Inaugurazione Anno Accademico: la relazione di DI Orio

19 Febbraio 2010   13:22  

 

'' Grazie per l’ulteriore attestazione di affetto che con la vostra presenza dimostrate nei confronti dell’Università dell’Aquila e della città che l’accoglie.

Il mio vocabolario personale non ha parole diverse per rappresentare i sentimenti che in questi mesi ci hanno unito e hanno alimentato i nostri rapporti istituzionali e personali.

Un affetto vero, sincero, perché scaturito dal dolore e forgiato dalle difficoltà che in questi mesi abbiamo superato con successo, forse ai più insperato.

Grazie ancora, di cuore.

Esprimo in particolare un ringraziamento sentito al Presidente della Camera on. Gianfranco Fini che, con la sua autorevole presenza, rappresenta la dimostrazione dell’attenzione privilegiata dello Stato nei confronti dell’Università e della Città dell’Aquila, in un momento così difficile, ma anche così colmo di attese e speranze.

 

Tra due mesi, il primo anniversario…

Tra meno di due mesi celebreremo il primo anniversario di quella tragica notte del 6 aprile, che così drammaticamente ha cambiato la nostra vita, personale e comunitaria.

Il sisma ha, infatti, unito le comunità accademica e civile aquilane come mai prima era successo. Quella che era una vocazione istituzionale per l’Università, che identificava solo una sintonia culturale, è divenuta esperienza concreta di vita che oggi la unisce alla città dell’Aquila in un unico e non più separabile destino.

Laddove con destino non voglio qui significare – come giustamente stigmatizzerebbe il nostro grande scrittore abruzzese, Ignazio Silone, - «l’invenzione della gente fiacca e rassegnata»1.

Intendo, invece, indicare l’orizzonte condiviso nel quale Università e Città dell’Aquila dovranno individuare e costruire insieme il loro futuro possibile.

Proprio in nome e in forza di questo legame ormai inscindibile, rivolgiamo ancora il nostro deferente pensiero alle vittime della tragedia che ci ha colpiti, ricordando in particolare i nostri studenti che hanno perso la vita nella loro stagione più bella, quella che lega la giovinezza allo studio e alla formazione.

La nostra Università ha trovato proprio nella perdita di tanti suoi studenti la motivazione più forte per non arrendersi di fronte alla sconvolgente forza della natura che sembrava aver cancellato, in pochi secondi, il lavoro di tanti anni.

Il loro sacrificio rimarrà per tutti noi un monito a continuare a credere nell’Università, alla bellezza di un’istituzione che è, innanzitutto, un luogo di condivisione di esperienze umane e di formazione delle coscienze oltre che delle intelligenze.

Alla loro memoria dedichiamo il nostro lavoro di questi mesi e dei prossimi anni, perché è nella loro memoria che questo lavoro assume il significato più vero e pregnante.

Una memoria che noi tutti sapremo custodire come un tesoro prezioso, che continueremo a riproporre sempre - con la stessa forza e la stessa dedizione – ai giovani che continueranno a formarsi nella nostra Università.

 

Il sisma del 6 aprile 2009, spartiacque indelebile nella storia dell’Università dell’Aquila

Il sisma del 6 aprile rimane, come uno spartiacque indelebile, a separare la storia del nostro Ateneo in due tronconi, che sta all’impegno di noi tutti - a livello individuale e collettivo, personale e istituzionale - riannodare, nella consapevolezza che ciò che costruiremo sarà qualcosa di diverso da prima.

Proprio in quel tragico spartiacque, dobbiamo ancor più trovare le motivazioni e la forza per ricominciare a tessere i fili di una storia che sarà sì diversa, ma non per questo meno significativa.

Prima del 6 aprile l’Università dell’Aquila era stata collocata tra gli Atenei virtuosi. Il risultato del non superamento del limite del 90% nel rapporto AF/FFO era stato conseguito, a differenza di altri Atenei, in presenza di una significativa attività di sviluppo delle risorse di personale docente e tecnico-amministrativo.

Eravamo cioè riusciti nella difficile impresa – apparentemente paradossale alla luce dei criteri purtroppo ormai invalsi anche all’interno del mondo accademico – di sviluppare la nostra Università, pur restando tra gli “Atenei virtuosi”.

