Giuseppe Caporale è abruzzese ed è un giornalista. Solo un'ora dopo il terribile terremoto dello scorso 6 aprile lui si trovava già all'Aquila, tra le macerie di una città spezzata. Ricomporre la vita di una comunità non è cosa semplice, non lo è quasi mai per catastrofi come questa, non lo è mai in un Paese come l'Italia dove la gestione dell'emergenza - i soccorsi prima e la ricostruzione poi - rimane impigliata, troppo spesso, nelle maglie di una pubblica amministrazione malata. All'Aquila sembra essere andata così.
Caporale, nel suo libro L'Aquila non è Kabul. Cronaca di una tragedia annunciata (ed. Castelvecchi), che lei definisce una cronaca "non autorizzata", traccia un quadro "tragico" del prima e del dopo terremoto.
"Nel mio libro ho cercato di mettere in evidenza le crepe che ci sono nel modello della Protezione civile, quando interviene l'emergenza".
Infatti, lei ha fatto sei domande a Bertolaso. Domande senza risposta.
"Credo di essere l'unico giornalista in Italia a cui Bertolaso continua ad evitare di rispondere. Perché vedo che di solito è disponibile con i media. Ma alle domande che gli ho posto almeno sei mesi fa lui ha preferto evitare di dare qualunque tipo di risposta. Ovviamente questo ha creato tutta una serie di dubbi che adesso sono agli atti della procura della Repubblica dell'Aquila, perché il libro è stato acquisito agli atti dell'inchiesta".
Cosa ha chiesto al direttore della Protezione civile?
"Una era semplice, chiedevo se era il caso che la Protezione civile si occupasse anche dei Mondiali di nuoto e di altri eventi minori che possono entrare nelle urgenze ma non possono essere paragonati a un'emergenza come quella del terremoto. Un'altra era se si poteva in qualche modo intervenire prima. Le intercettazioni di Firenze dimostrano come Bertolaso fosse costantemente in contatto con la commissione "grandi rischi" che monitorava il sisma dell'Aquila, ma pur sapendo che c'erano questi sussulti da mesi non è stato attivato né un piano di evacuazione né un piano di intervento. Si è arrivati troppo tardi e se invece di tranquillizzare la popolazione in quei giorni drammatici la si fosse quanto meno allertata, qualcosa la si sarebbe potuta fare e fose si sarebbe potuta salvare qualche vita in più".
Anche su questo la procura dell'Aquila ha aperto un'inchiesta.
"Sì, un'inchiesta a cui i cittadini aquilani tengono molto e che sperano vada avanti per chiarire questo aspetto drammatico: perché per quattro mesi sessantamila aquilani sono stati cottretti a vivere con la borsa pronta e hanno lasciato che il terremoto venisse senza prendere la benché minima precauzione? Aggiungo che l'intervento successivo è avvenuto con un modello di gestione che però ha comportato la rinuncia alla libertà perché ancora oggi la gestione della città dell'Aquila è una gestione militarizzata dove c'è pochissimo spazio per la democrazia. Come racconto nel libro, nei campi era vietato il volantinaggio e così le assemblee dei cittadini, insomma grandissime limitazioni della libertà".
Dopo i soccorsi, la ricostruzione della città. E' passato abbastanza tempo, possiamo fare un bilancio: qual è la situazione?
"Posso dire che il messaggio mediatico è stato un messaggio falso. All'Aquila non si è ricostruito, ma sono state costruite delle città d'emergenza: si è avuta la più grande colata di cemento degli ultimi anni, sono state edificate aree verdi con case popolari. E questo non c'entra nulla con la ricostruzione, perché la ricostruzione è riportare alla luce la città distrutta, che oggi rimane distrutta. Guardi che l'Aquila è ancora invasa dalle macerie, quattro milioni di metri cubi di macerie che non sono stati rimossi. E anche su questa inerzia c'è un'inchiesta della procura della Repubblica".
Un messaggio mediatico falso dunque?
"Credo che ci sia una differenza sostanziale tra la realtà e il messaggio mediatico che veicola la realtà. Nel messaggio mediatico passa il concetto che all'Aquila vada tutto bene. In realtà quello che si è fatto è ricostruire ex novo 18 quartieri dormitorio per l'emergenza".
Il "gran cerimoniere" dei soccorsi e della ricostruzione è stato Bertolaso con la sua Protezione civile. Oggi c'è un'inchiesta che sembra stia facendo emergere appalti truccati e corruzione. Dalla Maddalena all'Aquila, l'ha stupita la bufera sulla Protezione civile?
"Purtroppo è un'inchiesta che non mi stupisce. Sui problemi della Maddalena, Repubblica (Caporale è corrispondente di Repubblica. ndr) ha scritto molto e non da ieri. A questo punto è sospetta anche la decisione di spostare il G8 dalla Maddalena all'Aquila. Forse proprio perché i problemi che stanno emergendo erano chiari ai responsabili apicali del governo già mesi addietro".
Cioè?
"Quello che in realtà si teme è che anche per la ricostruzione dell'Aquila ci siano i tentacoli non solo della corruzione ma anche della criminalità organizzata. Su Repubblica ho scritto insieme al collega Attilio Bolsoni cronache dove si documenta che sono al lavoro aziende che non hanno il certificato antimafia. Sono sotto la lente d'ingrandimento della magistratura 126 ditte sospette in questo momento all'Aquila. C'è, ripeto, un'attività forsennata di edificazione e di cemento che fa gola a tanti come dimostrano adesso le carte di Firenze. L'Aquila da città della tragedia è diventata una torta da spartire. Questo credo che sia il rischio più grande. Ma ormai non è più un rischio, è un fatto".
Dalle carte di Firenze emerge un quadro inquietante. Una cosa che ha colpito molti è la chiacchierata telefonica all'indomani del sisma dell'Aquila di alcuni imprenditori che ridacchiavano pregustando i grandi affari che il terremoto avrebbe portato loro. Come si può commentare?
"Penso che ci siano persone avvezze ad ogni nefandezza: chi per mestiere decide di legare la propria attività alle catastrofi non può che sorridere di fronte al male altrui. Siamo davanti ad una vicenda, quella dell'Aquila, che ha non solo ferito l'Italia ma commosso il mondo. Ma quello che preoccupa è come le amministrazioni locali invece di creare degli anticorpi a queste cose, stiano piuttosto predisponendo un tessuto che potremmo definire di connivenza o di rapporti poco chiari e di infiltrazioni che potrebbero segnare in via definitiva il futuro dell'Aquila".