Oggi Greenpeace partecipa con una sua delegazione alla manifestazione organizzata presso il Ministero per lo Sviluppo Economico in occasione della Conferenza dei Servizi, chiamata a decidere sul progetto Ombrina mare. Tra le trivelle in arrivo nei nostri mari, Ombrina è quella che potrebbe vedere la luce per prima. Ma è anche quella che ha suscitato la reazione più forte e ampia nell’opinione pubblica, come ha dimostrato l’ultima grande manifestazione di Lanciano, in Abruzzo, dove lo scorso maggio 60 mila persone hanno sfilato pacificamente per dire no al baratto mare-petrolio.
Ciò nonostante l’iter autorizzativo di questo progetto è in dirittura d’arrivo: davanti alla costa teatina, a soli 5 chilometri dal litorale, potrebbe essere installata nei prossimi mesi una piattaforma per l’estrazione di petrolio (e in misura minore di gas), collegata a una grande nave (a 10 chilometri dalla costa) per lo stoccaggio e le prime fasi di raffinazione. Peraltro, queste infrastrutture verrebbero realizzate in un tratto di mare individuato già nel 2001 per la creazione di un parco nazionale: si tratta perciò di un’area non soggetta a tutela ambientale solo a causa di inadempienze e ritardi.
«Se avessimo un governo minimamente capace di ascolto, oggi procederebbe con una moratoria sulle trivelle», dichiara Andrea Boraschi, responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace Italia. «Dieci regioni hanno promosso un referendum sul tema, sul decreto Sblocca Italia pende un ricorso alla Corte Costituzionale, nelle zone interessate i cittadini dimostrano quasi quotidianamente la loro contrarietà a questi progetti, ma Renzi e il suo esecutivo non colgono, o fanno finta di non cogliere, questi chiari segnali. Bisognerebbe quanto meno arrestare questa insensata corsa alle poche gocce di petrolio presenti sotto i nostri fondali, e rivedere la strategia energetica nazionale».
Greenpeace ricorda come lo Sblocca Italia approvato lo scorso anno – di fatto uno “Sblocca Trivelle” – rappresenti una chiara negazione del dettato costituzionale in materia di rapporti Stato-Regioni, esautorando i governi locali nella valutazione di progetti di notevole impatto sui territori. Per contro, mentre si procede sfornando decreti autorizzativi a ritmi impressionanti, manca una Valutazione Ambientale Strategica, e si procede sulla scorta di una normativa inadeguata, che mal recepisce quella europea.
Greenpeace ritiene che non si possa autorizzare o eseguire attività di prospezione e ricerca di idrocarburi nei mari italiani senza una “intesa forte” tra Stato e Regioni, la definizione di una pianificazione nazionale e di un’attenta Valutazione Ambientale Strategica, valutazioni di impatto ambientale sui singoli progetti complete e approfondite, e un adeguato recepimento della normativa dell’Unione europea.