Nessuno della Protezione civile si recherà più nelle zone colpite dal terremoto finchè esisterà l’accusa di omicidio colposo, il rischio è che qualcuno potrebbe sparargli in testa.
Sono state un vero e proprio “fuoco alle polveri” le dichiarazioni di ieri del presidente del Consiglio che dal palco dell'assemblea di Federalberghi a Roma è intervenuto sull'inchiesta che vede indagati sette componenti della Commissione Grandi rischi, fra i quali due rappresentanti della Protezione civile, il numero due di Bertolaso, De Bernardinis, e l'ingegnere Mauro Dolce.
Il procuratore Rossini, che indaga sui crolli e sul mancato allarme, evita di entrare in polemica, mentre il comitato di presidenza del Csm affronterà domani la questione della tutela dei pm aquilani.
Mentre il centrodestra, a tutti i livelli, si schiera con il premier e minimizza, reazioni stizzite si registrano da tutto il centrosinistra; ma il clima che si respira a L'Aquila è assai più di indignazione.
“Di rosso, da queste parti, c'è solo il sangue di 308 morti – scrivono gli animatori di diversi blog cittadini – altro che le toghe”. Reazioni alle parole del premier rimbalzano ovunque sulla rete e sui social networks.
Nel capoluogo martoriato dal sisma prevale un sentimento di gratitudine nei confronti del sistema di Protezione civile per quanto fatto nella fase dell'emergenza. Ma da queste parti, nessuno ha mai pensato di imbracciare un'arma per avere giustizia.
Il comitato familiari delle vittime della casa dello studente, invita Berlusconi ad andare a leggere la lettera nella quale Bertolaso il 5 luglio 2009, rispondendo al grido di dolore di Sergio Bianchi, padre di uno studente morto, scrisse che “i morti dell’Aquila potevano non esserci e soprattutto essere molto meno tra i giovani”.
Le vittime erano tutti studenti fuori sede, il comitato, conclude con una provocazione:
cosa farà Berlusconi: richiamerà la Protezione Civile anche da tutte le altre regioni italiane?
