbar, garanzia di qualità, ha già fatto centro e non solo intrattenimento. Facciamo in modo che il tono assunto da certi dibattiti e libri, ancora prima che Agorà approdasse nelle sale italiane, ceda finalmente il passo all'osservazione critica e oggettiva della Vita di Ipazia nel suo contesto storico. A molti non è parso vero di prendere a pretesto il film e la sconosciuta vicenda di questa donna straordinaria, per ribadire l'incompatibilità fra scienza e fede, fra cattolicesimo e ragione, fra libertà della ricerca scientifica e principi e valori religiosi annunciati dalla Chiesa in duemila anni. Laicisti e scientisti, come accadde con Giordano Bruno, hanno subito alzato la voce contro la Chiesa Apostolica Romana, ben prima che la pellicola uscisse nei paesi anglofoni. Il fatto che il film abbia subito un ritardo nella distribuzione in Italia, è bastato per far gridare allo scandalo. Ma il regista ha squarciato il velo dell'oblio non solo su un periodo oscuro della nostra Storia, ma anche sulla credibilità dei nemici di Cristo. Come rifiutare la Verità? Responsabili di certe polemiche sono i nemici della Chiesa, non gli artisti, non gli autori di questo film magnifico. La Chiesa oggi, per tornare a riempire conventi e seminari di giovani, ha bisogno di esempi autenticamente cristiani, anche laici, che professano la Verità. Magari grazie anche all'arte cinematografica che può concedersi certe libertà narrative che non sono, tuttavia, materia di fede semmai di storia. Abbiamo bisogno di autentici testimoni cristiani della Verità. Ossia di gente che non ha paura di denunciare il male nella Storia e, quindi, nella Chiesa. Allo stesso tempo, però, razionalmente non si può trasferire una vicenda del V secolo d.C. a oggi, ai movimenti, ai partiti ed alle ideologie, come se in duemila nulla fosse accaduto.

Come se i Padri della Chiesa, i frati mendicanti e predicatori di San Francesco e San Domenico, insieme a tutti i Santi fino a Padre Pio e Madre Teresa di Calcutta, non fossero mai esistiti. La forzata operazione ideologica lanciata dai laicisti atei ed agnostici di ieri e di oggi, alla prova dei fatti si rivela molto debole ed assai poco razionale. Si parli di Ipazia anche nelle canoniche. Si faccia vedere il film. Si dibatta su tutto. Ma, per cortesia e per carità, senza fare troppa confusione, altrimenti rischiamo di trasformare un bellissimo film come Agorà e una figura esemplare di pace, di scienza e di libertà come Ipazia, in un campo di battaglia fra formiche, facendo il gioco del vero nemico dell'Umanità, il Parabolano invisibile, che ama nascondersi tra di noi per adattarsi alle circostanze. Noi cristiani abbiamo moltissimo da farci perdonare. Così nelle altre religioni. Chi ben comincia è alla metà dell'opera: ora bisogna riscoprire le figure femminili di duemila anni di Cristianesimo genuino. Ma anche le eroine del nostro tempo come la giovane Neda. Se la Chiesa ricorda il vescovo Cirillo, ha le sue ragioni che invitiamo a riscoprire. Come sostiene Alejandro Amenabar "ciò che sorprende a prima vista in Agorà è la ricostruzione storica dell'antica Alessandria e come le intere vicende (suddivise in due differenti momenti temporali) siano tutte predominate da inquadrature all'interno della sua agorà (la piazza principale della città greca "polis") che la fanno diventare la protagonista indiscussa degli avvenimenti che hanno al centro la filosofa Ipazia, ultima erede dell'antica cultura greca". C'è molta Astronomia nel film. Si snodano due differenti vicende: una più scientifica che riguarda le scoperte di Ipazia in merito al sistema eliocentrico che porta la Terra a ruotare intorno al Sole; e una seconda di matrice più religiosa che mostra i sanguinosi e violenti scontri che i cristiani intraprendono prima contro i pagani e poi contro gli ebrei". Magistrali le sequenze in cui Amenabar mostra questi scontri dall'alto portandoci a osservare gli uomini accecati dall'odio. I fanatici, facendosi forza del gruppo, diventano quasi come formiche in preda alla frenesia della distruzione della Biblioteca di Alessandria. E' un film per tutti che imprime realismo alle vicende storiche. Siamo lontani anni-luce dalle varie critiche mosse alla Chiesa da pellicole fantascientifiche e turistiche come "Il Codice Da Vinci"(Parigi) e "Angeli & Demoni"(Roma) di Ron Howard o in maniera fin troppo filo-islamica come ne "Le Crociate" di Ridley Scott. In Agorà si narra una storia poco nota agli stessi cristiani, dove un certo cristianesimo degli albori inizia a fare le sue prime vittime eccellenti, conquistando le menti e gli stomaci dei più deboli oppressi come lo schiavo Davus, per sconfiggere l'Impero romano, cioè altri cristiani. Sulla Parola di Dio, l'autorità ecclesiastica fonda il suo potere. Non è una novità se i vescovi, principi della Chiesa e i soli Ministri autorizzati alla predicazione, facciano inginocchiare le potenti autorità romane. Certamente Cirillo temeva più Oreste che Ipazia.

