Il messaggio del Cardinale Petrocchi alla comunità per la Pasqua 2022

12 Aprile 2022   12:07  

Viviamo un tempo attraversato da sfide drammatiche e sconvolgenti: dopo due anni di calamità pandemica assistiamo, sgomenti, alle violenze devastanti della guerra in Ucraina.

Registriamo una “eclisse” culturale ed etica molto ampia e intensa: i suoi “coni d’ombra”, purtroppo, coprono molti versanti della nostra epoca, rendendoli oscuri, e provocano dannose ricadute sul piano sociale e personale.

Come è noto, dal punto di vista astronomico l’eclisse si produce quando la luna si interpone tra la terra e il sole. Se la luna mantiene la giusta collocazione, riceve luce dal sole: così diventa il suo “specchio” e, di notte, ne riflette i raggi sulla terra. Ma quando “copre” il sole si trasforma in una barriera che impedisce alle radiazioni luminose di raggiungere il nostro pianeta. Allora il buio avvolge tutto e sottrae ogni cosa allo sguardo: vince la notte, in cui non si vede né sole, né luna, né terra.

Anche sul piano umano, capita che idee false, abitudini sbagliate, atteggiamenti egoistici finiscano per provocare un “effetto-eclisse” spirituale e morale: in questo caso si “offusca” la capacità di emettere giudizi “veri” e di compiere scelte corrette.

Dio fa sempre sorgere il sole del Suo Amore dentro di noi e non fa mancare la luce del Vangelo: se la condizione di tenebra ha la meglio e si protrae nel tempo, occorre chiedersi cosa, nell’anima, si interpone tra noi e il Signore, provocando l’“effetto-eclisse” interiore.

C’è un atteggiamento - raccomandato nella Sacra Scrittura - che consente di evitare o rimuovere i fattori che attivano l’“effetto-eclisse”: è l’umiltà. Questa virtù sgombera la strada dagli ostacoli - in noi e tra noi - che impediscono l’incontro con il Signore: sorgente di comunione con Dio, con sé stessi, con gli altri. L’umile ha il coraggio di guardare le cose come sono e le chiama per nome: non ha paura della verità, anche quando è scomoda. Ha i piedi per terra, ma i suoi occhi scrutano il Cielo; per questo possiede il senso della misura: evita le esagerazioni come anche le indebite minimizzazioni. Punta all’essenziale; cerca ciò che vale e custodisce ciò che conta. Proprio perché non è pieno di sé, l’umile mantiene aperti, a 360°, gli spazi relazionali; pratica il sano altruismo ed è sollecito verso il bene comune. Agisce con prudenza e sa attendere, con pazienza lungimirante, che i risultati attesi maturino nella stagione opportuna. Non si lascia sopraffare dalla percezione della propria debolezza; confida pienamente in Dio e punta tutto sulla Provvidenza, di cui vede i segni nella esistenza personale e comunitaria. Sperimenta - come tutti - l’impatto con il dolore, ma lo accetta, senza abbattersi: non rimane prigioniero di considerazioni ed emozioni di stampo pessimistico, ma trasforma anche l’afflizione in donazione evangelica. Si apre sempre un varco verso Dio e si consegna a Lui: ha fiducia nell’aiuto dell’Onnipotente, per questo non si arrende, anche di fronte alle avversità più aspre.

L’umile sa apprezzare e valorizzare i contributi positivi, da qualunque parte gli arrivino, perché in essi riconosce la mano paterna del Signore. È vigilante nell’identificare il male - anche quando si maschera con le sembianze del bene - e lo combatte decisamente, ricorrendo all’aiuto della grazia. 

L’umile è consapevole che ognuno di noi, negli strati profondi della personalità, ospita un nucleo occulto di opposizione: una sorta di “anti-noi stessi”, specializzato nel sabotaggio della verità e delle azioni buone che possiamo mettere in cantiere (san Paolo parla di “uomo vecchio”: cfr. Ef 4,20-24; Col 3, 5-10). È noto che nel nostro organismo si insediano batteri che debbono essere contrastati dagli anticorpi; infatti, il corpo sano non è privo di germi, ma è dotato di un sistema immunitario in grado di combatterli e neutralizzarli. In modo analogo, la “buona salute” spirituale ed etica è proporzionale alla capacità di amare e alla prontezza nel mobilitare “risorse” idonee a vincere le spinte segnate dal male, che provengono da “dentro” come dal mondo esterno. Per questo, è basilare la cura nel potenziare le forze “alleate”, sostenute dalla grazia, che ci consentono di affrontare il “buon combattimento”.

Scoprire l’ “anti-noi stessi” che portiamo dentro è un compito impegnativo perché questo “centro avverso” è ben mimetizzato; infatti, si riveste dei nostri tratti caratteriali: perciò è faticoso riconoscerlo e smantellarlo. Siamo esposti alle sue “incursioni” devianti e nocive, che provocano, spesso, sfaldamenti comportamentali: è difficile mettersi al riparo da sé stessi! 

L’ “esplorazione” interiore, tesa a fare verità, non può essere condotta efficacemente da soli: occorre essere accompagnati da persone competenti e affidabili. Scandagliare i nostri “sotterranei” spirituali e psicologici esige l’adozione di solidi rapporti comunionali: va pure sottolineato che venire a contatto con le “zone” moralmente infette, che covano dentro, è un’impresa complessa, da realizzare come “Noi” cristiano e umano. 