Un risultato che non sarebbe stato possibile senza il lavoro di tutti coloro che, con dedizione assoluta e impegno costante, avevano consentito al nostro Ateneo, pur tra mille difficoltà finanziarie, di adempiere pienamente alle proprie funzioni istituzionali.

Come attestavano concordi i principali indicatori di qualità relativi a tutte le sfere dell’attività accademica (didattica, ricerca, impiego delle risorse, prospettive occupazionali dei laureati), l’Università dell’Aquila risultava al 10° posto tra le Università statali e prima tra le Università del Centro-Sud2.

Risultava anche tra gli Atenei con il più basso numero di abbandoni degli studenti universitari: con un valore di 8.3% di abbandoni, si collocava ben al di sotto del dato medio nazionale (pari al 18.7%), al settimo posto assoluto tra gli Atenei italiani ed in linea con quello medio di altri paesi europei come la Gran Bretagna (8,6%), l’Olanda (7%) o la Francia (6%3.).

Questi risultati rappresentavano la migliore conferma del fatto che l’Università dell’Aquila era – prima del 6 aprile - una risorsa non solo per la nostra Regione ma per tutto il Paese, per il suo sistema formativo e per quello della ricerca scientifica.

La risposta immediata al sisma

Ripercorrere con la memoria questi dieci mesi dopo il sisma, significa ricordare che all'indomani del 6 aprile nessun edificio della nostra Università era agibile e che il 70% delle nostre strutture erano andate distrutte.

Significa ricordare la nostra risposta immediata all’emergenza, con la valutazione dell’agibilità delle strutture edilizie universitarie, alla quale è seguita la fase della rapida messa in sicurezza e riattivazione delle strutture agibili e l'acquisizione di nuove strutture provvisorie.

Un risposta che è stata data grazie alle competenze interne dell’Ateneo, a partire dalla Commissione ad hoc costituita presieduta dal prorettore prof. Roberto Volpe, che ringrazio di cuore per la grande dedizione che dedica al nostro Ateneo.

Parallelamente è stato avviato un importante dialogo con il Governo che ha recepito le nostre esigenze e proposte. Ciò ha condotto alla sottoscrizione, l’8 maggio 2009, del determinante accordo di programma con il MIUR, che ha assicurato le risorse finanziarie necessarie per affrontare la ricostruzione e per garantire il funzionamento dell’Università per i prossimi tre anni.

Vanno, inoltre, ricordati i protocolli di intesa sottoscritti con l’ENI, con Finmeccanica e con il Ministero per la Pubblica Amministrazione e l’Innovazione.

Non posso qui ricordare tutte le «mille» iniziative intraprese che hanno spesso visto protagonisti moltissimi colleghi, supportati e stimolati dall’entusiasmo e dall’impegno di studenti, dottorandi, assegnisti, borsisti.

A tutto il personale tecnico-amministrativo va il nostro ringraziamento, per avere contribuito in modo determinante a tutte queste nostre iniziative, pur dovendo scontare, forse più di ogni altra categoria universitaria, la difficoltà di coniugare il doveroso impegno verso l’istituzione accademica con il peso delle sofferte esperienze personali vissute in questi mesi.

Tutte queste iniziative si collocano in un quadro generale di dialogo costante e di fattiva collaborazione con tutte le istituzioni coinvolte nella gestione della situazione di emergenza.

In particolare voglio qui ricordare - e ringraziare con affetto e riconoscenza sincera – il corpo dei Vigili del Fuoco, per l’instancabile e prezioso servizio prestato nell’immediata emergenza a sostegno di tutta la popolazione aquilana e per la paziente, discreta e scrupolosa opera fornita alla messa in sicurezza e alla ricostruzione della città e dell’Università.

Ed è in segno indelebile di questa riconoscenza che l’Università dell’Aquila ha inteso simbolicamente attribuire quest’anno il premio Vincenzo Rivera all’Ing. Antonio Gambardella, Capo del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco e all’Ing. Sergio Basti, Direttore Centrale per l’Emergenza ed il Soccorso Tecnico del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco.

