Celestino, Silone, e le disavventure dei poveri terremotati

di Antonio Gasbarrini

10 Settembre 2009   14:24  

A volte, la vera notizia giornalistica di un evento capitale, quale può essere considerato per i cristiani la celebrazione celestiniana della Perdonanza, o meglio della Festa del Perdono come è più corretto dire storicamente, va ricercata tra le pieghe di un articolo.
Nel caso specifico, mentre ha tenuto banco su tutti i massmedia italiani e stranieri la diserzione dal  corteo e dalla programmata cena conviviale del sig. b. con il cardinal Bertone – con la “Porta Santa” rinchiusagli sostanzialmente in faccia dal Vaticano a causa del killeraggio effettuato nei confronti del direttore de L’Avvenire Boffa da parte del quotidiano Il Giornale di sua proprietà  – è stata pressoché ignorata (a parte la felice eccezione di cui si dirà appresso) una sostanziale variazione al rito dell’apertura di quella Porta appena lambita dalla furia sismica devastatrice delle 3.32. Porta, è bene dirlo subito, non attraversabile da un peccatore “né pentito né contrito” quale si è dimostrato essere il sig. b. nelle sue esponenziali, quanto minacciose e ricattatorie sortite antidemocratiche, ad iniziare dal disconoscimento del fondamentale diritto alla libertà d’informazione.

Eccola trascritta, così come risulta sottolineata con un evidenziatore:«La cerimonia dell’apertura del Giubileo celestiniano si è svolta regolarmente e con due novità: Il cardinale segretario di Stato Vaticano, Tarcisio Bertone, ha colpito per tre volte la Porta Santa (come vuole la tradizione) con un martelletto dorato fatto arrivare dalla Basilica di S. Pietro. Ha sostituito il ramoscello d’ulivo utilizzato per 27 anni; nello sfacelo provocato dal sisma  a Palazzo Margherita (sede del Comune dell’Aquila), quell’oggetto simbolo di pace e riconciliazione non è stato trovato. Ma sarà cercato ancora [...]» (Giustino Parisse, Il Centro, 29/8/2009).

Sicché all’ovattato,  pacifista e pacificante “rintocco” spirituale dei tre colpi dati alla Porta da un ramoscello d’ulivo, è subentrato per un’oggettiva necessità, il più deciso, autorevole ed autoritario suono di un martello dorato diffusosi all’interno dell’irriconoscibile, disastrata Basilica con la stessa veemenza di un boato tellurico.
Per capire cosa sia realmente successo dietro le quinte dell’affaire sig. b. - Santa Sede, è sufficiente riandare a leggere alcuni  passi della pauperistica utopia celestiniana  esplicitata ne L’avventura d’ un povero cristiano dal preveggente Ignazio Silone, il quale in fatto di terremoti naturali ed ideologici se ne intendeva, e assai: «La storia dell’utopia è in definitiva la contropartita della storia ufficiale della Chiesa e dei suoi compromessi col mondo. [...] Se l’utopia non si è spenta, né in religione, ne in politica, è perché essa risponde a un bisogno radicato nell’uomo. Vi è nella coscienza dell’uomo un’inquietudine che nessuna riforma e nessun  benessere materiale potranno placare. La storia dell’utopia è perciò la storia di una sempre delusa speranza, ma di una speranza tenace».