Sappiamo che il peggior difetto è quello di non riconoscere i propri difetti: se non vediamo le zone di “deficit” che portiamo addosso, dobbiamo chiedere ai nostri “prossimi” (a partire da quelli che vivono accanto) che ci aiutino onestamente a scorgerli. Anche perché i difetti che non riconosciamo in noi, sono destinati a riversarsi sugli altri. È leale e conveniente dichiarare, con franchezza, le nostre debolezze, come anche ammettere le responsabilità e gli errori commessi. Tutta la “partita” di una autentica ed integrale auto-realizzazione, è giocata sulla crescita nella verità, vissuta con la carità (cfr. Ef 4,15): infatti «una persona senza l’amore è buia dentro. Le tenebre esterne, di cui parla il Vangelo, sono solo il riflesso della cecità interna del cuore».

Bisogna imparare a volersi bene, secondo il Vangelo: «perciò - afferma sant’Agostino - chi sa amarsi, ama Dio; chi invece non ama Dio, anche se ama sé stesso si può dire a ragione che si odia, perché fa ciò che gli è contrario e agisce contro sé stesso come se fosse un nemico». E, come rimarca una sentenza biblica, «chi è cattivo con sé stesso, con chi si mostrerà buono?» (Sir 14,5).

 L’annuncio della Pasqua ci offre la certezza che è possibile riscattarsi dal male che ci abita: il Signore, crocifisso e risorto, può tirarci fuori dal pantano delle nostre fragilità, da cui non riusciamo da soli ad emanciparci.

Chi ha esperienza di accompagnamento spirituale sa che spesso ci si trova di fronte

a situazioni non risolvibili con tecniche umane. Condizioni di fronte alle quali ci si sente perdenti. Di qui le sconsolate professioni di sconfitta: “non ce la faccio”, “è più forte di me”. Il dolore peggiore è quello avvolto dalla disperazione e dal non-senso.

Dopo la Pasqua di Gesù, a tutti può essere annunciato che da ogni selva, per quanto intricata, si può uscire; da ogni pozzo, per quanto profondo e viscido, si può risalire; da ogni fallimento e dopo qualsiasi sconfitta viene dischiusa, a chi crede, la porta della vittoria. La Pasqua è la speranza ridata a tutti: nessuno escluso! La premessa necessaria è aprirsi, senza reticenze, al Signore e mettersi in campo per intero e in prima persona: infatti, non si guarisce per procura. Giustamente una giovane, protesa a diventare una cristiana coerente, scriveva: “Signore, prendimi come sono e rendimi come vuoi”.

Sta a noi “far accadere” nella nostra esistenza ciò che è già avvenuto in Gesù: occorre fare-Pasqua con Lui, per consentirGli di fare-Pasqua in noi e per noi. 

Risuona forte - oggi più che mai - l’esortazione accorata di Papa Francesco: «non fuggiamo dalla risurrezione di Gesù, non diamoci mai per vinti, accada quel che accada» (EV n. 3). E aggiunge: «la Sua risurrezione non è una cosa del passato; contiene una forza di vita che ha penetrato il mondo. Dove sembra che tutto sia morto, da ogni parte tornano ad apparire i germogli della risurrezione. È una forza senza uguali.[...] Ci saranno molte cose brutte, tuttavia il bene tende sempre a ritornare a sbocciare ed a diffondersi. Ogni giorno nel mondo rinasce la bellezza, che risuscita trasformata attraverso i drammi della storia. I valori tendono sempre a riapparire in nuove forme, e di fatto l’essere umano è rinato molte volte da situazioni che sembravano irreversibili. Questa è la forza della risurrezione» (EG, n. 276).

Mettiamoci in cammino, sulle vie della Pasqua, che consentono di lasciarci alle spalle le ombre del male e della tristezza per vedere spalancarsi davanti al nostro sguardo orizzonti entusiasmanti di verità e di bene. 

Anche le attuali e penose circostanze, che a voce alta invocano la pace, dovrebbero spingerci a riflettere sulle intense affermazioni di Giovanni Paolo II: «Solo Gesù è in grado di rivelare e attuare il progetto di Dio. Lasciato a sé stesso, lo sforzo dell’uomo non è in grado di dare un senso alla storia e alle sue vicende: la vita rimane senza speranza. Solo il Figlio di Dio è in grado di dissipare le tenebre e di indicare la strada».

La Pasqua è il centro propulsivo della vita e della missione di Chiesa: per questo, dove c’è la Chiesa, lì si fa-Pasqua; così come in ogni persona che vive la Pasqua, è tutta la Chiesa che si rende presente e rende lode a Dio: infatti - come asserisce il poeta Kalhil Gibran - “la goccia d’acqua contiene tutti i segreti dell’oceano”.

. In questo orizzonte di salvezza risulta bella ed evocativa una espressione 

Chiediamo a Maria - Madre, Maestra e Modello di comunione - di essere fedeli agli appuntamenti con la grazia, per cantare, insieme a Lei e con tutta la Chiesa, il gioioso “Magnificat della Pasqua”, che suscita la “passione per l’unità e per la pace” nel cuore dei credenti e in tutti gli uomini di buona volontà!

 


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