La nostra civiltà occidentale si è preservata nei secoli grazie all'Ordine ed al Diritto romani. Non certamente grazie alle violenze.

La Chiesa e l'Impero cosa dovevano fare di fronte a masse inferocite pronte a tutto? Emblematica è la figura dello schiavo Davus che invece di cercare la libertà nella chiara espressione (come invece fa Oreste) dei suoi sentimenti nei confronti di Ipazia, decide di cambiare padrone, diventando schiavo dei parabolani e della loro cieca violenza. Davus diviene la perfetta metafora dell'uomo moderno che preferisce scegliere la via più comoda. Memorabile è la scena notturna nella quale lo schiavo prega Dio per far sì che Ipazia non si conceda a nessun altro uomo. La figura dell'Ipazia storica ci è ignota. I laicisti ne hanno creata una tutta loro, cotta a puntino, anti-cristiana, anti-cattolica al punto giusto. Ma non è la vera Ipazia. Bene ha fatto, invece, il regista che, umilmente, è riuscito a mettere del suo nella ricostruzione del personaggio ottimamente interpretato dalla Weisz, facendo di Ipazia un esempio di "roccaforte" in difesa della Ragione, della Filosofia, della Matematica (la Scienza moderna nascerà con gli esperimenti riproducibili di Galileo Galilei, ben 1.200 anni più tardi). Eroina della pace e della tolleranza, Ipazia rifiuta la lotta e la rivoluzione cruenta affidate alla falsa fede religiosa di chi pensa che si possa far convertire tutti, a suon di pugnalate, tradimenti, ottusa irrazionalità e fanatismo ideologico. Le categorie moderne non si adattano a quelle antiche. Ipazia non poteva sopravvivere a una società maschilista come quella talebana che relega la donna al mutismo e all'impossibilità di esprimere qualsiasi opinione sulle cose che contano, magari predicando la menzogna di un'apparente libertà conquistata come fanno oggi certe neo-converse italiane in Tv. Agorà non è solo un film in costume (peplum) commerciale. Racchiude al suo interno profondi significati storici e umani. Ma è anche un monito al Potere ed alla Democrazia oggi sempre più in scena in altre "agorà" mediatiche, apparentemente libere. Grazie alle sue capacità intellettive, Ipazia riesce a guadagnare l'ammirazione e il rispetto della gente per la posizione raggiunta, inconsueta all'epoca, nella gerarchia sociale. Nonostante le sue opere scientifiche siano andate perdute, è ricordata come una donna forte che ha dedicato la vita alla ricerca della Verità, alla passione per la Scienza che sono doni di Dio. Da donna conquistò una posizione pari a quella degli uomini in un mondo di soli uomini ed ebbe la totale dedizione dei suoi discepoli che vedevano in lei un ideale di saggezza e di sapienza. Bisogna ancora indagare e far luce sulla reale natura dei rapporti tra Ipazia, il vescovo Cirillo, il vescovo Sinesio e la setta dei parabolani.