 

I problemi ancora aperti: la residenzialità studentesca

Non posso, tuttavia, non rilevare le difficoltà che abbiamo riscontrato con gli Enti Locali e, in particolare, con la Regione Abruzzo rispetto all’esigenza di individuare sistemazioni dignitose per i nostri studenti. In tal senso mi sono speso fino in fondo nel denunciare una situazione che si è fatta insostenibile, anche scrivendo al Presidente della Repubblica.

All'indomani del tragico evento che ha colpito la città dell'Aquila fu annunciato lo stanziamento di 16 milioni di euro, rinvenuti nel bilancio del MIUR, da destinare alla ricostruzione della Casa dello Studente, simbolo della devastazione del terremoto. Ad oggi non si hanno rassicurazioni sulla effettiva disponibilità di questo finanziamento.

La necessità di interventi pubblici in grado di soddisfare le esigenze alloggiative dei nostri studenti è sempre più avvertita in un contesto territoriale fortemente provato dalla necessità di residenze e caratterizzato da una forma di pendolarismo che interessa circa 8000 studenti e crea notevoli disagi anche alla mobilità cittadina.

Pur non avendo competenze specifiche in materia, non siamo restati inermi in attesa di decisioni che spettano ad altri. Così sono stati da noi prima acquisiti e poi messi a disposizione dell’Azienda per il Diritto agli Studi Universitari (ADSU) oltre 200 alloggi in base ad una Convenzione siglata ad ottobre 2009. Abbiamo ottenuto la promessa di destinazione a residenza per studenti della Caserma Campomizzi. Abbiamo costituito un gruppo di lavoro permanente per favorire l’incontro tra domanda e offerta di alloggi. Infine abbiamo individuato lo strumento, particolarmente innovativo, del Project Financing proprio per la realizzazione di strutture da adibire a residenze studentesche.

Nel comunicare ufficialmente che chiederò agli organi accademici di costituire l’Università dell’Aquila parte civile nel procedimento giudiziario che dovrà individuare le responsabilità del drammatico crollo della Casa dello studente, nel quale hanno perso la vita tanti studenti universitari aquilani, ritengo un mio preciso dovere richiamare l’attenzione della pubblica opinione sulla questione dell’attuazione del diritto allo studio nel nostro Paese.

Basti pensare che, a livello nazionale, la disponibilità di posti letto per la popolazione universitaria è appena del 2% - valore largamente inferiore a quello della Francia e della Germania dove è del 10% o della Finlandia dove è del 30% - in Abruzzo non raggiunge lo 0.50%4.

A questa carenza cronica della nostra regione, si devono aggiungere le difficoltà determinate dal sisma che hanno colpito solo gli studenti dell’Università dell’Aquila.

E’ dunque necessario che vengano destinate maggiori risorse economiche, sia a livello nazionale sia a livello regionale, per dare finalmente compimento ad un diritto che, non è mai scontato ricordarlo, è sancito dalla nostra Costituzione.

Le difficoltà finanziarie del sistema universitario

In tal senso, non può non destare preoccupazione la linea governativa di drastica riduzione dei finanziamenti che inevitabilmente determinerà una situazione finanziaria insostenibile per tutto il sistema universitario pubblico.

Per effetto della finanziaria 2009, confermata per il 2010, il Fondo di Funzionamento Ordinario diminuirà nel 2011 rispetto al 2009 di 1.355 milioni di euro, tornando così ai livelli del 2001 e non tenendo in alcun conto lo sviluppo registrato dal sistema universitario nazionale in questi anni (cfr. grafico allegato).

Deve essere chiaro che gli Atenei non possono esaurire il loro ruolo nella mera erogazione di stipendi al personale, ma necessitano di risorse da impiegare nella ricerca e nella didattica.

In questa situazione, l’approvazione del bilancio di previsione per il 2010 da parte degli organi accademici dell'Università dell'Aquila ha rappresentato un atto di grande responsabilità.

In tema di politiche del personale il nostro Ateneo, che è stato il primo a riconoscere la dignità di un lavoro stabile ai lavoratori precari, non può non esprimere il suo profondo rammarico nel constatare che strumenti normativi e difficoltà finanziarie impediscono la stabilizzazione degli ultimi 22 lavoratori precari dei 66 che aveva in servizio. Chiediamo, dunque, a tutte le istituzioni di farsi carico di questo problema sociale, particolarmente grave nella nostra città così duramente provata.

