Alba d'oro: quando Zangari si difendeva e la stampa non taceva

17 Marzo 2009   21:57  

Era il marzo 2006. Un giornale locale, Site.it, pubblicava, a firma del direttore Angelo Venti, un articolo che sollevava inquietanti interrogativi sull’Alba d’oro spa, e sui rischi di infiltrazioni mafiose nella Marsica.  Due giorni fa gli arresti  a seguito di un'inchiesta che ha preso le mosse anche da quell’articolo e dalla conseguente interrogazione parlamentare del deputato di Rifondazione Giuseppe Di Lello.

Segnaliamo poi  un video   eccezionale in cui Nino Zangari, arrestato l’altro ieri con l’accusa di riciclare denaro della mafia a Tagliacozzo, interviene durante un convegno organizzato da Libera nel dicembre 2007, per un'appassionata autodifesa.

Dalla vicenda si trae una lezione: l'informazione riveste un ruolo  fondamentale, oggi più che mai, nell'impedire alla criminalità  organizzata di insediarsi nel territorio. Il Rapporto annuale di SOS  impresa, a cura della Confesercenti e datato dicembre 2008, parla chiaro: le mafie con un fatturato di 130 miliardi e un utile  che sfiora i 70 miliardi sono la più grande holding italiana, gestita non da rozzi contadini con la lupara, bensì da manager preparatissimi e insospettabili e con complicità a tutti i livelli, politico, giudiziario, finanziario.  La crisi  economica amplifica la minaccia, anche in Abruzzo, rappresentata dall'usura, dal  riciclaggio, dall'insediameto in pianta stabile di attività  economiche legate alla criminalità organizzata, alcune delle quali apparentemente  pulite. Questo perchè le mafie sono l'unica azienda a non avere  problemi di liquidità e, come scrive Mary Jordan sul  Washington  Post, "in Italia le imprese hanno un disperato bisogno di prestiti,  perchè devono far fronte al calo delle vendite, all'aumento dei  debiti, o alla bancarotta immininente. E le banche hanno chiuso i  cordoni della borsa". Per SOS imprese si sta estendendo l'area della "collusione partecipata”, un esempio sono le ditte del Nord Italia che appaltano lo smaltimento illegale dei rifiuti alla Camorra, facendo finta di non sapere con chi hanno a che fare. Le mafie poi si infiltrano come un virus letale nelle aziende in difficoltà, le salvano dal fallimento e poi ne prendono possesso. Il vecchio proprietario da libero imprenditore diventa così un affiliato a libro paga, e spesso accetta il suo destino in complice silenzio, perchè  a ribellarsi si rischia la vita e perchè tanto l'alternativa sarebbe stata la bancarotta.

Settori preferiti di questa subdola infiltrazione sono, secondo SOS impresa, le ditte edili, a seguire le attività  commerciali, grande distribuzione in particolare, ("Solito argomento Despar", si legge in un pizzino di Bernardo Provenzano), e poi la ristorazione, l'autotrasporto e l'industria del divertimento. Fanno gola in particolare i casinò., dove è molto facile riciclare in breve tempo immense moli di denaro sporco.  Ancora secondo SOS  Impresa  "gli interessi delle mafie si sono spostati all’ingresso nei  capitali e nella gestione. I motivi vanno ricercati nei molteplici interessi che ruotano intorno ai grandi centri commerciali, considerati dalla criminalità formidabili luoghi di riciclaggio del denaro, capaci al contempo di garantire floridi affari sulla  lottizzazione delle aree, sulle opere di urbanizzazione, sugli  appalti per la costruzione delle opere murarie, e da ultimo sulla  imposizione di forniture, di servizi, di manodopera. Galline dalle  uova d’oro. Tanto che la presenza dei boss sembrerebbe essere  passata dal condizionamento esterno (limitazioni sull’ imposizione del pizzo, o dei servizi di guardiania e autotrasporto) al controllo di quote societarie e persino nella gestione diretta."