Chi la condannò a morte? Occorre diffidare delle facili interpretazioni. Il film è arrivato in Italia grazie alla mobilitazione del popolo della nuova agorà di Internet: la petizione ha avuto un ruolo determinante per la distribuzione della pellicola nel nostro Paese, dopo il grande consenso ottenuto in Spagna (vincitore di 7 premi Goya), alle presentazioni al Festival di Cannes 2009 e al Toronto Film Festival. La Chiesa sa bene che la sua Storia non è limpida. Ma Agorà non è certo un film contro la Chiesa. Agorà è una denuncia contro i fanatismi che inquinano il Campo di grano di Dio. Agorà squarcia finalmente il velo della storia sulla gramigna che abita il cuore dell'Uomo (www.agorathemovie.com/). Adriano Petta e Antonino Colavito, hanno scritto un romanzo storico, da leggere con spirito critico:"Ipazia. Vita e sogni di una scienziata del IV secolo"(La Lepre, 2009, pp. 338) per celebrare una martire della libertà di pensiero, la cui uccisione fu definita dallo storico inglese Edward Gibbon:"una macchia indelebile". Fu un crimine contro l'umanità. Con questo delitto la cultura occidentale esclude definitivamente le donne dalla sfera del sapere-potere. La vita di Ipazia è una delle più antiche parabole su un conflitto secolare ancora attuale. Come rivelano gli Autori, l'importanza di questo personaggio è ancora sottovalutata: per secoli la scienza sperimentale moderna ha creduto di avere un solo padre, il cattolico Galileo Galilei, quando in realtà possiede anche una madre, nata 1200 anni prima di Galileo: Ipazia.

 

Il ritratto che ci è stato tramandato è quello di una donna di intelligenza e bellezza straordinarie. Fu l'inventrice dell'astrolabio, del planisfero e dell'idroscopio, oltre che la principale esponente alessandrina della scuola neoplatonica. Aggredita per strada, fu scarnificata con conchiglie affilate, accecata, smembrata e bruciata. Sul personaggio di Ipazia hanno scritto: Voltaire, Diderot, Proust, Pèguy, Leopardi, Pascal, Calvino, Luzi e molti altri ancora. Su Internet esiste un Gruppo che chiede di dichiarare Festa nazionale il giorno della morte di Ipazia! All'inizio del terzo millennio cristiano l'Unesco, su richiesta di 190 Stati membri, ha creato un Progetto internazionale per favorire piani scientifici nati dalla collaborazione delle donne di tutte le nazionalità, perché attualmente nell'ambito della scienza solo il 5% delle donne ricopre cariche di responsabilità. L'Unesco ha chiamato questo progetto: IPAZIA. Agorà, quindi, non è una pura e semplice biografia. E' piuttosto un poderoso affresco cinematografico di un'epoca e di una mentalità di cui poco si parla, s'insegna e si studia. Un ritratto intenso e profondo delle nostre origini che molti di noi preferivano non ricordare o, peggio, ignorare. Il peplum è sbarcato in Italia spinto dal venticello della polemica anti-Vaticano e, più genericamente, anticristiana. Un boomerang per i laicisti.

Il momento storico, con i cicloni pedofilia e sodomia che imperversano non soltanto nella Chiesa ma anche nei centri del potere mondiale, pareva favorevole ai seguaci dell'illuminismo e del razionalismo debole, ammannito dai seguaci di certo intellettualismo pubblicitario italiota. Ma la verità è venuta subito alla luce grazie allo stesso Amenàbar che, lo ripetiamo, ha messo subito in chiaro come la Santa Sede non abbia esercitato alcuna pressione per non far uscire la pellicola nella nostra "cattolica" Italia che non va a messa la Domenica e che non insegna la preghiera del Santo Rosario neppure ai cresimandi. Il regista è arrivato a girare la "pelicula" per accidente, per caso e non per volontà di puntare il dito contro la Chiesa. Una cosa è certa e vera: in questo peplum è giusto che i falsi cristiani della Storia che predicano male e razzolano peggio, facciano la loro pessima figura! Mentre Ipazia alimenta la sua sete di sapere sullo sfondo di lotte religiose tra pagani, ebrei e cristiani, i parabolani (guardie della rivoluzione) bruciano libri e biblioteche, torturano, violentano, lapidano e squartano chiunque non si converta al cristianesimo dopo aver fatto mangiare la pagnotta offerta in dono. Dovremmo forse negare questi frammenti di verità? Allora non siamo Cristiani, cioè non siamo di Cristo. Dipinta la giovane erudita con quel poco che conosciamo della sua vera vita, emerge dalla lontananza di sedici secoli una grande Storia che è destinata a suscitare una sana riflessione rigeneratrice anche negli ambienti più conservatori.

 

Lo stesso accadrà con l'Inquisizione, dopo i tiepidi tentativi cinematografici di questi ultimi 25 anni che hanno solo gettato fango sulla verità. Anche perché questi particolari periodi della cristianità non sono mai stati veramente raccontati, studiati e insegnati. Le reazioni del pubblico per Agorà sono state positive. Saggiamente spesi i 50 milioni di euro per mettere in piedi a Malta, un'Alessandria zeppa di cartoni colorati new-age, di enormi candele quadrate e di tuniche ricamate. L'uso del digitale dall'alto fa pensare a Google Map ma il fine giustifica i mezzi. Ipazia, antesignana della scienza sperimentale, è una creatura della quale si sa troppo poco, nonostante la sua amicizia con Sinesio, vescovo di Tolemaide e malgrado fosse figlia del matematico Teone (si legga il libro di Adriano Petta e Antonino Colavito).

