L'incredibile caso Barusso e altri (ab)usi di pubblico denaro

Rimpasti, consulenze, costi personale

06 Luglio 2010   12:17  

E' tempo di sacrifici per gli enti locali. Lo impone la Finanziaria lacrime e sangue, il debito sanitario, il buon senso.

In una riunione di ieri la maggioranza in Regione Abruzzo, ha stabilito ed annunciato che dopo l'estate si procederà finalmente al taglio di indennità e privilegi di consiglieri e assessori.

E non solo, si chiuderà finalmente l'Aret, uno degli enti più inutili del panorama amministrativo abruzzese , nulla o poco di più di più che un erogatore di poltrone e stipendi per clientes e politici trombati o in declino. Si riformeranno anche gli enti territoriali per l'edilizia residenziale, le Ater, e le Ato, gli enti che gestiscono il ciclo idrico integrato. L'auspicio è che si arrivi ad un'unica Ato e ad un'unica società di gestione. Infine si stabilirà un corno programma per il taglio degli ospedali poco produttivi e il rafforzamento della medicina di base.

In questo modo la Regione, o meglio i contribuenti abruzzesi potranno risparmiare parecchi milioni di euro. E rendere per di più la funzione pubblica più efficiente e razionale. E pazienza se molti ex-componenti di cda dovranno cercarsi un altro lavoro, come un giovane precario qualsiasi.

Un buon  primo passo, speriamo, per riportare l'Abruzzo dopo decenni di allegri sciali e di feroce clientelismo, nei parametri della spesa pubblica virtuosa e sostenibile, soprattutto dopo un terremoto e in tempi di crisi.

Ricordiamo infatti che il costo del personale delle pubbliche amministrazioni abruzzesi è di 77 euro per cittadino, la media italiana, che andrebbe posta come obiettivo, è di 44 euro. Va bene che in Sicilia, la regina delle regioni spendaccione si arriva a 349 euro pro capite, ma è anche vero che Lombardia, Veneto, Liguria, l'Emilia- Romagna e Toscana sono sotto la media, e lì le cose funzionano anche meglio che da noi.

Il costo dei politici che amministrano in Abruzzo è poi di 22 euro a cittadino, doppio rispetto agli undici euro della media nazionale.

Molto altro ci sarebbe da fare, che non riguarda solo il numero degli enti e gli stipendi dei consiglieri ed assessori, ma il modo stesso di fare politica e di organizzare la gestione della cosa pubblica. A seguire tre casi esemplari

Ieri sul quotidiano il Centro Andrea Bene ha denunciato, relativamente al Comune di Pescara, un fenomeno che purtroppo è in essere in molte altre amministrazioni pubbliche: l'abuso degli affidamenti esterni all'ente di funzioni che invece l'amministrazione dovrebbe poter svolgere in house.

'' Il Comune di Pescara - scrive Andrea Bene - non ha tra i suoi 950 dipendenti tecnici affidabili per poter progettare e dirigere le opere pubbliche. Per questo, l'amministrazione ha deciso di ricorrere ai privati. E' stato stilato un elenco con 397 professionisti. Ma non è la prima volta che l'ente affida all'esterno incarichi che dovrebbero essere svolti dal personale.''

Gli incarichi esterni costano, e non si capisce perché se da una parte la burocrazia abruzzese come in media tutta quella italiana ha un numero di dipendenti pubblici di gran lunga superiore al reale fabbisogno, dall'altro si continua imperterriti e con poco chiare e trasparenti ragioni ad affidare a professionisti esterno importanti funzioni di competenza della pubblica amministrazione.

Non si capisce nel caso di Pescara come sia possibile che ci sia ''carenza di personale tecnico in organico'' non in grado di svolgere mansioni di progettazione, direzione lavori e coordinamento per la sicurezza. Se non ci sono tali professionalità in organico,  si chiede la saggia casalinga di Rocca Cannuccia, perché il Comune non li assume con regolare concorso, perché non non fa corsi di formazione interni?

Spostiamoci a Montesilvano per un altro caso esemplare. ''È il momento di allargare la giunta'', ha annunciato in pompa magna il sindaco Pasquale Cordoma, a seguito del cosiddetto ''patto dei ravioli'' sancito a conclusione di una lauta cena in un agriturismo con commensali i principali esponenti della sua riottosa maggioranza di centrodestra.

A conclusione della cena si è stabilito di aggiungere due posti, non a tavola, ma in giunta comunale. Il conto del tradizionale rimpasto e lievitazione  di giunta ovviamente lo pagheranno come sempre i cittadini.

Altro caso oltre che esemplare, anche clamoroso, ci viene infine dalla Provincia di Pescara.