Deve essere chiaro, inoltre, che, senza fondi integrativi assegnati a breve termine, tenendo eventualmente conto delle eventuali revisioni del carico Irap e dei maggiori introiti già assicurati o che potrebbero ulteriormente derivare dallo scudo fiscale, peggioreranno seriamente e, in alcune situazioni in modo irrimediabile, l’efficienza, la qualità e l’equilibrio finanziario degli Atenei.

Come Conferenza dei Rettori stiamo cercando di evidenziare il complesso delle esigenze vitali del sistema, identificando gli opportuni indicatori di valutazione e distribuendo le risorse ai singoli atenei anche tenendo conto dell’andamento effettivo dei pensionamenti e del turn over del personale.

 

I 20.000 studenti iscritti: un segnale di fiducia vero l’Ateneo aquilano

Pur nello scenario critico del post-terremoto e in un contesto nazionale irto di difficoltà, il nostro Ateneo ha superato i 20.000 iscritti, dando ragione alla nostra ferma e convinta decisione di far restare l’Università dell’Aquila nella città dell’Aquila.

E’ stato un traguardo forse ai più insperato, che ha smentito le previsioni pessimistiche di molti osservatori esterni al mondo universitario e di tanti che avrebbero preferito il trasferimento delle sedi universitarie aquilane in altri luoghi del territorio abruzzese. Tutte le Facoltà hanno sostanzialmente mantenuto i livelli di iscritti dell’anno accademico 2008/2009.

Mi piace sottolineare in modo particolare il dato relativo agli immatricolati, che hanno ampiamente superato i 5000. E’ un risultato che rappresenta un segnale di fiducia dei giovani verso l’istituzione accademica aquilana.

E proprio sui giovani – sulle loro speranze, sulle loro attese – ancora una volta dobbiamo soffermarci a riflettere, altrimenti non adempiremmo alla nostra fondamentale missione.

Mentre l’Università dell’Aquila può giustamente salutare con soddisfazione gli oltre 5.000 immatricolati, le statistiche nazionali ci dicono che in cinque anni l’Università italiana ha perso 40.000 matricole. Se cinque anni fa il 73% dei ragazzi diplomati si iscriveva all’Università, quest’anno si è iscritto solo il 60%. Così, invece di avvicinarci alla media dei paesi Ocse per tasso di universitari e laureati, ci stiamo ulteriormente distanziando5.

 

Le vere cause della diminuzione di immatricolazioni

Perché sta succedendo tutto ciò? E’ forse colpa dell’Università, come sempre più spesso viene affermato a livello mediatico?

Le cause vanno, a mio avviso, cercate in un più ampio fenomeno socio-economico che sta interessando, con diversi livelli di gravità, tutto il mondo occidentale.

Per la prima volta in tempo di pace, infatti, la generazione che precede non lascia un mondo migliore a quella che la segue. La generazione nata dalla fine degli anni Sessanta all’inizio degli anni Ottanta, è stata infatti definita dei baby losers, cioè perdenti, come ha spiegato il sociologo francese Louis Chauvel6.

Tale denominazione allude a quella dei baby-boomers, con la quale viene definita la generazione nata durante il boom economico, che ha ricostruito l’Europa dopo la seconda guerra mondiale.

L’attuale generazione dei baby-losers subisce, invece, una riduzione delle prospettive. La recessione economica produce una crescente mobilità sociale discendente: i figli delle classi medie non riescono ad accedere a posizioni comparabili a quelle dei loro genitori.

Si assiste ad una mancata corrispondenza tra i valori e le aspettative che la nuova generazione nutre (libertà individuale, riuscita personale, valorizzazione del tempo libero) e le realtà con le quali è costretta a confrontarsi (centralità del mercato, eteronomia, carenza di risorse, assenza di lavori interessanti).

E’ principalmente sui giovani, dunque, che si ripercuotono gli effetti della de-valorizzazione economica, dell’aumento dei titoli di studio privi di uno sbocco occupazionale garantito, del declassamento sociale ed educativo, della precarizzazione del mercato del lavoro, della polarizzazione dei redditi, della de-sindacalizzazione e de-politicizzazione istituzionale.

