E' sicura e genuina la carne suina in Abruzzo?

Dopo l'allarme diossina

09 Dicembre 2008   13:00  

INTERVISTA AL PRESIDENTE FEDERCONSUMATORI ABRUZZO -  Il caso della carne di maiale  avvelenata dalla diossina proveniente dalI' Irlanda e venduta, in rassicuranti confezioni, anche nei banconi frigo di alcuni supermercati italiani, riporta d'attualità una domanda: è sicuro il cibo che mangiamo? Possono stare tranquilli i consumatori?
Per quanto riguarda l'Abruzzo pare di si. Allo stato attuale non risultano essere stati effettuati sequestri  sul territorio regionale.  Dal Ministero non è cioè arrivata l'allerta al Servizio  veterinario regionale, che cooordina a sua volta i controlli delle Asl. E non è arrivato nessun campione da analizzare all' Istitituto zooprofilattico di Teramo, che è  un centro di referenza  proprio per la diossina negli alimenti.
Vigilano sulla sicurezza alimentare anche i Nas e l'UIvac il di Pescara, un servizio del Ministero specializzato nel controllo  delle carni comunitarie.
Insomma, nessuna partita di carne suina, nè tanto meno bovina proveniente dall'Irlanda, è arrivata in Abruzzo.
I controlli a monte pare abbiano funzionato, la tracciabilità delle carni si è rivelato un'efficace strumento per individuare le partite contaminate, sequestrate ad esempio in Campania, Emilia Romagna e Veneto. Aldo Grasselli, segretario della Sivemp, societa' italiana dei veterinari pubblici  ha questa mattina confermato: "I consumatori possono stare tranquilli  - afferma -  perche' dopo l'allerta i controlli sono a tappeto, e tutta la carne che trovano in tavola e' certificata."
In Abruzzo però le associazioni dei consumatori, in particolare Federconsumatori, lamentano   che a distanza di una settimana dall'allarme non è pervenuta una comunicazione ufficiale da parte degli organi competenti e così come testimoniano le tantissime telefonate pervenute ai centralini delle associazioni, i consumatori non si fidano, non si sentono sicuri, e l'incertezza rischia di danneggiare, ironia della sorte, anche il mercato locale di carne genuina e di sicura tracciabilità. Il Codacons chiede a sua volta  di avviare subito ulteriori controlli in tutta Italia, Abruzzo compreso, in particolare su zampone e cotechino, sulla base del principio di precauzione.

42 SEQUESTRI IN TUTTA ITALIA

Sono 89 le partite di carne suina importate in Italia dall'Irlanda a partire da settembre, da quando cioe' e' scattato l'allarme diossina. Lo ha reso noto il sottosegretario alla Salute, Francesca Martini, che ha annunciato che 42 di queste partite sono state gia' rintracciate e sequestrate. "Contiamo in brevissimo tempo - ha detto - di trovarle e sequestrarle tutte". "Delle 42 partite di carne sequestrate - ha specificato la Martini - 23 sono state trovate in Lombardia, una in Calabria, una nella Provincia autonoma di Trento, 8 in Emilia Romagna, 6 in Veneto, una rispettivamente in Lazio, Puglia e Basilicata. Tutte rinvenute presso i grossisti, prima del commercio al dettaglio". Infatti, ha spiegato la Martini, "i Nas ieri hanno proseguito i controlli sui supermercati, effettuandone 120 e non reperendo tramite la documentazione degli esercizi stessi carne suina di origine irlandese". Nel frattempo "stiamo intensificando i controlli alle frontiere sulle carni bovine irlandesi, sebbene non ci siano ancora disposizioni in questo senso dall'Unione europea". Il sequestro, ha spiegato il sottosegretario, e' a scopo cautelativo: "L'importante e' bloccarle ed evitare che finiscano sulle tavole degli italiani. Poi valuteremo se e come effettuare le analisi". In ogni caso, nessun rischio per cotechino e zampone natalizio: "Questi prodotti - ha rassicurato la Martini - vengono lavorati diversi mesi prima della commercializzazione, e quelli sul mercato provengono da carni lavorate prima dell'1 settembre, cioe' la data stabilita dall'Unione europea dopo la quale c'e' il rischio di contaminazione". Intanto, appello del Codacons: "Non comprate per le prossime festivita' cotechino e zampone", e' l'invito rivolto ai consumatori italiani. "Il Governo deve muoversi, non c'e' piu' tempo da perdere, e deve emettere un decreto urgente che imponga subito l'etichetta di origine sulle carni suine commercializzate in Italia - afferma il Presidente Codacons, Carlo Rienzi -. In attesa che cio' avvenga, e per tutelare la salute dei cittadini, invitiamo i consumatori a non acquistare nei prossimi giorni di festa cotechini e zamponi in vendita nel nostro paese, e a sostituire tali prodotti con altre carni". Ferma la replica del sottosegretario Martini: "Non condivido questo appello. Questi allarmismi fanno male all'economia italiana". E' dello stesso avviso la Cia, confederazione nazionale agricoltori: "No ad allarmismi ingiustificati che possono provocare dannose psicosi; carne bovina, prosciutti, salumi, zamponi e cotechini venduti in Italia sono sicuri". E i veterinari rassicurano: "Da quello che ci risulta il problema diossina non esiste". Secondo Aldo Grasselli, segretario della Sivemp, "non c'e' alcuna probabilita' che a Natale si trovino in tavola un prodotto contenente diossina".

