L'Aquila, stop alle casette di legno. Ma è polemica

Intervento di un nostro lettore

21 Dicembre 2010   12:48  

Il Comune dell'Aquila ha deciso di mettere la parola fine alla nascita di nuove casette di legno.
Ieri, il consiglio comunale ha definito lo stop alle richieste di realizzazione di un manufatti temporaneo e ha stabilito tempi definiti per chi ancora non costruisce.

Con 16 voti a favore, 5 contrari e 3 astenuti, il comune ha revocato la delibera 58 del maggio 2009 che aveva permesso a molti cittadini proprietari di case B, C e E (circa mille quelli con regolare richiesta al Comune) di realizzare abitazioni alternative alla propria su terreni anche non edificabili, per un tempo massimo di 36 mesi.

L'emendamento presentato da Angelo Mancini (Idv) e Luigi Faccia (L’Aquila città unita), come riferisce Faccia "sospende l'efficacia della delibera 58, senza eliminarne gli effetti." Ciò vuol dire che, chi ha una casetta di legno, costruita tenendo conto di tutte le regole richieste, può mantenerla finché le condizioni di emergenza lo permettano. Quando cioè la propria abitazione torna agibile si deve dismettere la casetta di legno che non ha più ragione di esistere.

Da oggi, non sarà più possibile costruire delle nuove casette, mentre chi ha già inoltrato la domanda di costruzione di casetta, dalla data di pubblicazione della delibera all’Albo pretorio, avrà 30 giorni per iniziare i lavori e 120 per ultimarli. 

"Gli effetti della delibera 58 non finiscono pertanto, dopo i 36 mesi definiti dalla delibera," riferisce il consigliere Luigi Faccia  "sarà possibile chiedere la proroga, che sarà molto probabilmente concessa sempre tenendo conto della durata dei lavori per rendere di nuovo agibile la propria abitazione".

Tra l'altro per quanti hanno costruito la loro casetta in aree definite edificabili, sarà possibile presentare un progetto vero e proprio, pagando le relative spese, per rendere la casetta definitiva, "non si tratta di una sanatoria", spiega Faccia "perché tutti gli oneri dovuti per nuove costruzioni dovranno essere pagati."

Intanto, nei prossimi giorni saranno intensificati i controlli per individuare i manufatti abusivi, e si prevede la stipula di convenzioni con la forze armate per rendere effettivi ed efficaci i controlli.

In odore di regolarizzazione anche le casette che rispettano le norme urbanistiche costruite su terreni a vincolo decaduto e quelle in terreni di pertinenza della propria abitazione (giardini e corti esterne), per le quali è pronta una mozione. 

Il 28 dicembre sarà poi in discussione la questione dei vincoli e delle aree bianche.


Sulla questione casette riportiamo la lettera di una nostra lettrice
"Gentile redazione, sono uno dei mille che per necessità (casa E con prospettive di sistemazione non immediate) ha deciso di provvedere da sè a risolvere il problema dell’alloggio, costruendo una casa su un terreno agricolo. Una scelta che è stata motivo di grande travaglio in famiglia, viste le scarse certezze che l’amministrazione ha fornito fin dal principio sulla vicenda. L’unica cosa sicura era la delibera 58 del 25 maggio 2009 che stabiliva i criteri per la realizzazione dei manufatti. Consideravo, e considero tuttora, quella delibera un grande errore. In primis perché ha “invogliato” (me compreso) la cittadinanza a spendere dei soldi per costruirsi una sistemazione che potesse far ritrovare alle famiglie serenità, intimità, sicurezza. Come si fa a dire a uno che ha casa in centro, con prospettive di ricostruzione decennali, “la casa temporanea dura 36 mesi?”. Ergo: fatevi una baracca che tanto dovrete toglierla. E così è stato fatto, solo che vista la possibile permanenza decennale, la baracca spesso è costata centomila euro e più tra piastre, legno, utenze, arredi e quant’altro. Più di uno, in quei giorni, e parlo di solerti consiglieri comunali, ha invogliato alla costruzione: “vai, vai, tanto non la toglie nessuno”. Molti cittadini che con coraggio hanno scelto di rimanere in città A SPESE PROPRIE si sono così sentiti “tutelati”. D’altronde si può investire una cifra consistente così, a cuor leggero? Veniamo a questi giorni. Esplode il dibattito sulla deregulation. Un aspetto certamente da tenere in considerazione. In effetti più di uno ha esagerato, soprattutto chi ha deciso di fare di quella casa “temporanea” una speculazione. Molti consiglieri, nei dibattiti pubblici e privati, fanno emergere allora posizioni diverse da venti mesi fa: “bisogna togliere tutto, a costo di mandare l’esercito”. Si scopre (L’Aquila è piccola) che sono gli stessi consiglieri che venti mesi fa invogliavano la popolazione a costruire e ora fanno i giustizialisti, magari per piccoli interessi personali (difesa dei costruttori o terreni da far fruttare). E così, anziché dibattere seriamente su come dare qualche certezza in più alle famiglie, si passa al pugno duro: ritiro della delibera, rimozione dopo 90 giorni dall’agibilità dell’abitazione principale. Caso, quest’ultimo, che costringerà molti di quelli che hanno speso soldi per stare più tranquilli, magari con la casa B, a bruciare quei fondi. La controreplica: “tanto lo sapevate, che lo avete fatto a fare?”. No, non è così. Soprattutto per chi è si è trovato con B che sono E, con seri problemi familiari, di salute, o semplicemente ha cercato di dare una possibilità in più ai propri figli di restare in città. La realtà è che l’amministrazione ha gestito questa vicenda in maniera pedestre. Si poteva fare una delibera più restrittiva, magari che individuasse aree ben precise, ma dando qualche certezza in più sulla regolarizzazione dei manufatti. Ora, invece, tutti sono nella gogna. Tutti vivono con la mannaia della demolizione sul capo. E’ serio penalizzare così chi ha deciso di rimanere all’Aquila con grossi sacrifici economici in una situazione terribile, facendo risparmiare soldi pubblici? E’ serio che l’amministrazione faccia marcia indietro così? E’ serio che non si dibatta su come risolvere la situazione, ma si pensi solo a come rimuovere le case? Chi ha costruito rispettando la delibera ha realizzato case non impattanti (sotto i sei metri di altezza, spesso usando legno), su aree già urbanizzate (era previsto dalla delibera), pagando regolarmente le utenze (previsto dalla delibera), presentando progetti e relazioni (previsto dalla delibera), occupando piccole porzioni di terreno (max 95 metri, previsto dalla delibera), spesso e volentieri su aree che il Comune mantiene bloccate o vincolate dal 1975 (anno dell’ultimo P.R.G.). E il famigerato consumo di territorio? Ammesso che sono mille le domande presentate, moltiplicando 95 (al massimo) per mille si ottengono 95.000 metri quadrati. Ovvero al massimo come tre centri commerciali di piccole dimensioni su un territorio di 467 chilometri quadrati (tra i più vasti d’Italia). E’ questo lo scempio? Sono questi coloro che devono rimuovere la casa? O coloro che l’hanno fatta nel giardinetto, in riva al fiume, sulle rotatorie, con allacci abusivi e senza comunicare nulla? Riflettano i signori consiglieri. Prima di fare, stavolta si, l’ennesimo sfregio alla città e ai cittadini. Cordialità." A.M.


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