Quanto basta per romanzarne la vicenda. Agorà parla di una criminalizzazione senz'appello di Ipazia da parte di Cirillo, vescovo di Alessandria e presunto mandante del suo assassinio. Sarà vero? Perché l'autorità romana non è riuscita a salvare Ipazia? Le guardie della rivoluzione cristiana sono troppo simili ai nazisti degli Anni Trenta del XX Secolo che prima ammazzavano gli Ebrei e poi andavano a messa la Domenica. Nei titoli di coda, chi è digiuno di Liturgia delle Ore, si stupisce del fatto che Cirillo sia Padre della Chiesa e Santo venerato il 27 Giugno. Viene da chiedersi perché Alejandro Amenàbar si sia preoccupato delle intolleranze di 1.600 anni fa, quando oggi milioni di cristiani vengono perseguitati, ammazzati, crocifissi, bruciati, stuprati insieme ai propri figli, sulla Terra del XXI Secolo. Anche se i telegiornali dell'Occidente glissano colpevolmente. Cercate la risposta in fretta perché oggi ci sono ideologie politico-religiose che non scherzano affatto, molto peggio dei parabolani di Alessandria. Guardiani della rivoluzione che ammazzano i registi che osano fare film in grado di urtare la loro suscettibilità. Per questo non abbiamo paura di essere Cristiani.

Cioè di un Cristo crocifisso e risorto per la Verità. Crocifisso nei suoi Santi anche non-cristiani uccisi nell'atto di difendere la Verità e la dignità di ogni Persona. Siccome in molti si erano adoperati per addebitare alla Chiesa il presunto boicottaggio di Agorà in Italia, poiché è toccato alla stessa casa di distribuzione chiarire la questione una volta per tutte:"Non abbiamo ricevuto nessuna pressione", ci chiediamo di pasta siano fatti certi intellettuali e giornalisti. In Agorà siamo in piena transizione dall'antichità al Medioevo. Tutti erano sacrificabili sull'altare della sicurezza pubblica (pagani, ebrei e cristiani). In tutto l'Impero Romano d'Oriente (quello d'Occidente, prossimo alla capitolazione del 476 d.C., era stato assorbito dai Barbari) si assecondavano appetiti prosaici e spietate guerre di potere. Alessandria d'Egitto, lacerata al suo interno tra l'èlite pagana illuminata (Ipazia ne fa parte quale co-direttrice della nuova leggendaria Biblioteca e persona influente presso il prefetto romano Oreste), la decadente lobby ebraica e una comunità cristiana in ascesa, costituisce un Faro esemplare per capire i conflitti dell'epoca. Dopo l'Editto di Teodosio (392 d.C.) il culto pagano viene abolito a favore della cristianizzazione dell'Impero. I nuovi prefetti imperiali delle province romane devono battezzarsi.

Il conflitto messo in scena da Agorà riguarda quello tra potere temporale e spirituale, incarnato dalla rivalità tra il prefetto Oreste (interpretato da Oscar Isaac) e il vescovo Cirillo (Sammy Samir). E' all'interno di questa diatriba che si consuma il martirio di Ipazia. "Abbiamo voluto marcare questo scontro-incontro di poteri - spiega Amenàbar - in due scene emblematiche: la prima riguarda la mancata genuflessione di Oreste di fronte a Cirillo che brandisce le Sacre Scritture; la seconda invece è l'accordo politico tra Oreste e Sinesio, vescovo di Cirene, per disinnescare le ambizioni di Cirillo. In questo intrigo di alleanze e sospetti, l'unica innocente è Ipazia. Ha pagato il fatto di essere maestra di Oreste, donna illuminata in un periodo di radicale misoginia e figura tollerante in un'epoca segnata da opposti fanatismi". A uccidere Ipazia - nel film prima soffocata da Davus, poi lapidata nella scena finale edulcorata rispetto alla realtà storica (Socrate Scolastico, l'autore ecclesiastico a cui si devono le informazioni sul terribile episodio, racconta come la donna venne fatta letteralmente a brandelli con conchiglie appuntite e i suoi resti bruciati: leggerete le sue stesse parole tra breve) - è la setta dei monaci parabolani istituiti dal vescovo Teofilo per vigilare sulla moralità pubblica.