Afferma a tal proposito  il parlamentare Francesco Forgiane, presidente  della Commissione parlamentare antimafia:  «i canali attraverso i quali viene lavato il denaro appaiono i più ingegnosi e diversificati: uno di questi è quello dei supermercati e dei loro scontrini. I registratori di cassa, emettono ricevute a raffica, anche con qualche cifra in più; così gli ’ndranghetisti stanno aprendo catene di negozi e centri commerciali in società con cinesi"
In questa strategia  fondamentale è infine la corruzione della pubblica amministrazione e non solo. Nel bilancio della mafia, ricostruito sulla base di dati provenienti dalle varie inchieste giudiziarie,  a tale voce in uscita vengono riservati 3,8 miliardi di euro.  (FT)

Da Site.it 

ALBA D’ORO A TAGLIACOZZO  

A differenza degli interventi di Pescina, Scurcola, Magliano, Luco, Aielli e Celano, va detto che la struttura turistica di Tagliacozzo è in via di ultimazione e aggiungiamo anche che è un bell’intervento. E’ finita in cronaca nazionale a causa di un’inchiesta della Antimafia di Palermo: gli inquirenti siciliani, sulle tracce del cosiddetto Tesoro di Vito Ciancimino (l’ex sindaco di Palermo a suo tempo arrestato per mafia), si sono imbattuti nella Alba d’Oro srl. Don Vito è morto nel 2002 e la Procura di Palermo, sulla base delle dichiarazioni del pentito Nino Giuffrè, ha ripreso la caccia: ora ci sono i figli Giovanni, Luciana, Roberto e soprattutto Massimo. E’ accusato di intestazione fittizia di beni e non più di riciclaggio come richiesto dai Pm: per i giudici i beni sarebbero del padre, ma non è dimostrato che i capitali provenissero da attività mafiose. Massimo si è costruito un impero con interessi in mezza Europa ma in particolare nel settore del gas. Secondo gli inquirenti attraverso la Gas spa, venduta nel 2004 ad una multinazionale spagnola per 120 milioni di euro. Prima della cessione agli spagnolile quote della Gas spa erano detenute da Gianni Lapis, un professore tributarista che per i magistrati agiva come prestanome dei Ciancimino. Anzi, secondo i pentiti, la società che ha portato il gas in Sicilia era “nelle mani di Provenzano”.Ma dove sono finiti i 120 milioni di euro della vendita della Gas spa? Per gli investigatori – come riferisce il settimanale. L’espresso ed altri quotidiani nazionali – in investimenti in Romania, Belgrado e anche nella Alba d’oro srl, la società che sta realizzando la struttura ricettiva a Tagliacozzo. A presentare nel 2002 al Comune il progetto per la realizzazione di un campeggio fu la Ricci e Zangari srl, capitale di 10.400 eurodiviso tra i soci Ricci Achille, Ricci Augusto e Nino Zangari, all’epoca assessore nel comune di Tagliacozzo. L’Ufficio tecnico dà parere favorevole alla costruzione dell’impianto in zona agricola, località Fontanelle, e la Giunta comunale approva lo schema di convenzione.Nel 2003 il progetto passa di mano e dalla Ricci e Zangari srl la concessione edilizia viene rilasciata ad Alba d’oro srl che sottoscrive la convenzione con il Comune. Tutte e due le società hanno sede a Tagliacozzo, allo stesso indirizzo: via Oriente 215. La Ricci e Zangari srl rimane comunque come impresa esecutrice dei lavori e nel 2004 viene presentata una variante al progetto.La nuova società Alba d’oro srl, proprietaria della concessione edilizia per la struttura ricettiva, si è costituita nel settembre 2002 con Gianni Lapis come presidente del consiglio di amministrazione.Il capitale sociale è di 40mila euro così suddiviso: 6.600 euro Zangari Nino, 6.800 euro Ricci Augusto, 6.600 euro Ricci Achille. Infine 20mila euro (pari al 50% delle quote), è della Sirco spa, con sede a Palermo. Con il procedere dell’inchiesta dei magistrati antimafia, la Sirco spa subisce un terremoto che culmina nel luglio 2005 con il sequestro preventivo dei capitali ad opera del Gip del Tribunale di Palermo.Ma come è finito Gianni Lapis a Tagliacozzo? Secondo alcune voci attraverso la società palermitana Gea spa, che gestisce la rete del gas di Tagliacozzo. Una ultima nota: i lavori del camping sono in via di ultimazione ed è al via la campagna promozionale. Per prenotarsi visitate il sito: www.laconteacamping.it.

Angelo Venti marzo 2006

 

Vedi anche:
A Tagliacozzo parte del tesoro di Ciancimino. Arresti e sequestri


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