IRPINIA L'AQUILA E RITORNO – Dalle tende alle case

di Mino De Vita

14 Luglio 2010   14:44  

Dopo il terremoto dell'Irpinia - quasi 300 mila senzatetto, oltre 2 mila morti e quasi 10 mila feriti - racconta lo scrittore MIno De Vita, in tenda ci si rimase pochi giorni, poi arrivarono le roulotte. Ed entro un anno tutti i terremotati ebbero il loro modulo abitativo provvisorio.

IRPINIA L'AQUILA E RITORNO – parte terza

Il lasso di tempo che va dall'aprire gli occhi e il prendere coscienza di dove ti trovi è, forse, il momento più brutto del risveglio. Se poi ti ritrovi in una tenda, avvolto in una coperta adagiata sulla terra nuda, mentre il chiarore del giorno trapela attraverso mille varchi dipanati dal vento della notte, se poi realizzi, in un sol attimo, che sei un terremotato, ti salta al cuore l'angoscia e la necessità di alzarti perché senti che il vento di lì a poco ti trascinerà via con quel poco di cencio di tetto precario, come una foglia secca.

Questo mi accadde dopo la prima notte trascorsa in tenda, era il 25 di novembre del 1980, un amico mi tenne compagnia, entrambi scappammo via appena in tempo prima che il vento gelido di tramontana spazzasse via il nostro alloggio.

Al risvegliarmi all'Aquila ho rivissuto lo stesso tormento, qui le tende sono meglio ancorate e il vento non è così "feroce" come allora. Adagiato su cartoni sventrati, il mio sacco a pelo mi ha tenuto caldo, mi alzo e vado fuori.

Una sottile nebbia offusca il paesaggio montano, il silenzio del campo è interrotto da qualche colpo di tosse, direi di una persona anziana, mi dirigo alle toilette e mi preparo per affrontare un'altra giornata , i miei occhi non possono non vedere gli squarci nei tetti e nei muri, mentre per la strada che costeggia il campo passa una prima vettura dei vigili del fuoco, il ronzare dell'elicottero si riavvicina , sembra non voler mai smetter di perlustrare.

Le tende, sempre tende, e siamo a un mese dall'evento! Ma quando arrivano le roulotte? Chiedo a un amico volontario, di roulotte non se ne parla, si passerà dalle tende direttamente nelle case.
Miracolo! Stupefatto, non credo alle mie orecchie, come si può ricostruire in tre mesi o forse quattro?
Lo chiedo a un architetto che la sera ci viene a trovare al campo. Mi dice che tutti entreranno in casa a ottobre, siamo a fine aprile, 180 giorni e il miracolo si compirà...

Lo voglio sperare e augurare ai miei amici abruzzesi, ma sono scettico.In Irpinia arrivarono dopo pochissimi giorni le roulotte, il giovedì arrivarono le prime , poi man mano che i giorni passavano la carovana divenne interminabile, a dieci giorni dal sisma tutti eravamo in roulotte. Meglio delle tende, almeno dormivamo sospesi scollati dalla umida terra.

Ci diedero una roulotte per nucleo familiare, li ti potevi cambiare d'abito, riconquistavi la tua intimità. Potevi farti un caffè sul fornello elettrico.
Con la consegna delle roulotte ogni famiglia poteva ricominciare , almeno a sentirsi raccolta in un luogo.

Qui le tende sono il luogo del via vai. Una realtà porosa permeata da mille sguardi, si va a mangiare a turni, mi dice una signora, per non lasciare quelle poche miserabili cose che abbiamo potuto recuperare a casa, altrimenti qualcuno può entrare e prenderle.

Una realtà condivisa e cosmopolita la tenda, visto che non è stata assegnata per nucleo familiare, ma per gruppi di persone, dunque bisogna fare la guardia al poco rimasto.
Una precarietà globalizzata.

In alcuni campi convivono nella stessa tenda musulmani e sik, induisti e animisti, cattolici, slavi, congolesi, senegalesi, e abruzzesi. Stretti nel condividere gli spazi e le usanze, la sopportazione e le ristrettezze. Poi le contraddizioni esplodono, mi dice Silvia, una dottoressa clown, in un campo vivono in migliaia con poche docce, meno di una decina, e pochissimi bagni.

Vivono insieme vecchi e bambini. Una donna cerebrolesa vive in tenda con il nipote tossicodipendente, è il racconto triste di Lorena, un'altra dottoressa clown, la signora aveva vergogna di darmi la mano , io ho insistito e mi sono accorta che era sporca, ho chiamato una infermiera e le ho raccontato il tutto, sono andati a ripulirla, era in condizioni pietose, erano giorni che non le cambiavano il pannolone...

