Giornata della memoria. La strage senza un perché a Pietransieri

di Ezio Pelino

25 Gennaio 2012   12:03  

II guerra mondiale. Linea Gustav. Pietransieri. Un paese senza storia dai tempi dei tempi. Un'eternità fatta di quotidianità: la casa, il lavoro, gli armenti, la pioggia, il sole, le stagioni. 21 novembre 1943: l'ottuso spirito del male incenerisce quell'atomo di mondo. 128 assassinati. Una strage senza una ragione, se non quella della più feroce gratuita criminalità.

Senza il pretesto della rappresaglia per azioni partigiane. Senza volto. Non se ne conosce, ancora, l'autore. La popolazione inerme, di vecchi, donne e bambini, all'ordine di sfollamento, era riparata nei dispersi casolari di Limmari, una frazione della frazione. Una mattina, un manipolo di tedeschi latranti spinge e ammassa gli sfollati ignari e atterriti sotto un albero.

Fa scoppiare una mina e a colpi di mitraglia porta a termine la mattanza. Sotto il mucchio dei morti sopravvive - gravemente ferita - una bambina di sette anni. Virginia. La sua testimonianza è stata raccolta, nel 1995, dagli studenti e riportata nel libro "E si divisero il pane che non c'era".

I tedeschi, ricorda Virginia, ritornata al paese dopo vent'anni di Inghilterra, collocarono "una mina grande come un vaso di fiori....Io stavo in braccio a mia madre.

Ero la più piccola dei figli... Mia madre aveva uno scialle sulle spalle e come i tedeschi hanno mitragliato è caduta ed è morta all'istante. Io sono caduta sotto a mamma...Tutti strillavano. La prima volta che hanno cominciato ad uccidere, che urli si sentivano! Poi è rimasto solo silenzio. Non si sentiva niente. Tutto il mondo era silenzio...Ho visto mio fratello che mi stava vicino. Mi ha detto:"Virginia, è morta mamma? Io gli ho risposto di sì...".

"L'avevo, morta, su di me. Mio fratello aveva ...un buco da parte a parte che gli aveva trapassato l'occhio. ... dopo che gli avevo risposto, abbassò la testa e morì anche lui". In occasione delle ricorrenze della strage, personaggi importanti della politica nazionale hanno rievocato quella tragedia inspiegabile e moralmente repellente, da Saragat a Spadolini, da Scalfaro, a Veltroni, a Mancino.

Ma le semplici, povere pagine di Italo Oddis, guardia comunale della piccola frazione, restano le più vere e toccanti, testimoniano del dolore straziante di un padre e di un marito, costituiscono un straordinario documento storico e umano. Egli ha visto con i suoi occhi la scena della tragedia che si è consumata da poco.

Ha saputo da un paesano di cadaveri buttati davanti ad un casolare. Si precipita sul posto: "Era buio e nebbioso e nel casolare non vidi nessuno; allora uscii fuori mi girai intorno ed ecco che ad una trentina di metri dal casolare vidi uno spettacolo orrendo; tutti i cadaveri riversati a terra a forma di cerchio intorno ad un tronco di albero che non esisteva più, bruciato dallo scoppio di una mina.

Piangevo ed il cuore mi diventò di pietra, le gambe mi tremavano ed affannosamente cercavo i miei, ma non riuscivo a trovarli in quanto era molto buio". Sopraggiungono alcuni degli uomini che erano alla macchia. Con il lume di uno di loro, Oddis riesce a riconoscere il figlio Evaldo, in ginocchio, con gli occhi aperti, lo sguardo rivolto verso l'alto.

"Gli presi la testa fra le mani, pareva volesse dirmi qualcosa ma una pallottola gli aveva forato la tempia; l'abbracciai, lo baciai e ribaciai e lo stesi poco lontano dal cerchio; poi presi mia moglie e la misi accanto a lui. L'altro mio piccolo bambino, Orlando, era sotto la madre in una pozza di sangue; presi anche lui e lo stesi vicino alla madre e al fratello.

Non mi usciva più una lacrima e tutti pensavano di dare sepoltura ai cadaveri." Il casolare antistante, che era pieno di foraggio, si incendia e illumina tutta la zona. Uno spettacolo indescrivibile". In quel momento sentono tornare "i tedeschi da tutti i lati sparando come pazzi".

Fugge con gli altri a valle, "ma prima di allontanarmi riabbracciai di nuovo mia moglie e i miei figli e li baciai imbrattandomi di quel mio stesso sangue". Oddis racconta che i morti rimasero insepolti per quattro mesi: non fu possibile dare loro sepoltura perchè il manto, pietoso, della neve li aveva ricoperti. I cannoni inglesi continuarono a martellare la zona e un elicottero a sorvolare tutti i tutti i giorni la Valle del Sangro e la terra di nessuno.

Solo nella seconda quindicina del mese di aprile, di notte, con tre amici, uno di sentinella per prevenire l'arrivo dei tedeschi, scavano una lunga fossa. Lavorano per otto notti. Depongono i morti l'uno accanto all'altro, li coprono con "stracci di lenzuola" e con le tavole bruciacchiate del tetto della masseria, quindi li ricoprono con la terra.

Solo dopo averli sepolti tutti, fuggono ad Ateleta, liberata dagli alleati.

Ezio Pelino


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