Per i giovani della nostra terra aquilana e abruzzese, questi deleteri effetti possono essere ulteriormente esasperati dalle ripercussioni a lungo termine del sisma del 6 aprile, con il pericolo davvero concretissimo di dissocializzazione, cioè di una difficile socializzazione7.

Verremmo meno ai nostri compiti istituzionali se non denunciassimo questi rischi che riguardano i nostri giovani, i nostri studenti, e se non ci impegnassimo – qui ed ora – con tutte le nostre energie per garantire loro un futuro ricco di opportunità, come lo è stato per la nostra generazione. Questo è l’unico grande scopo del nostro impegno.

 

Le dimensioni della crisi del Paese

La diminuzione degli iscritti alle Università trova dunque cause più ampie e complesse, che vanno individuate nelle caratteristiche attuali del mondo del lavoro.

Basti pensare che il tasso di disoccupazione a dicembre 2009 è salito all'8,5%, in crescita di 1,5 punti percentuali rispetto allo stesso mese dell'anno precedente. Il tasso di disoccupazione giovanile è pari al 26,2%, in aumento di 3 punti percentuali rispetto a dicembre 20088.

Il mondo delle professioni presenta un quadro ancora più preoccupante. In dieci anni il numero dei professionisti di tutte le categorie con meno di 35 anni è sceso dal 30 al 22 per cento9.

Nel campo delle risorse umane e della formazione l’Italia mostra un gap rilevante rispetto agli altri paesi dell’Unione. Pesano in particolare i ritardi in termini di quota di popolazione adulta che partecipa ad attività formative, soprattutto in termini di laureati in materie scientifiche ogni 1000 abitanti di 20-29 anni: ci sono appena 10 laureati in materie scientifiche su 1000 giovani contro i circa 20 di Regno Unito, Francia e Irlanda.

Anche gli indicatori relativi all’innovazione, alla ricerca e sviluppo, sono fortemente penalizzanti per la realtà nazionale ed in particolare per quella del Mezzogiorno, che l’ultimo Rapporto SVIMEZ ha molto significativamente definito come la «Cenerentola d’Europa»10.

 

Gli effetti della globalizzazione

Rispetto a questa situazione, nella quale i fenomeni della recessione economica e della dissocializzazione, con i loro intrecci perversi, manifestano i loro pericolosi e sinergici effetti, non può più bastare il generico appello alla strategia di Lisbona, con il richiamo al capitale umano quale risorsa su cui investire e alle opportunità derivate dalla società della conoscenza.

Anche se, è bene ricordarlo, siamo ancora molto lontani con l’1,1% del PIL desinato alla Ricerca e Sviluppo dall’obiettivo del 3% fissato dagli obiettivi di Lisbona, il problema oggi fondamentale è come evitare che l’investimento sul piano della formazione, in un contesto socio-economico che determina meno opportunità per i giovani, possa esitare solo in una dissocializzazione senza speranza.

Se investire ancora di più sull’istruzione e sulla formazione rappresenta un elemento necessario, può tuttavia non essere sufficiente per garantire lo sviluppo del sistema, senza una contemporanea presa di coscienza da parte dell’imprese e di tutto il sistema produttivo, finalizzata alla crescita economica e alla predisposizione di adeguate politiche industriali e di sviluppo.

Devono essere garantite maggiori opportunità ai giovani.

Invece l’unico obiettivo proposto, quello di innalzare il livello di competitività del nostro Paese, non solo è insufficiente, ma rischia di essere anche pericoloso.

Come sostiene Peemans, «l’internazionale comanda al nazionale, le regole di funzionamento dell’impresa prevalgono sullo Stato, il settore privato impone le sue priorità al settore pubblico, la crescita del settore moderno è vista come il risultato della condizionalità dell’economia internazionale e della competitività delle imprese»11.

La globalizzazione cambia le regole della produzione e rende inefficaci le reti protettive pensate su scala nazionale o continentale. I territori sono esposti ai nuovi flussi economici e migratori. Ciò genera il sentimento di un’irrimediabile precarietà, di una perdita e di un’angosciosa apocalisse culturale, cui si reagisce con la ricerca di una comunità esclusiva e protettiva12.