Di monacale, però, i parabolani avevano poco o nulla. Come scrive Eunapio di Sardi:"li chiamavano monaci ma non erano neppure uomini perché conducevano vita da porci e apertamente compivano e assecondavano crimini innumerevoli e innominabili". Veri e propri Talebani ante litteram del cristianesimo fondamentalista e di qualunque altra religione o setta nella Storia. Nell'ipotesi un po' forzata del regista, i parabolani assecondano la "predica" di Cirillo. In realtà le responsabilità del vescovo Cirillo, ricordato nella liturgia siriaca e maronita come "una torre di verità e interprete del Verbo di Dio fatto carne"(www.santiebeati.it/dettaglio/27950) non sono affatto chiare. Alcuni storici del cristianesimo come Mercati e Pelzer escludono che Cirillo abbia emesso la condanna a morte di Ipazia. Benché quasi certamente Cirillo non abbia avuto alcuna responsabilità in questo efferato crimine, la vicenda è indicativa dell'atmosfera d'intolleranza e violenza che regnava in Alessandria. Amenàbar si concede una discutibile licenza artistica che tale rimane nella libertà dell'espressione cinematografica:"Cirillo fece cose anche più tremende, ma non tutte hanno trovato spazio nel film". Agorà rende omaggio alla scienza astronomica, all'epoca nota come Astrologia, regina di tutte le scienze (nulla a che vedere con l'attuale!). "

Sono sempre stato un appassionato di Astronomia e mi sono imbattuto su Ipazia quasi per caso. Era l'unica donna in una tradizione da Tolomeo a Galileo che resta esclusivamente maschile. Aveva reso i suoi studi un'esperienza spirituale, come se osservare le stelle significasse mettersi in contatto con Dio". Agora è la prima incursione del Cinema in una vicenda storica e politico-religiosa così scottante e poco conosciuta che solo grazie alle libertà delle nostre Democrazie, è possibile indagare. Non in altri regimi. "Ho rivisto i film del passato prima di iniziare le riprese. Una ricognizione preziosa ha orientato il nostro lavoro sulle scenografie: quando non c'era il digitale l'ambientazione era realistica se le location erano credibili. Con la troupe abbiamo deciso di muoverci allo stesso modo ricostruendo il meno possibile e lavorando sul digitale solo in seconda battuta per qualche leggero ritocco".

La verosimiglianza ottenuta è stupefacente. Non è facile dibattere del IV-V secolo al cinema.

Il XXI Secolo sembra ancora lontanissimo ma immediatamente capiamo, fin dalle prime scene, che quell'epoca remota in cui visse e insegnò Ipazia, assomiglia al tempo in cui viviamo. Quella Biblioteca è così simile alle nostre aule scolastiche e universitarie quando il Pensiero funziona! Un'epoca di transizione anche la nostra, incerta ed a tratti confusa dopo l'11 settembre 2001 e l'attacco agli Stati Uniti d'America. Una civiltà quella occidentale esposta al rischio della violenza e dell'autodistruzione, alla tentazione dello scontro frontale irreversibile tra politica e religioni. Impossibile da iscrivere in un cerchio, come la figura geometrica che, nella finzione cinematografica, risulta l'emblema ossessivo di Ipazia, la grande pensatrice neoplatonica. Agorà e il suo messaggio fortemente "cristiano", devono suscitare un dibattito acceso e sincero ovunque. Nella cultura italiana, nel cinema italiano, tra gli stessi registi cattolici. Il film si basa su un robusto lavoro di ricerca storica. La ricostruzione dell'Alessandria del IV secolo è precisissima ed ammirevole come riconosciuto dalla critica. L'impatto visivo risulta il pregio maggiore del film. Anche la sceneggiatura evita forzature. Basti considerare la cautela con cui il vescovo Cirillo viene presentato quale mandante morale e non quale diretto responsabile dell'uccisione di Ipazia. Ma la vera potenzialità didattica della pellicola è l'analogia più che la precisione. Dopo una prima parte tutto sommato equilibrata e coinvolgente nel descrivere il marasma di Alessandria dove credenze vecchie e nuove si intrecciano in una rete pressoché inestricabile di conflitti, con la scena madre della distruzione della Biblioteca da parte dei cristiani, il film cambia bruscamente di tono. Cirillo e i suoi seguaci, i monaci parabolani, si presentano a tratti come una sorta di Gestapo, una congrega oscurantista e misogina. La fede appare di volta in volta come una scelta opportunistica, come una fuga dalla realtà, mai come un tormento o un'estasi. La stessa Ipazia lo afferma con chiarezza quando, invitata dagli amici discepoli a battezzarsi, sostiene che non potrebbe mai smettere di revocare in dubbio ciò in cui crede. Il filosofo Socrate bevve la cicuta. Ipazia accettò il supplizio.

