L'esercito dei precari domani in piazza: anche in Abruzzo è mobilitazione

Il nostro tempo è adesso

08 Aprile 2011   12:10  

Domani, sabato 9 aprile, si svolgeranno in tutta Italia manifestazioni contro il precariato. Dalle 15 alle 21, è prevista una manifestazione che partirà da piazza della Repubblica per terminare a piazza del Colosseo.

In Abruzzo la manifestazione si terrà a Chieti in Piazza Giambattista Vico dalle ore 10.30 alle 13.00

Coloro che aderiranno alla manifestazione, si prevedono centinaia di migliaia di giovani precari, sottopagati e ''presi in giro da gerontocrazie al potere sempre più voraci, irresponsabili ed autorefernziali'', seguiranno lo slogan 'Il nostro tempo è adesso' scelto dal mondo dei mondo dei precari per presentare la manifestazione.

Questo il testo dell'appello

'' Non c'è più tempo per l'attesa. E' il tempo per la nostra generazione di prendere spazi e alzare la voce. Per dire che questo paese non ci somiglia, ma non abbiamo alcuna intenzione di abbandonarlo. Soprattutto nelle mani di chi lo umilia quotidianamente.

Siamo la grande risorsa di questo paese. Eppure questo paese ci tiene ai margini. Senza di noi decine di migliaia di imprese ed enti pubblici, università e studi professionali n...on saprebbero più a chi chiedere braccia e cervello e su chi scaricare i costi della crisi. Così il nostro paese ci spreme e ci spreca allo stesso tempo.

Siamo una generazione precaria: senza lavoro, sottopagati o costretti al lavoro invisibile e gratuito, condannati a una lunghissima dipendenza dai genitori. La precarietà per noi si fa vita, assenza quotidiana di diritti: dal diritto allo studio al diritto alla casa, dal reddito alla salute, alla possibilità di realizzare la propria felicità affettiva. Soprattutto per le giovani donne, su cui pesa il ricatto di una contrapposizione tra lavoro e vita.

Non siamo più disposti a vivere in un paese così profondamente ingiusto. Lo spettacolo delle nostre vite inutilmente faticose, delle aspettative tradite, delle fughe all'estero per cercare opportunità e garanzie che in Italia non esistono, non è più tollerabile. Come non sono più tollerabili i privilegi e le disuguaglianze che rendono impossibile la liberazione delle tante potenzialità represse.

Non è più tempo solo di resistere, ma di passare all'azione, un'azione comune, perché ormai si è infranta l'illusione della salvezza individuale. Per raccontare chi siamo e non essere raccontati, per vivere e non sopravvivere, per stare insieme e non da soli.

Vogliamo tutto un altro paese. Non più schiavo di rendite, raccomandazioni e clientele. Pretendiamo un paese che permetta a tutti di studiare, di lavorare, di inventare. Che investa sulla ricerca, che valorizzi i nostri talenti e la nostra motivazione, che sostenga economicamente chi perde il lavoro, chi lo cerca e chi non lo trova, chi vuole scommettere su idee nuove e ambiziose, chi vuole formarsi in autonomia. Vogliamo un paese che entri davvero in Europa.

Siamo stanchi di questa vita insostenibile, ma scegliamo di restare. Questo grido è un appello a tutti a scendere in piazza: a chi ha lavori precari o sottopagati, a chi non riesce a pagare l'affitto, a chi è stanco di chiedere soldi ai genitori, a chi chiede un mutuo e non glielo danno, a chi il lavoro non lo trova e a chi passa da uno stage all'altro, alle studentesse e agli studenti che hanno scosso l'Italia, a chi studia e a chi non lo può fare, a tutti coloro che la precarietà non la vivono in prima persona e a quelli che la "pagano" ai loro figli. Lo chiediamo a tutti quelli che hanno intenzione di riprendersi questo tempo, di scommettere sul presente ancor prima che sul futuro, e che hanno intenzione di farlo adesso.

IN PIAZZA I PRECARI DEL'L'INFORMAZIONE

«Muoversi adesso, perchè noi non facciamo notizia»: con questo motto i giornalisti precari di diverse città d'Italia hanno deciso di scendere in piazza sabato 9 aprile in occasione della manifestazione 'Il nostro tempo è adessò. «Siamo giornalisti senza contratto, sfruttati, sottopagati, ricattati e non tutelati - si legge in un comunicato del Coordinamento Nazionale Giornalisti Precari - spesso non siamo pagati affatto o retribuiti quattro centesimi a riga nelle regioni del Sud, dove scriviamo di mafie a rischio della vita». «In Italia - spiegano - la libertà di informazione è sempre più sottile a discapito per lo più dei 'giovanì cronisti che non hanno alcuna tutela, vivono una sudditanza psicologica pericolosa per la crescita democratica. Siamo ignorati dal sindacato di categoria che ci chiama 'free lancè, anche se in realtà siamo collaboratori costretti a vendere i propri articoli a prezzi stracciati». «Chiediamo subito un adeguamento dei nostri salari a quelli europei, l'indennità di disoccupazione per tutti i contratti atipici, una paga fissa non più bassa di 50 euro per ogni articolo scritto e un sindacato che ci riconosca e ci tuteli. Un lavoro giustamente retribuito - conclude la nota - è garanzia di professionalità e libertà non solo per i giornalisti, ma anche e soprattutto per i fruitori dell'informazione».

UNA GENERAZIONE DI LAVORATORI SENZA PENSIONE: I PRECARI OCCUPANO LA SEDE INPS

Ma lo striscione non è stata l'unica azione simbolica. Appena entrati all'Inps, i precari hanno creato «lo sportello dei precari» per calcolare la pensione della generazione senza posto fisso (collaboratori o lavoratori a partita iva). I manifestanti hanno distribuito banconote finte che rappresentavano l'indennità di disoccupazione ancora negata «Nell'ottobre del 2010 il presidente dell'Inps Mastrapasqua - ricorda un ragazzo del comitato - disse che non si poteva rendere pubblico il calcolo della pensione dei precari perchè questo avrebbe generato un "sommovimento sociale". Ebbene noi siamo qui perchè vogliamo rendere chiara a tutti la nostra misera o inesistente 'pensionè e vogliamo che si prendano dei provvedimenti».

«Abbiamo scoperto che una ragazza che oggi ha 28 anni quando avrà raggiunto i 38 anni di contributi avrà diritto a 500 euro di pensione – continuano i membri del Comitato -. Questa non è una battaglia di contrapposizione tra garantiti e non garantiti: non vogliamo togliere la pensione ai nostri nonni e ai nostri padri, ma pensiamo che la precarietà sia un problema di tutti».


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