Federalismo fiscale. Autonomia o cosa?

La grande incognita

28 Gennaio 2009   14:00  

Passato al vaglio della Camera dopo il si ottenuto dal Senato la scorsa settimana, il ddl sul federalismo fiscale fa ancora molto discutere. Naturalmente non maggioranza e opposizione, sempre più spesso indistinguibili su temi che in qualsiasi contesto darebbero luogo a profondi quanto feroci dibattiti, e che nel nostro Parlamento riescono nel migliore dei casi a stimolare appena qualche tiepida disputa, peraltro avvenuta fra esponenti della stessa coalizione, nel particolare tra il Premier e il leader leghista Umberto Bossi, fino a qualche giorno fa in tenue disaccordo sulle tempistiche che avrebbero dovuto scandire le fasi della riforma fiscale.

Una delle motivazioni per cui l’opposizione si astiene dal voto e si apre al confronto seppure con qualche riserva potrebbe risiedere nella stesura della riforma stessa: un testo di legge che ad oggi non consente alcuna previsione realmente attendibile di come sarà l’Italia federale. L’unica certezza è che i 230 miliardi di euro che le amministrazioni locali spendono ogni anno per istruzione, sanità, sviluppo, trasporti e servizi sociali verranno ripartiti diversamente, in uno scenario di maggiore autonomia fiscale e di spesa. Ma il divario socioeconomico che ancora dilania il Paese pone non pochi interrogativi. Annose questioni e deficit irrisolti che il governo ombra chiede vengano debitamente considerati nella stesura dei decreti attuativi.

IL DIVARIO NORD-SUD

Come ha di recente affermato Walter Vitali, relatore di minoranza del Pd sul federalismo fiscale, l’istituzione di una commissione parlamentare che vigili sulla congruità di tali decreti, è di vitale importanza nella realizzazione di una riforma di tale impatto sulla vita socioeconomica del Paese. La tanto pubblicizzata “convergenza” tra Regioni, dovrà riguardare per Vitali non soltanto il costo dei servizi ma anche la qualità dell’offerta, “non è possibile che in Emilia Romagna gli asili nido coprano il 17% dei bimbi e al Sud il due”, ha aggiunto l’ex Sindaco di Bologna, constatando l’urgenza di porre fine ad un divario socioeconomico ancora troppo evidente nel Paese. Nella penultima edizione dell’Espresso sono stati resi noti alcuni esempi di tale divergenza: “ … Sul fronte delle uscite, in Calabria i Comuni spendono per l’istruzione pubblica circa 70 euro per abitante l’anno, contro i 147 dell’Emilia. Dal lato delle entrate tributarie, invece, una Regione come la Lombardia incassa già oggi circa 1.162 euro per abitante, più del doppio della Basilicata …”.

DALLA SPESA STORICA ALL’AUTONOMIA IMPOSITIVA

Il disegno di legge sul federalismo fiscale approvato dal Consiglio dei Ministri il 3 ottobre scorso e attualmente in discussione alla Camera, ha lo scopo di dare attuazione completa all’articolo 119 della Costituzione, modificato in occasione della cosiddetta riforma del Titolo V risalente al 2001.
Il federalismo fiscale ha come obiettivo quello di trascendere l’attuale sistema di finanza locale (nel quale le risorse vengono per la maggior parte trasferite dallo Stato), per giungere ad una più elevata autonomia di entrata e di spesa degli enti locali( Comuni, Città metropolitane, Province e Regioni), gestita in base ai principi di flessibilità, manovrabilità e territorialità. Nel concreto ciò si traduce nella possibilità da parte degli enti di istituire tributi propri, determinandone con un certo grado di libertà importi e contenuti, ovviamente nel rispetto dei limiti imposti dalla legislazione.

Dal sistema in vigore di finanza derivata, in cui i trasferimenti da Roma vengono decisi in base alla spesa storica , si passerà quindi a quello dell’autonomia impositiva, fondata sul meccanismo dei costi standard. Ciò significa che per decidere il proprio budget di spesa per un’eventuale prestazione, l’ente dovrà considerare quanto spende per lo stesso servizio l’amministrazione indicata dal Governo come modello di efficienza. Sarà ad esempio stabilito quanto dovrà costare un certo tipo di controllo medico o di esame diagnostico, tutti gli enti dovranno adeguarsi pena l’erogazione di un minor numero di servizi. Lo scopo del federalismo fiscale consiste pertanto nella responsabilizzazione diretta degli amministratori locali rispetto alla gestione finanziaria delle risorse. La legge prevede a tal proposito, l’istituzione di un sistema premiante per gli enti individuati come virtuosi ed efficienti, e sanzionatorio verso quanti invece mostrano di non rispettare le misure economiche stabilite.

SQUILIBRI E INSIDIE DI UN FEDERALISMO INCOMPIUTO

Ma che cosa accade nell’eventualità che un Comune o la stessa Regione non abbia una capacità fiscale tale da potersi permettere l’adeguamento all’ente modello indicato dal governo? Per gli enti locali afflitti da pesanti gap economici e finanziari, il testo di legge prevede un apposito fondo perequativo, finalizzato a garantire i servizi fondamentali anche alle aree più povere.

La teoria è tuttavia sempre distante dalla pratica, e c’è chi già prevede tutta una serie di problematiche concrete, che potrebbero sorgere qualora la legge sul federalismo mancasse di regolamentare alcuni aspetti nodali del nuovo sistema. E’ chiaro che in uno scenario in cui tutti sono chiamati a fare da soli, le aree disagiate sono quelle che rischiano di più. Per i tempi e i modi relativi alla ripartizione dei fondi, e per sapere che tipo di compensazione il mezzogiorno riuscirà ad ottenere occorre però aspettare i futuri decreti attuativi del governo. Provvedimenti per i quali Calderoli ha previsto almeno un biennio, alzando un polverone di critiche e dissenso.

Secondo i calcoli di Gilberto Muraro, ex presidente della commissione tecnica dei fondi pubblici, tra decreti e norme transitorie occorreranno diversi anni per vedere attuato il federalismo fiscale. L’economista teme che il mezzogiorno possa imbattersi nella devolution contemporaneamente al termine(2013) dei fondi europei per lo sviluppo, trovandosi ossia senza risorse sufficienti a stemperare lo choc inflitto dal federalismo.

L’altro punto cruciale della questione è il sanzionamento delle amministrazioni inefficienti. Qualora il governo dovesse ridimensionare o non definire a sufficienza, le sanzioni previste per gli amministratori locali che mostrano di non gestire al meglio le risorse pubbliche, sarebbero nuovamente i cittadini a pagare. Secondo il vice direttore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, occorre al più presto mettere nero su bianco vincoli chiari che regolino il federalismo fiscale. E’ importante ossia stabilire “procedure di monitoraggio trasparenti”, richiedere “esplicitamente il pareggio di bilancio” ad ogni ente, e determinare “meccanismi automatici”e pertanto non eludibili nell’ambito delle sanzioni previste per quanti non assolvono correttamente il loro compito. Gestire la cosa pubblica deve tornare ad essere una funzione sacra, altrimenti il federalismo fiscale rischia di vanificarsi in un grosso e caotico fallimento. Da uno Stato paterno ad uno Stato fraterno, amico. Non è cosa facile.

 

 

(Immagine in alto a sinistra tratta dal Sussidiario.net)

 

 

Giovanna Di Carlo

 

 


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