Gli occhi tristi della dottoressa clown si riempiono di lacrimoni.Bravi ragazzi! I clown, i pagliacci, cosa ci fanno in mezzo alle macerie? Mi chiesi vedendoli la prima volta.

Hanno portato ciò che nessuno è stato in grado di portare: il sorriso. Di cose, di oggetti, di derrate, ne sono giunte tante, per soddisfare ogni bisogno, ma il bisogno di speranza lo hanno portato quei giovani ragazzi variopinti che prendono per mano vecchi e bambini, ci donano un sorriso, il bene più prezioso sulle macerie.

Le macerie.

Sono ancora tutte qua. Perché non le tolgono? Su un deposito del campo, rimasto intatto dopo le scosse, incombe un pericolo, il comignolo sta per precipitare e visto che intorno al campo passa tanta gente è opportuno rimuoverlo, lo dico alla solita camionetta dei vigili del fuoco, un gruppo veneto. Il comandante dopo una occhiata veloce mi dice che effettivamente il pericolo c'è .

Provvederemo! Mi risponde perentorio. Il pomeriggio ho un'ora di libertà, un signore si offre di accompagnarmi a
vedere la città, andiamo in tre in auto.

La città è assediata, militarizzata, posti di blocco dappertutto a presidio della città proibita. Non si entra nel centro storico.
Una ragazza sta fotografando le devastazioni provocate dal sisma e mentre coglie le immagini attraverso il suo obiettivo va a porsi sotto un ala pericolante di una antica chiesa. Rabbrividisco nel vedere muri squarciati lasciati senza un minimo segnale di imminente pericolo. Non una transenna, non un nastro, ma più in là centinaia, migliaia, di uomini presidiano. Cosa?
Militarizzando si ricostruisce?

Qua c'è bisogno di manovali, carpentieri, operai, muratori, tecnici per ripulire, per transennare, per mettere in sicurezza gli edifici ancora in piedi. Non Carabinieri, guardia di finanza, esercito, polizia, forestali.

Migliaia di uomini disseminati a guardia del sepolcro, un dispiegamento assurdo e costoso, più uomini qua che a Casal di Principe. Perché?
I campi sono inaccessibili, non si può entrare, ci vuole un pass, le più elementari norme democratiche sono state abolite tout court, un architetto Irpino è stato invitato da un gruppo di persone per un seminario sul terremoto,
si è fermato a un posto di blocco per chiedere informazioni ed è stato trattenuto per accertamenti, poi finalmente liberato va a parlare ai temotati, ma protetto da una transenna, chiede a un dirigente della protezione Civile se si possono togliere le barriere perché si possa comunicare meglio, ma gli è risposto che quelli meno sanno e meglio è:
Quelli!
Quelli sono i terremotati che attendono le case, gli sfollati che vanno di sera a riempire gli alberghi della costa.

Ma quanto costa?
Per quanto tempo gli sfollati devono fare i pendolari da e verso il mare? I comitati di cittadini nati all'indomani del sisma del '80 sono impensabili qua.
Lì si discuteva delle scelte delle amministrazioni, si decideva di portare le istanze del popolo terremotato, si denunciavano le ingiustizie, si creò un movimento di base, uno in ogni comune, in ogni frazione, per evitare gli sciacallaggi politici ed economici, le ruberie, il controllo dell'emergenza.
Poi fallirono.
Non lo so se i comitati fallirono, piuttosto cessarono di esistere con il cessare della prima emergenza, quando a distanza di un anno tutte le famiglie lasciarono le roulotte e andarono a vivere nelle case prefabbricate, in attesa della casa vera, fatta in muratura e destinata a durare nei secoli.

Qua si vuol passare dalla tenda alle case.In 180 giorni si faranno i piani, poi le case, poi saranno ammobiliate, poi assegnate. Tutto in centottantagiorni ! Questo mi ripete con veemenza l'amico architetto. Ma per tutti? Per tutti!
Tutti avranno una casa prima del prossimo inverno, mi risuona nella testa questa bellissima prospettiva, nella quale voglio credere, voglio sperare, ma mi addormento, intanto nella fredda tenda di Murata Gigotti al campo di Coppito, mentre dalla tenda accanto sento il vagito di un neonato che avrà bisogno della poppata o del cambio dei pannolini.
Intanto la pioggia riprende il suo ritmo incessante come la rauca tosse di quel vecchio che dorme nella tenda accanto.

Mino De Vita - autore di "Quel minuto che ci ha cambiati" Mediaworld - 2000 e di "Farina di ghiande" Plectica - 2008. Ha partecipato a "La ricostruzione della memoria" Plectica - 2000


Irpinia- L'Aquila e ritorno - parte prima - In viaggio

Irpinia L'Aquila e ritorno - parte seconda - Davanti alle tue macerie

 


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