L'Aquila e Messina, vittime di una inesorabile guerra civile

06 Ottobre 2009   15:09  

L'Italia è un paese molto più unito ed omogeneo di quanto si tenda a pensare solitamente.
Le formali, rituali e talvolta stereotipate differenze che intercorrono tra nord, centro e sud d'Italia, tra le regioni appenniniche e quelle della pianura padana, tra l'Italia insulare e quella continentale, mostrano la propria totale insussistenza proprio in occasioni come queste.

La storia che la Sicilia e l'Italia intera stanno vivendo in questi ultimi drammatici giorni sembra seguire un copione prestabilito.
Nel messinese ruspe ed uomini a mani nude si dannano negli ultimi disperati tentativi di trovare ancora vivi gli ultimi dispersi. Si contano già decine di morti, nonostante in molti continuino a ribadire che, in un'altra situazione meno favorevole, sarebbero potuti essere molti, molti di più.
Le autorità si sono recate immediatamente nella zona del disastro e nemmeno 48 ore dopo la tragedia c'è chi ha già a portata di mano la soluzione a tutti problemi. E chiede un rapido ritorno alla serenità e alla "normalità".
La disperazione di donne ed uomini senza case e colpite da inaccettabili lutti diventa la tragica protagonista di questo dramma reale tipico italiano.

Cambiano gli accenti, le statistiche e le responsabilità. Ma la storia non sembra essere troppo dissimile da quanto avvenuto 6 mesi fa in un'altra tristemente celebre parte d'Italia.

Il nostro è un paese in guerra. Da troppi anni. Non contro la natura, come qualcuno vorrebbe che fosse, per un comodo principio di deresponsabilizzazione. Siamo in guerra contro noi stessi. Possiamo definirla senza alcuna esagerazione una guerra civile.
In cui non ci sono trincee, linee di demarcazione o gerarchie di comando, ma solo un lento procedere di omicidi senza esecutori, compiuti tra allarmi inascoltati, piena consapevolezza dei rischi, rapporti ufficiali cestinati e "uomini di potere" impegnati nel governare un territorio tra mille problemi e zero soluzioni.

Sin dalle prime ore è partita la giusta ed inevitabile caccia alle responsabilità. Il tempo (e la magistratura) faranno i nomi dei colpevoli giudiziari di questo massacro. Le responsabilità politiche sono state già individuate, invece. E i primi ad illustrarle sono stati gli illustri Giorgio Napolitano, Presidente della Repubblica Italiana, e Guido Bertolaso, capo dipartimento della Protezione Civile.
Il crimine è stato presto individuato: la piaga dell'abusivismo edilizio ed il mancato ruolo dello Stato.

Un'analisi imperfetta, giacché lo Stato il suo ruolo lo ha avuto e lo ha mostrato con orgoglio. Sin dal 1985, l'anno del primo condono edilizio nazionale, varato dall'allora governo Craxi, con l'appoggio degli onnipresenti Casini, Mastella, Pisanu, Sacconi e Scalfaro (allora tra gli autori del provvedimento, legge 47/85, in qualità di Ministro dell'Interno).
Questo ruolo dello Stato legalizzatore dell'illegale non si è perso nel vuoto, ma è stato ripreso dignitosamente in altre due occasioni: nel 1994 e nel 2003, in entrambi i casi dagli esecutivi Berlusconi I e Berlusconi II.
L'impianto delle tre sanatorie è approssimativamente lo stesso: autocertificazione del richiedente, pagamento di un apposito obolo e principio del silenzio-assenso per l'approvazione.

Le responsabilità degli amministratori locali, seppur minori, non mancano. E così ci imbattiamo nella legge regionale siciliana numero 4 del 2003 (Presidente Salvatore Cuffaro, ora senatore UDC) che ratifica il condono nazionale del 1994, istituendo la pratica della rapida "firma giurata" in sostituzione alla lenta e burocratica procedura di approvazione.
Una legge che il Comune di Messina, seppur con "colpevole" ritardo, ha ripreso ed approvato proprio lo scorso dicembre (sindaco Giuseppe Buzzanca, PDL), istituendo un apposito ufficio comunale preposto alla validazione delle domande di condono edilizio.
Il provvedimento fu approvato in fretta e furia a causa della grande quantità di domande presentate e ancora giacenti e del rischio di perdere ingenti entrate derivanti dal pagamento delle richieste di sanatoria (motivazioni dichiarate espressamente all'interno dell'ordinanza comunale del 19 dicembre scorso).

Il nome del dipartimento cui compete l'approvazione delle richieste di condono? "Dipartimento attività edilizie e repressione abusivismo".
E' questa il principio con cui a Messina, e in tutta Italia, si combatte l'abusivismo. Una "lotta senza quartiere" fondata sulla trasformazione dell'illecito in lecito, dell'illegalità in formale legalità, che non finirà neanche di fronte alla prossima tragedia. Ai prossimi lutti. Alle prossime lacrime.


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