La globalizzazione fa paura e con essa sembra avanzare una minaccia per l’intera comunità, concretizzata nel logoramento e nel depotenziamento di quelle istituzioni sociali deputate alla sua protezione.

La manipolazione di questo malessere locale, con le possibili e pericolose derive xenofobe, segue questa scorciatoia. E proprio rispetto a questa paura, spesso strumentalizzata, degli stranieri immigrati, si è levata alta e coraggiosa la voce del Presidente della Camera on. Gianfranco Fini, individuando all’origine di tale malessere, un inascoltato bisogno di «protezione». La nostra comunità accademica e intellettuale riconosce la validità e l’autenticità di questo suo impegno, capace di andare al di là dei luoghi comuni per cogliere alla radice le cause delle più scottanti questioni socio-culturali che il nostro Paese sta vivendo.

 

La soluzione possibile: «Fare società»

È solo nella mediazione tra la tensione competitiva e quella territoriale che può essere trovata una soluzione, perché nessuna crescita economica può da sola garantire lo sviluppo di una società.

In quest’ottica appare in tutta la sua urgenza il compito – come è stato definito dal sociologo Aldo Bonomi - di «fare società»13. Si tratta di un impegno che va assunto con particolare lucidità da parte di tutti gli attori sociali, superando l’illusione che esistano delle comunità naturali in grado da sé di metabolizzare la trasformazione radicale che è in atto.

E’ necessario, dunque, esplorare e favorire attivamente tutti i sentieri di partecipazione, di economia solidale e di formazione di socialità capaci di far superare la fase di spaesamento in cui si trova l’Italia, integrando in modo creativo la crescita della competitività economica con quella della qualità della vita sociale.

In tal senso il sistema formativo - in particolare l’Università - deve sviluppare una nuova capacità di comunicare alla società, proprio a partire dal contesto territoriale in cui è inserito. Ma per svolgere questo ruolo, deve essere messa nelle opportune condizioni finanziarie.

L’impegno di «fare società» dovrebbe essere assunto, da parte di tutti coloro che hanno a cuore il futuro dell’Italia, come un compito prioritario, verso cui orientare risorse con una logica progettuale territoriale e a lungo termine.

La soluzione si trova nella capacità di fare comunicare tra loro mondi culturali e linguaggi differenti.

Ed è proprio per sottolineare questa prospettiva e questa necessità di far comunicare tra loro mondi culturali e linguaggi differenti, che abbiamo scelto per la prolusione di questa giornata inaugurale il prof. Rocco Ronchi, uno dei nostri più brillanti docenti nonché filosofo universalmente riconosciuto per la sua originale ricerca teoretica centrata proprio sul concetto di comunicazione e sul dialogo tra scienze umane e scienze della natura.

E sempre in questa prospettiva abbiamo voluto conferire quest’anno il premio Vincenzo Rivera al prof. Massimo Casacchia, non solo per la sua attività di scienziato della mente, ma anche per la sua capacità di guardare gli aspetti psicosociali delle malattie mentali, nella riaffermazione mai scontata dell’umanità e dell’autonomia del malato mentale. Il premio conferito al prof. Casacchia è anche il riconoscimento alla sua instancabile opera di accompagnamento degli studenti nel loro percorso formativo, con lo sviluppo all’avanguardia in Italia di specifici servizi di ascolto e di tutorato per gli studenti.

 

Dopo il 6 aprile: le strategie per un nuovo sviluppo

E’ stato questo, dunque, un momento di intenso lavoro da parte di noi tutti impegnati a vario titolo e con diversi livelli di responsabilità nell’Università dell’Aquila. Siamo consapevoli che le risposte che tutti insieme dovremo continuare a dare, devono essere viste in una prospettiva più lunga e di più ampio respiro,

L’Ateneo aquilano dovrà ripensare profondamente le forme, i modi, i tempi dell’attività accademica. A pensarci bene, tuttavia, la necessità di un tale ripensamento precedeva l’evento sismico che ha interessato la nostra città e riguardava tutto il sistema universitario nazionale che da troppo tempo è in attesa di una vera riforma.