I fraticelli spirituali aspettavano con impazienza l’avvento del Regno di Dio preconizzato da Gioacchino da Fiore, ovvero: «L’attesa di una terza età del genere umano, l’età dello Spirito, senza Chiesa, senza Stato, senza coercizioni, in una società egualitaria, sobria, umile e benigna, affidata alla spontanea carità degli uomini» (ancora Silone).
Al conseguente rifiuto del Potere da parte di Celestino, ha fatto da “contraltare” proprio nei tre giorni della Festa del Perdono, la forte contrapposizione tra due Poteri (Stato, o per esser più precisi sig. b. e Chiesa).
Mentre per quanto riguarda la Chiesa alla fin fine ha prevalso, su ogni altro interesse, la salvaguardia spirituale dell’insuperato e insuperabile messaggio cristiano sigillato nella Bolla, per lo strafottente sig. b.  è finalmente caduta la maschera “incerata” con cui da vero trasformista alla Fregoli, ha sin qui incantato l’opinione pubblica con le sue reiterate, invereconde e propagandistiche passeggiate negli stravolti luoghi della devastazione e del dolore (tanto per rammemorare: il 25 aprile, Festa della Liberazione dal nazi-fascismo, snobbata per un quindicennio, s’è fatto immortalare nel “sacrario” della martoriata Onna mentre sta indossando il fazzoletto tricolore della gloriosa Brigata Maiella; il giorno dopo vola a Napoli per festeggiare l’ex minorenne Noemi....). 

I suoi posticci sorrisi slargati da mirabolanti promesse sulla ricostruzione della città-territorio mai mantenute (ad esempio il contributo del 100% anche per la riedificazione delle seconde case), sono stati così travolti dalle lacrime “salate” degli aquilani e degli altri credenti che hanno attraversato la Porta inondando, come un torrente in piena, quei cumuli e cumuli di macerie della “loro” irriconoscibile Basilica, caoticamente sparsi in ogni dove come frammenti di meteoriti caduti da un cielo nemico.

Ho già più volte ricordato in altri articoli, come i danni materiali subiti siano stati valutati in 20 milioni di euro; i tempi del ripristino architettonico e del restauro in svariati anni. Ad oggi, a parte qualche marginale sostegno finanziario di questo o quell’Ente, né il Governo, né tanto meno il Ministero per i Beni culturali, hanno avuto la sensibilità istituzionale di restituire alla città, all’Italia e al mondo intero (con un finanziamento mirato), quest’autentico gioiello dell’arte religiosa medioevale- rinascimentale: ma non è mai troppo tardi.
Inoltre, a sentire il Capo della Protezione civile, per fronteggiare i costi della ricostruzione:«Siamo pieni di soldi: 500 milioni dell’Unione Europea, 200-300 milioni con il decreto legge, 125 milioni del Cipe. Il problema non è la mancanza di soldi. Forse dobbiamo migliorare le procedure per accedere ai contributi». La verità è  ben altra. Per la ricostruzione il Governo ha stanziato sulla carta, per il periodo 2009-2033 (vale a dire un quarto di secolo), circa 4 miliardi così spalmati: 69 per quest’anno; 334 per il prossimo; 1896 per il 2011; 1656 per il periodo 2012-2015; la parte restante fino al 2033, anno in cui gli attuali sessantenni-settantenni saranno quasi tutti trapassati a miglior vita.
Dalle strabilianti affermazioni si può dedurre che il dr. Bertolaso, mentre sta de/costruendo, da urbanista più che dilettante, la città con l’evacuazione forzata di circa 15.000-16000 aquilani che entro dicembre dovrebbero essere “smistati” come pacchi postali nella ventina di little towns, confonde le ingenti risorse finanziarie indispensabili per la ricostruzione dei centri storici dell’Aquila e dei borghi o comuni viciniori – valutabili attorno ai 20 miliardi di euro – con i più contenuti costi sostenuti e da sostenere relativi all’assistenza emergenziale per i terremotati (gestione tendopoli, alberghi, autonoma sistemazione, progetto CASE).

