Haiti: un terremoto dell'altro mondo

Dopo l'emergenza, il colera

25 Ottobre 2010   17:17  

Il terremoto di grado 7 che ha devastato Haiti il 12 gennaio, classificato dagli esperti come il settimo più disastroso della storia recente, ha messo in ginocchio un paese che versava già in condizioni disastrose. Le vittime del sisma sono state 222.517, mentre i feriti sono 310. 928. Oltre 900.000 gli edifici distrutti. Circa 1,5 milioni i bambini colpiti nelle zone coinvolte dal disastro, numerosi quelli sopravvissuti ai propri genitori, mentre sono 1,3 milioni i senza tetto, di cui 302.000 sono bambini.

Non è opportuno, ne epistemologicamente corretto confrontare tragedie diverse, come il terremoto dell'Aquila con quello di Haiti, con il loro imparagonabile ed assoluto portato di dolore, di danno materiale e interiore, di problemi immensi da risolvere ed affrontare.

Giova però, come nota a margine ricordare un dato di fatto: L'Aquila è, ed era, una ricca città del primo mondo opulento, Port au Prince una poverissima capitale del sud del mondo. 

Qui a L'Aquila, dopo il terremoto si discute e spesso si polemizza sulla certezza dei fondi per la ricostruzione di un importante città d'arte, si polemizza sui costi del progetto CASE, l'uso delle donazioni, sulle tremila persone ancora in albergo e in caserma, sulla prevedibilità dei terremoti, sulla fedina penale dei vice-commissari, sull'arroganza del governo e sull'inefficienza degli enti locali, sugli insopportabili ritardi con cui viene erogata l'autonoma sistemazione. Si sbraita indignati se in un modulo abitativo provvisorio si ravvisa un difetto costruttivo o si verifica un guasto, se si è rotto il cavatappi che ha regalato ai terremotati il governo. E così via.

Ad Haiti, dopo il terremoto, più banalmente si crepa di colera. (ft)

Haiti, emergenza colera: 250 vittime, primi casi nella capitale


Sono oltre 250 i morti nei dipartimenti di Artibonite e Plateau central e si teme il propagarsi dell'epidemia. Registrati cinque contagi a Port-au-Prince ma le autorità assicurano: non è un nuovo focolaio

Cinque casi di colera sono stati individuati a Port-au-Prince, la capitale haitiana devastata dal terremoto dello scorso gennaio 1, e si teme il propagarsi dell'epidemia 2 che ha già provocato oltre 250 vittime e più di tremila contagi. Una portavoce dell'ufficio di coordinamento degli affari umanitari (Ocha) dell'Onu, Imogen Wall, ha detto che i cinque casi, i primi confermati nella capitale dall'inizio dell'epidemia, sono persone che hanno contratto il morbo nel dipartimento di Artibonite, una delle zone più colpite, e che che poi si sono spostate a Port-au-Prince, dove si sono ammalate e si trovano ora in quarantena. "La diagnosi è stata fatta rapidamente e i malati sono stati isolati", ha detto la portavoce, citando informazioni fornite dalle autorità sanitarie haitiane. "Questo non è un nuovo focolaio di infezione".

La portavoce umanitaria dell'Onu ha affermato che la situazione è "molto proeccupante", aggiungendo che è urgente approntare piani di intervento ed essere preparati al peggio. Wall ha comunque precisato che le autorità sanitare haitiane stanno lavorando per evitare il colera continui a diffondersi nella capitale. Aumentate le misure di prevenzione e di controllo a Port-au-Prince, dove centinaia di persone vivono in squallide baraccopoli e oltre un milione di sopravissuti al terremoto del 12 gennaio sono ammassati in tendopoli di fortuna. Una popolazione particolarmente vulnerabile a infezioni intestinali e malattie come il colera e la cui situazione è stata definita "pessima" dalla portavoce dell'Onu. Nelle zone più colpite, Artibonite e il Plateau central, dove le autorità stanno tentando di contenere l'epidemia, sono stati diagnosticati oltre 3.000 casi.

È questa la seconda, grave emergenza che nel 2010 ha colpito il paese caraibico, uno dei più poveri del mondo, dopo il terremoto di gennaio.

Il colera è apparso la scorsa settimana nel nord del Paese a causa della cattiva qualità dell'acqua potabile. Il focolaio è stato localizzato nell'area di Saint-Marc, nel dipartimento di Artibonite che prende il nome dal fiume che attraversa il centro di Haiti le cui acque, usate dalla popolazione per molte attività quotidiane, sono all'orgine dell'epidemia. Secondo Medici senza frontiere (Msf), l'ospedale locale non è attrezzato per far fronte all'epidemia. Msf ha annunciato che stabilirà un centro per isolare i contagiati.


Una tragedia paragonabile e forse peggiore di quella dello tsunami asiatico del 26 dicembre 2004 che colpì un'area molto più vasta facendo oltre 230mila vittime. I morti del terremoto di Haiti, secondo i dati forniti dal governo di Port-au-Prince, hanno raggiunto quota 212.000 su una popolazione totale del Paese inferiore ai 9 milione di abitanti e un territorio di 27 mila chilometri quadrati di poco superiore alla Lombardia. Una concentrazione di tragedia, paura e orrore difficilmente riscontrabile nella storia dell'umanità.

La cifra crudele si inserisce in una situazione ancora molto difficile con i soccorsi che hanno a lungo stentato a raggiungere livelli di efficacia accettabili e la ricostruzione che si anuncia lunga e difficilissima. Ieri ne ha parlato a New York il presidente della Camera Gianfranco Fini durante l'incontro con il segretario generale dell'Onu, Ban-ki-Moon. E Fini è sembrato voler sottolineare una certa distanza dalle critiche del responsabile della Protezione Civilie italiana, Guido Bertolaso che, durante la sua visita a Port-au-Prince aveva sottolineato alcune carenze degli aiuti: "Ho espresso - ha detto Fini - vivo apprezzamento per l'azione di coordinamento degli aiuti e degli sforzi della comunità internazionale per rendere quanto più rapida possibile la ricostruzione. Il segretario era perfettamente a conoscenza delle azioni e decisioni italiane in proposito". Senza la presenza e l'intervento delle Nazioni unite, ha aggiunto Fini, questa "tragedia globale ed epocale", avrebbe toccato "livelli di autentico allarme e autentica emergenza".




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