Il suo illuminismo scientifico non volle scendere a patti con il cieco fideismo: è incredibile ma in Agorà sembrano letteralmente "bruciare" (insieme alle pergamene della Biblioteca alessandrina) quattro secoli di complessa elaborazione teologica che proprio nel IV secolo conduce a una continua riconsiderazione di una tradizione ancora recente. Ipazia poteva salvarsi, certamente e logicamente. Del resto è così che funziona l'analogia: prende quel che serve e respinge tutto il resto. Il risultato è che, al di là delle raffinatezze filologiche di cui Agora è costellato, l'impressione generale che lo spettatore ne ricava, è di una Chiesa primitiva arrogante e spietata, lontana dai miracoli dei suoi Santi, che si fa scudo del nome di Dio per compiere stragi, perseguitare innocenti ed affermare il suo potere incontrastato su Alessandria. Troppo facile e scontata la "tesi"!

In realtà l'intento di Amenábar è stato quello di mettere in guardia contro tutti i fondamentalismi. La cinematografia d'ora in poi guarderà in faccia a tutti, illuminando a giorno verità e bugie storiche. Con buona pace dei fondamentalisti. C'è un regista italiano capace di fare altrettanto, magari di dedicare il prossimo film alle persecuzioni dei cristiani in Paesi come il Pakistan e l'India? Agorà è un film per la fame di scoperte e di impegno delle donne contro ogni pregiudizio; e condanna la furia delle armate religiose. Ipazia cercò di salvare (nel film, dall'amatissima biblioteca di Alessandria) il maggior numero di libri e pergamene possibili. Scrive Socrate Scolastico (380-440), teologo e storico, autore di una grande Storia ecclesiastica, in sette volumi:"Contro di lei si armò la gelosia; quando infatti incominciò a incontrarsi spesso con Oreste [prefetto di Alessandria], si scatenò contro di lei, tra il popolo dei cristiani, una calunnia, secondo la quale sarebbe stata proprio lei a impedire un relazione cordiale tra Oreste e il vescovo. In seguito a questo, uomini eccitati, a capo dei quali si trovava un certo Pietro il lettore, ordirono un complotto contro di lei e sorpresero Ipazia mentre stava rientrando a casa sua: la gettarono fuori dalla sua lettiga, la trascinarono alla chiesa chiamata il Cesareum e qui le strapparono le vesti di dosso, sfregiarono la sua pelle e lacerarono le carni del suo corpo con delle conchiglie affilate finché non esalò l'ultimo respiro. Squartarono il suo corpo e lo ridussero in cenere. Questa circostanza non causò la minima riprovazione di Cirillo, e neanche di tutta la chiesa di Alessandria. Ed è certo che nulla è più lontano dallo spirito cristiano che permettere che avvengano tali massacri, violenze, ed azioni di quel genere".

 

Abbiamo le prove che Cirillo abbia ordinato che tutte le opere di Ipazia venissero distrutte: i tredici volumi di commento all'Aritmetica di Diofanto, il Trattato su Euclide e Tolomeo, gli otto volumi delle Coniche di Apollonio, il Trattato sulle orbite dei pianeti, il Corpus astronomicum, i testi di meccanica e gli strumenti scientifici da lei inventati? Di Ipazia non rimane alcun scritto. Ma qual era la colpa di Ipazia? Sempre secondo Socrate Scolastico:"Ipazia giunse a un tal grado di cultura che superò di gran lunga tutti i filosofi suoi contemporanei, ereditò la scuola platonica che era stata riportata in vita da Plotino, e spiegava tutte le discipline filosofiche a coloro che lo desideravano. Perciò coloro che desideravano pensare in modo filosofico correvano da lei da ogni parte".
Ipazia propagandava la filosofia neoplatonica, non era una strega eretica, non era una meretrice, era una donna seria e preziosa come un diamante rarissimo. A chi l'accusa nel film di essere atea e di non credere in alcun dio, risponde:"Non è vero, anch'io ho un dio, è il libero pensiero filosofico". Scrive Damascio (480-550) filosofo neoplatonico:"Ad Alessandria c'era una donna chiamata Ipazia, figlia del filosofo Teone, che ottenne tali successi nella letteratura e nella scienza da superare di gran lunga tutti i filosofi del suo tempo. Provenendo dalla scuola di Platone e di Plotino, lei spiegò i principi della filosofia ai suoi uditori, molti dei quali venivano da lontano per ascoltare le sue lezioni. Confidando sulla padronanza di sé e sulla facilità di modi che aveva acquisito in conseguenza della sua educazione, sovente appariva in pubblico e davanti ai magistrati. Né si sentì mai confusa nell'andare a una riunione di uomini. Tutti gli uomini, tenendo gran conto della sua dignità e della sua virtù, l'ammiravano moltissimo".