La riflessione su questi temi può, dunque, contribuire alla costruzione di un nuovo modello di Ateneo che da un lato consolidi la propria attività di ricerca e la tradizionale offerta formativa ma che, dall’altro, si proponga alla comunità scientifica nazionale e internazionale per nuovi filoni di ricerca e che offra nuove proposte formative sia dal punto di vista dei contenuti sia delle modalità didattiche, che siano anche in grado di cogliere le possibilità di studio che proprio l’evento sismico, pur nella sua drammaticità, è in grado di evocare.

Le nostre Facoltà hanno già le competenze per studiare i fenomeni naturali e tutte le ripercussioni che questi possono determinare sulla comunità civile a tutti i suoi diversi livelli: culturale, sociale, urbanistico, ingegneristico, economico, psicologico, sanitario…

Da tutto ciò può derivare una specifica identità culturale per l’Università dell’Aquila che può già essere riconosciuta internazionalmente grazie all’istituzione di specifici centri di ricerca nazionali e internazionali con sede nella nostra città e nella nostra Università che hanno affiancato quelli, prestigiosissimi, già presenti.

L'Università dell'Aquila ha deciso di non rinunciare alla storica articolazione delle sue sedi in tre poli - Centro, Coppito, Roio - anche come contributo fattivo alla ricostruzione del tessuto urbanistico della città e del suo territorio. Mai abbiamo pensato di rinunciare alle nostre sedi del Centro storico cittadino, vero cuore pulsante e unico riferimento dell'identità cittadina. Prova ne sia il fatto che l'unico cantiere attualmente attivo nel Centro storico è universitario, e porterà alla realizzazione presso l'ex Ospedale San Salvatore delle nuove sedi delle Facoltà di Lettre e Filosofia e di Scienze della Formazione.

L’Università dell’Aquila è ora chiamata, proprio dalle tragiche conseguenze del sisma, a vivere ancor più fortemente il proprio rapporto con la città. Ciò significa assumere responsabilmente su di sé le categorie e i processi che animano la città - con i suoi i problemi, le sue difficoltà, le sue aspirazioni, le sue attese, le sue speranze - e a cercare concretamente risposte efficaci. In questo momento, declinare il proprio ruolo di istituzione pubblica al servizio della cultura e della scienza, significa per l’Università presentarsi, con indipendenza e autorevolezza, al rapporto e al confronto con le altre istituzioni, con la società, con la cittadinanza, in modo strategico e con spirito propositivo e propulsivo.

E se la città dell’Aquila era identificata come una «città universitaria», proprio dall’Università può partire un impulso forte per la costruzione non di una «nuova città», come pure qualcuno sostiene, ma di una «città nuova», capace di recuperare ciò che di buono e di bello era presente nella sua storia, ma anche capace di pensare il suo futuro con spirito rinnovato ed aperto in vista di una efficace e feconda sintesi tra «antico» e «nuovo», secondo le più attuali tendenze della post-modernità.

 

La ricostruzione della città, nella legalità e nella trasparenza

Non possiamo tuttavia non guardare con preoccupazione ed indignazione quanto sta succedendo nel più ampio quadro dei processi di ricostruzione della nostra città, laddove per alcuni la tragedia di un intero popolo ha rappresentato e rappresenta solo un’opportunità per «fare affari», magari ridendoci sopra.

Se la nostra preoccupazione principale è rappresentata dai giovani e dal loro futuro, diamo loro un Paese diverso, senza illegalità e corruzione.

La ricostruzione della città deve avvenire sì nell’efficienza complessiva ma mai a scapito della trasparenza. In nome dell’emergenza non si può rinunciare alla legalità, che non può essere interpretata né tanto meno presentata come un ostacolo, un impedimento all’efficacia della ricostruzione.

Non vorremmo poi scoprire, nella meraviglia e nello stupore di alcuni, che le tanto decantate risposte all’emergenza nascondano, invece, imprecisioni, trascuratezze, errori, se non addirittura occasioni di malaffare.

L’unica garanzia nei confronti di tutto ciò, sta nella legalità e nella trasparenza, che solo chi è in malafede può interpretare come ostacoli o impedimenti.

