GIOVANNI FALCONE. PER NON DIMENTICARE

"Chi tace e chi piega la testa muore ogni volta che lo fa, chi parla e chi cammina a testa alta muore una volta sola". Continuano ad essere attuali ancora oggi, queste parole di Giovanni Falcone, magistrato siciliano assassinato dalla mafia il 23 maggio del 1992.

Erano le 17:58, quando presso il Km.5 della A29, una carica di cinque quintali di tritolo posizionata in un tunnel scavato sotto la sede stradale, nei pressi dello svincolo di Capaci-Isola delle Femmine venne azionata per telecomando da Giovanni Brusca, il sicario arrestato nel 1996, capo del mandamento di San Giuseppe Jato e fiancheggiatore dei corleonesi di Totò Riina, mandante della strage.

"Gli uomini passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini", questa frase generalmente attribuita a John Fritzgerald Kennedy, sembra che Falcone la conservasse scritta nel portafoglio.

Una memoria che deve rimanere impressa nelle pagine di storia del nostro Paese, quella di un pool di magistrati che in dei momenti furono anche lasciati soli dallo Stato, dopo il maxi processo di Palermo, scrisse il giornalista statunitense Alexander Stille, "in un altro Paese gli artefici di una tale vittoria sarebbero stati considerati un patrimonio nazionale. Dopo aver vinto la prima battaglia a Palermo, ci si sarebbe aspettato che Falcone e i suoi colleghi fossero messi nella condizione di vincere la guerra. Invece in Italia avvenne proprio il contrario".

In questa riccorennza è doveroso ricordare anche quegli angeli custodi, che, come sempre in questi casi, vengono abbandonati alla sola memoria delle loro famiglie, che sono gli agenti della scorta che rimasero tutti vittima assieme a Giovanni Falcone, l'autista giudiziario Giuseppe Costanza, gli agenti Vito Schifani, Antonio Montinaro, Rocco Di Cillo, Paolo Capuzzo, Gaspare Cervello e Angelo Corbo, tutti guidati dal capo di squadra mobile Arnaldo La Barbera.  (MS)