Amenábar è riuscito a far rivivere l'universo perduto di Alessandria con un poderoso impianto visivo, grazie a dialoghi eccellenti, personaggi complessi ben costruiti, battaglie e scene di massa estremamente realistiche, senza ricorrere a effetti speciali. L'emozione arriva per via analogica. Amenábar non è Kubrick, non è James Cameron di Avatar. Il suo grande valore di denuncia, con precisi riferimenti alla situazione attuale così difficile, per le guerre di religione che ancora devastano il nostro pianeta, trova in Agorà il suo Olimpo. Per questo, da cattolico, da laico e credente, penso che Agorà sia un film da vedere, un film discutibile quanto si vuole, che la persona curiosa prenderà sicuramente come punto di riferimento per approfondire la conoscenza di Ipazia, una figura esemplare della cultura mondiale. Il gesto dei parabolani fu condannato anche dagli ambienti cristiani di Costantinopoli: una scena di un fatto storico che avremmo senz'altro apprezzato come la condanna unanime verso qualunque bigottismo settario. La giovane scienziata preferiva la passione astrale, non quella ideologica. L'eccentrica provocazione cinematografica del suo fazzoletto intriso di sangue mestruale, per far desistere gli allievi adoranti come Oreste, passerà alla storia del Cinema. Ben più significativo è l'altro fazzoletto bianco che cade, attratto dall'allora sconosciuta Forza di Gravità, nella scena iniziale: fenomeno inspiegabile al pari della terra rotonda, da cui nessuno miracolosamente - si chiedono i discepoli di Ipazia - precipita nell'universo. Ipazia insegna che la Verità non è un dogma divino.

Che nella multietnica Alessandria: elleni, egizi, ebrei e cristiani possono convivere creativamente. Come oggi accade in qualsiasi Democrazia compiuta sulla Terra. Ma l'onda nera dei parabolani di turno nella scena tragica di questo mondo, capeggiati da un feroce saltimbanco (Ammonio) che cammina sul fuoco nell'agorà di Alessandria per testimoniare la superiorità del suo Dio e in aperta sfida ai pagani, è la costante della Storia umana. E Ipazia, come sempre, vinta la corte insistente dell'amico e allievo Oreste diventato prefetto romano, resterà sola. Abbandonata da tutti. Sarebbe stata in grado ai suoi tempi e con le sue conoscenze, di determinare il movimento reale dei pianeti attorno al Sole, prima delle osservazioni e deduzioni di Copernico mille anni più tardi, per realizzare il modello eliocentrico?

Non lo sapremo mai. Il mondo sarebbe certamente cambiato più in fretta. Forse, oggi grazie ad Ipazia, avremmo già raggiunto le stelle vicine come Alpha Centauri. Cioè saremmo avanti di 1600 anche nel volo spaziale. Ma non è questo il tema centrale di Agorà che tuttavia non tenta di convincerci del contrario. Ma sbaglia di grosso chi pensa al tema discutibilissimo che "l'espansione del Cristianesimo fu un freno per lo sviluppo dell'Astronomia". Quale risposta logica vi può essere nell'affermazione ideologica "che un dio unico mal si accorda con il riconoscimento di nuovi modelli cosmici che non metterebbero l'uomo al centro dell'universo"? Siamo tutti al centro dell'Universo. Il Big Bang è accaduto ovunque, ne abbiamo le prove. Ipazia, forse, lo avrebbe prima o poi scoperto. Niente affatto femminista, avrebbe sottoscritto altro ancora delle scoperte delle sue illustri colleghe. Ecco perché Agora è un inconsueto film storico. Che dire dei cristiani fanatici, di scarsa educazione che, guidati in modo perverso, sfidano persone oneste e rispettabili, ebrei capri espiatori, manipolando l'autorità romana? E' terribile vedere cristiani ignoranti all'assalto della grande Biblioteca di Alessandria, bruciare i libri come i nazisti o i talebani, e sviluppare quello che stava per diventare un diffuso, istituzionale, velenoso antisemitismo che avrebbe condotto 1500 anni dopo alle camere a gas.