La Corte d'Appello ha condannato l'ente a pagare la bellezza di 1,5 milioni di euro a Edoardo Barusso , un ex direttore generale assoldato nel 2000 dall'ex presidente di Provincia di centrosinistra Giuseppe De Dominicis, si vocifera perché tale super professionista, accusarono le opposizioni,  era un uomo di Massimo D'Alema.

Un incarico d'oro, da 150mila euro l'anno e una serie incredibile di benefit, che scatenò un putiferio anche nella maggioranza di centrosinistra, tanto che a pochi mesi dalla nomina, nel giugno del 2000 l'ex giunta revocò il contratto.

Ma l'ex manager fece ricorso in tribunale, per ottenere un risarcimento milionario, come suo diritto, in base al contratto sottoscritto.

Il neo presidente Guerino Testa ha confermato che la battaglia legale andrà avanti fino alla Cassazione.

Se la Provincia di Pescara dovesse però perdere la battaglia legale, i soldi dei contribuenti, evidentemente mal gestiti, andranno a risarcire il manager d'oro, e non potranno essere utilizzati per finanziare progetti e iniziative nei campi della cultura, del turismo, per la manutenzione delle strade, per mettere in sicurezza gli edifici scolastici.

 

Il caso Barusso in un comunicato stampa della presidenzxa della Provinca di Pescara

Con delibera n°189 del 27/04/2000 la giunta provinciale aveva espresso parere favorevole alla nomina a direttore generale della Provincia di Pescara del dottor Edoardo Barusso.

Con il decreto n°28 del 20/05/2000 l'allora presidente della Provincia, Giuseppe De Dominicis ha conferito l'incarico a Barusso come consentito dall'articolo 51 bis della legge 142/90, e l'amministrazione provinciale a firma del dirigente facente funzioni  Giampiero Leombroni, ha stipulato il contratto di lavoro individuale. Questo contratto prevedeva :

Durata pari a quella del mandato del presidente

Trattamento economico fisso pari a 300 milioni di vecchie lire all'anno.

Ulteriore compenso pari all'1 per cento della spesa complessiva per il personale che gli veniva riconosciuto per attività di formazione e aggiornamento del personale.

Il rimborso di tutte le spese di qualunque natura per la partecipazione a corsi oltre ai seguenti benefit:

appartamento arredato con tutte le utenze a carico della Provincia, telefono cellulare, pc, portatile a carico dellaProvincia e ogni altra risorsa che lui avrebbe ritenuta idonea allo svolgimento delle funzioni.   

Inoltre a Barusso competeva un compenso del 20 per cento di tutte le sponsorizzazioni che lui avrebbe promosso, un compenso per la presidenza del nucleo di valutazione, per la commissione concorsi qualora ne avesse fatto parte e un'ulteriore indennità in caso di copertura di posizione dirigenziale.

Qualora Barusso avesse tenuto corsi a favore di enti terzi, gli competeva il 75 per cento del costo dei corsi. In tutto ciò Barusso non avrebbe avuto vincoli di orari e presenze e sarebbe stato dispensato del servizio una settimana al mese. A conclusione del rapporto, gli competeva inoltre un trattamento pari a una mensilità per ciascun anno.

Il dottor Barusso avrebbe dovuto prendere servizio l'1/06/2000 ma a seguito di accese critiche politiche vertenti sull'entità dei compensi, la Provincia propose a Barusso una riduzione dei compensi e, successivamente,  di risolvere il contratto lasciando solo la formazione. Barusso rifiutò le proposte.Con delibera n°257 del 22/06/2000, la giunta provinciale revocò la delibera 189 sulla base di pareri espressi da due studi legali e dal segretario generale.

La revoca si basava sul fatto che da articoli pubblicati dal "Piccolo" di Trieste, "erano emerse circostanze rilevanti ai fini della valutazione di opportunità della nomina del dottor Barusso a direttore generale". Così con decreto n°35 del 22 giugno, il presidente disponeva di non dare esecuzione al contratto sottoscritto. A fronte della revoca Barusso formulò ricorso al tribunale di Pescara quale giudice del lavoro per contestare la legittimità dei provvedimenti e chiedere l'esecuzione del contratto.

La vertenza è stata definita con sentenza del 24 aprile 2009 e depositata il 2 luglio scorso. La sentenza ha condannato la Provincia a corrispondere 1 milione 345mila euro oltre interessi legali e rimborso spese di giudizio per 21 mila euro a Barusso.

Secondo la sentenza le contestazioni mosse a Barusso e poste a base della revoca, non appaiono fondate, perché definite presunte, irrisorie e non provate, a fronte, invece, di ampie e fondate valutazioni sulle sue capacità (che furono fatte all'epoca).

Sentiti i legali, per evitare di avviare il pagamento della somma prevista, la Provincia ha dato incarico al proprio legale Franco Sabatini, di proporre appello avverso questa sentenza. Nei prossimi giorni gli uffici competenti della Provincia invieranno tutti gli atti alla Corte dei Conti.

FT

 


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