Quanto alle improvvisate scelte sino a qui effettuate dal Governo e dalla Protezione civile con l’indecente bagarre finale della più che tardiva chiusura delle tendopoli, della minacciata requisizione degli alberghi cittadini, della improvvida destinazione degli increduli terremotati, siano essi extracomunitari, nella “caserma” della Guardia di Finanza ed in altri alberghi della regione, bene ha fatto il comitato Ara a rilevare come: «Con 838 milioni spesi per tendopoli, alberghi e progetto CASE, ci saranno 16.000 posti letto a dicembre. Mentre gli stessi soldi investibili in moduli abitativi removibili, avrebbero reso disponibili già da settembre 39.000 posti letto». Sta nel succo di queste non-aride cifre, il totale fallimento dei delittuosi quanto miopi interventi post-sisma sino a qui decisi dalla compagine governativa, Dr. Bertolaso incluso.
Per sua stessa ammissione, poi, il Governo ha stanziato striminzite risorse per la ricostruzione 2009-2010, in misura inferiore a quella resa disponibile dall’Unione Europea (dove bisognerà ancora bussare, e con forza, per ottenere il riconoscimento della “zona franca rossa” per la città-territorio  dell’Aquila, includendovi anche le frazioni ed i comuni più vicini, e possibilmente, tutti quelli della provincia inclusi nel cratere).
Perché? Qual è il disegno strategico sotteso alla scellerata scelta di una “definitiva demolizione” del centro storico attuata con pervicacia mediante l’esodo massivo del 20% dei suoi abitanti nelle little towns; con l’altro 40-50% esiliati chissà per quanto tempo ancora negli alberghi della costa e nelle dimore “racimolate” qui e là con l’opzione  dell’autonoma sistemazione; con il mancato riconoscimento del 100% del contributo per le seconde case; con il non-abbattimento delle ritenute fiscali sospese ed una loro differita, lunghissima rateazione; con l’aver dimenticato per strada le migliaia di studenti universitari senza più un tetto disponibile per le loro esigenze, e via  di seguito.
Questa, l’istintiva, paradossale risposta da dare, filtrata in negativo: trasformare il centro storico dell’Aquila in uno dei più importanti siti archeologici post-storici del mondo o in una delle più appetibili aree urbane da svendere, anche se solo “a pezzi”, alle società immobiliari e finanziarie. 

Tornando a Silone, tra i fraticelli spirituali protagonisti di L’Avventura d’un povero cristiano, spicca la figura del giovane fra Clementino da Atri, al quale sono affidate le parole-chiave dell’utopia celestiana, accompagnate da un teatralizzante recitato («Fra Clementino invece resta sull’ultimo gradino, sorride e si sposta da un lato all’altro a passi ineguali, come di danza, guardando il cielo»).
Ed ecco la più rivoluzionaria delle sue massime: «Povertate è nulla avere / è nulla cosa poi volere / e ogni cosa possedere / in spirito di libertate».
Cosa c’entrava e c’entra un bulimico accumulatore di ricchezze qual è il sig. b. – incapace persino di fingere, onorando la promessa di ospitare almeno uno degli aquilani terremotati nelle sue sfarzose ville – con l’altissimo Magistero spirituale celestiniano?  
Silone è sempre vissuto “in povertate” ed ha posseduto, e come!, un vincente “spirito di libertate”, minimamente inficiato dal revisionismo storico in atto, particolarmente feroce nella rilettura biografica della sua straordinarie vicissitudini esistenziali avvenute dentro e fuori le coordinate cristiano-marxiste.

Dopo lo sconvolgente terremoto, gli aquilani stanno vivendo, non già per scelta, ma per decreto di un amaro destino, in crescente povertà: possa il loro comprovato “spirito di libertate” riconquistare almeno gli indispensabili spazi  decisionali occupati da un verticistico Potere autoritario pseudo-decisionista.

Si riapproprino, e subito, della proprietà materiale, civile, culturale e spirituale della “loro città”: gli ospiti, pompieri e “volontari veraci” a parte, dopo aver ricevuto un caloroso grazie per l’assistenza prestata, se ne tornino il più presto possibile nelle loro belle, accoglienti case. 

* Antonio Gasbarrini  è un critico d’arte – Art Director del Centro Documentazione Artepoesia Contemporanea Angelus Novus, fondato nel 1988 (L’Aquila, Via Sassa 15, ZONA ROSSA). Attualmente “naufrago” sulla costa teramana. antonio.gasbarrini@gmail.com


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