Le ragioni della ricostruzione della città dell’Aquila vanno, dunque, cercate nel tempo presente, rifuggendo dall’affarismo più deteriore ed effimero ed individuando, invece, le condizioni, i presupposti, gli elementi, che possono aprire questo tempo presente alla prospettiva concreta di un futuro possibile.

Ma questa ricerca sarebbe parziale e incapace di individuare la vera identità della città, nella sua dimensione più generale e complessa, se non guardasse anche al tempo passato, alla sua storia.

Non è mai scontato o superfluo ricordare, infatti, che l’identità di una città affonda le sue radici nella storia, nella sua storia.

Una storia grande e, questa sì, «magnifica» - come dichiara fin dal titolo, lo splendido libro dedicato alla città dell’Aquila dalla nostra casa editrice L’Una14 - abitata ciclicamente dal terremoto, ospite terribile e non sempre inatteso, come questa volta è colpevolmente successo, capace di scompaginarne le pagine ma non di impedire la loro continua ricomposizione in forme nuove e creative, al punto che il motto stesso dell’Aquila «immota manet» solo a superficiali interpreti di questa storia può apparire paradossale.

La coscienza di questa storia rappresenta l’unico antidoto per non ricostruire invano: cioè senza un senso o, se volete, una direzione.

Si ha, invece, la pericolosa sensazione che, mentre si dibatte ancora sulla «new town» - con un anglicismo mai così inopportuno - in realtà si stiano, freneticamente e confusamente, moltiplicando i nuclei abitativi, in una serie infinita e indefinita di cloni replicanti uguali a sé stessi e, in quanto tali, lontanissimi dall’idea di una città storicamente definita.

Rileggendo questa storia, così ricca di fatti, uomini, miti, leggende ci prende – tutti noi che amiamo la nostra città dell’Aquila - un lieve e dolcissimo sentimento di nostalgia per ciò che era e che non sarà più.

Eppure, proprio dalla rilettura del passato, deriva una speranza ancora più forte e consapevole, nella presa d’atto, storicamente definita, delle mille resurrezioni di una città, caduta e riemersa dalle sue macerie sempre più bella, perché capace di non smarrirne la memoria e, quindi, l’identità.

Sono convinto che, anche questa volta, sarà così, a patto che tutti insieme – istituzioni e cittadinanza – sapremo guardare al passato per rintracciare un’identità che longitudinalmente si sviluppa nel tempo e rifiuta, proprio per questo, esogeni schemi culturali, sociali, urbanistici, architettonici, che da quella storia non emergono e quindi non le appartengono.

Nella consapevolezza, che ogni processo di ricostruzione implica sempre un processo di rinnovamento che richiede sì memoria del passato, ma anche lungimiranza e, soprattutto, creatività. Perché, come ci ricorda Jorge Luis Borges, ogni «lavoro creativo è un pò sospeso tra la memoria e l’oblio: bisogna ricordarsi tante cose, ma non tutte».

Non temo quindi di ribadire, ancora una volta e nel momento istituzionalmente privilegiato per ogni istituzione accademica – quello della cerimonia di inaugurazione dell’anno accademico – che il futuro della città dell’Aquila o sarà «universitario», o non sarà.

Come d’altra parte non sarà possibile un futuro per l’Università dell’Aquila senza la sua città.

Con l'orgoglio di chi non ha lasciato neanche per un giorno la nostra meravigliosa città ferita, estendo a voi cittadini aquilani, un abbraccio affettuoso, che nasce dal comune sentire e dalla condivisione profonda delle sofferenze causate da una tragedia indicibile: nessuno, fuori da questa città, potrà mai capire la forza di questo sentimento che ci legherà per tutta la nostra esistenza.

A voi studenti, rivolgo un ringraziamento sincero per averci dato ancora la vostra fiducia: nessuno potrà mai dubitare della nostra incrollabile volontà di compiere fino in fondo il nostro dovere, pensando sempre ed unicamente al vostro futuro.

Ed è con questi sentimenti, che uniscono saldamente tutti noi in una sola comunità civile ed universitaria insieme, che ho l’onore di dichiarare aperto l’anno accademico 2009-2010 dell’Università degli Studi dell’Aquila.

Feridnando Di Orio

 


Oroscopo del Giorno powered by oroscopoore