Dal quotidiano La Repubblica

La qualità senza controlli
Ecco come difendersi

di CARLO PETRINI


Un'Ansa di ieri sera dice che la diossina rilevata nei suini irlandesi proviene da olii industriali finiti in una macchina usata per asciugare il mangime. Cosa significa? Mistero.

Ma questo piccolo dettaglio tecnico spalanca un panorama vertiginoso, nel quale abbiamo una sola certezza: non abbiamo il controllo della situazione. Anche se in etichetta ci scrivono da dove viene e come è stato alimentato il maiale, come potremmo immaginare che il mangime che gli hanno dato è stato prodotto bruciando oli industriali non consentiti? È esattamente questo che cerchiamo di comunicare quando diciamo che occorre mangiare meno carne.

L'unica condizione per avere il controllo sulla qualità della carne che mangiamo è abbassare i consumi. Se ne mangiamo di meno, e quindi ne verrà prodotta di meno, con cicli meno veloci, con alimentazioni meno artificiali, che prevedano meno passaggi, meno elaborazioni, meno variabili, allora possiamo sperare di avere un qualche tipo di sicurezza alimentare. E intanto, ma queste sono riflessioni per visionari, si libererà il pianeta di un bel po' di Co2, si risparmierà acqua, si eviterà di spianare foreste, non sarà necessario pavimentare il mondo di monocolture di mais o di soia.

Chi chiede l'etichettatura e una norma che obblighi alla dichiarazione dell'origine di ogni alimento ha ragione. E si sta trovando davanti un'Europa poco reattiva, che sembra non comprendere che la tracciabilità, la trasparenza delle informazioni è l'unico strumento per proteggere la salute pubblica e al contempo l'economia.

Troppe volte le richieste di rigore informativo sono state respinte con la motivazione che un prodotto ben "tracciato" farebbe concorrenza sleale agli altri. Se io dico che un olio è prodotto in Italia, a patto di dire la verità, non sto facendo concorrenza sleale a nessuno: sto dando un servizio al cittadino. Non sono gli omertosi che vanno protetti. Non è la confusione che va alimentata.

Tuttavia le etichette non possono metterci al riparo dall'infinita possibilità di delinquere che il mondo della produzione sa mettere in atto. L'unico elemento che ci può proteggere è la promozione della qualità.

Sembrava averlo intuito il presidente della Commissione agricoltura, Paolo Russo, quando ha dichiarato che oltre all'etichettatura occorre "una politica che incrementi il valore del lavoro degli allevatori"; ma evidentemente pensava a qualcosa di diverso perché ha aggiunto "favorendo l'aumento delle quantità dei capi ed il miglioramento delle performances produttive".

Non si fa qualità pensando alla quantità. E non c'è motivo di continuare con questa ossessione della quantità in un'Europa sempre più obesa, cardiopatica e diabetica, in cui tutti si sgolano a dire che bisogna mangiare meno carne. Mangiamone meno, mangiamola buona, paghiamola il giusto e compriamola da chi ci fidiamo.

O forse, un'altra opzione c'è, non alternativa, ma complementare. Quella di una comunità europea che lavori con cognizione di causa su ogni singola derrata alimentare, ricordandosi di essere un'istituzione eletta e pagata dai cittadini e che deve fare i loro interessi prima di quelli dei grandi poteri economici.

Un'Europa in cui le politiche agricole diventino politiche alimentari, e quindi guardino a un settore così complesso esaltandone le peculiarità e proteggendone le debolezze. Proviamo a pensarci, tra qualche mese, mentre andremo a votare: questa volta la Cina non c'entra.
 
 

 

 

 

 

 


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