La lezione è chiara. Il mondo si salverà se saprà tutelarsi da ogni spaventoso attacco portato dal Potere ad ogni Ipazia di questa Terra che, grazie all'amore per la verità e la tolleranza, saprà segnare la Civiltà imprimendole una forte accelerazione. La Scienza (confusa con la tecnica) oggi corre questo rischio: la caccia alle streghe non è finita! I parabolani di turno sono dietro l'angolo, hanno cambiato pelle, si sono mimetizzati, prima o poi torneranno e batteranno cassa. "Tutto ha avuto inizio quando per hobby ci siamo interessati alla Teoria della Relatività" - ricorda il regista. "Volevamo saperne di più su concetti come il tempo e lo spazio, così strettamente legati al cinema. Questa curiosità iniziale è diventata una finestra che, più tardi, si è aperta su molte altre cose. Abbiamo tentato di andare oltre quello che si sa di Ipazia. Si conosce molto della sua morte ma si sa poco del suo lavoro. Inserire una sottotrama astronomica attraverso il suo personaggio ci ha consentito di fare ipotesi sulla portata dei suoi studi e anche sulle vette che la civiltà antica avrebbe potuto raggiungere se il Medioevo e la caduta dell'Impero romano d'occidente non fossero avvenuti in questo modo violento, e se dunque il mondo non fosse rimasto paralizzato per 1.500 anni". Ipazia incarna due condizioni molto interessanti: rappresenta chiaramente la mentalità greca, la ricerca della verità attraverso la riflessione, in un mondo in cui le religioni hanno un grande potere nelle vite delle persone. Ma era una donna in un mondo di uomini.

Era una donna che voleva condurre la sua vita come avrebbe fatto un uomo, con la stessa libertà di svolgere ricerche e di dedicarsi alla filosofia, come aveva fatto suo padre. Da qui la decisione di non concedersi a nessun uomo, in modo da non essere privata della libertà di cui aveva bisogno. Ipazia nel film mostra una grande passione per la conoscenza, ma deve reagire con serenità per via della sua dedizione alla filosofia. Questa dote era necessaria per i filosofi e i saggi. E' entrata nella Storia avvolta dalla leggenda, per via della sua vita personale. Ammirata per la sua intelligenza e rispettata per l'incredibile posizione che aveva ottenuto nella gerarchia sociale della città, viene rappresentata dalle fonti dell'epoca come una donna bellissima. Ipazia è morta vergine. Sappiamo da alcune lettere dei suoi studenti che ispirava una devozione incredibile tra gli allievi, mantenendo sempre una grande dignità e nobiltà, senza mai oltrepassare i confini che esistono tra insegnante e allievo, in un'epoca in cui era decisamente inconsueto per una donna insegnare. Piccola curiosità. "Davo è un personaggio che abbiamo inventato - rivela Amenábar - ma è fondamentale per consentirci di mostrare come funzionava la città, l'ambiente di Ipazia, la società greco-romana e il mondo antico in generale, insomma come veniva percepita la schiavitù nel quarto secolo.

Vediamo la cristianità originale attraverso i suoi occhi, come si è evoluta passando dall'essere una religione perseguitata a una dominante. Davo diventa un parabolano, membro cioè di una fazione religiosa molto rappresentativa del periodo, un gruppo di monaci che ha iniziato come ordine che aiutava i bisognosi ed ha finito per diventare l'appendice armata della Chiesa". Ipazia ha vissuto una delle più intense storie d'amore di sempre, ma con il Cosmo. Si sentiva piccola di fronte all'immensità dell'universo e il suo obiettivo era di svelarne il mistero. Eroina romantica nell'Europa del XVIII Secolo, se Ipazia avesse vinto i suoi oppositori, salvando i suoi scritti, oggi saremmo certamente migliori. L'Islam, presentato con bonaria pietà dai film hollywoodiani di questi ultimi anni, è pronto a raccogliere pacificamente la sfida culturale della Verità in nome della Civiltà sull'orbe terracqueo? Come ha scritto un famoso rabbino, "il timor di Dio senza gioia è solo depressione".

 

 


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