L'isola che non c'è

22 Gennaio 2010   11:40  

Pensavamo di aver visto tutto. Credevamo che le lacrime e il dolore fossero esaurite dopo il tragico terremoto del 6 aprile, che ha tolto la vita a 308 cittadini della provincia dell'Aquila. O quello in Irpinia, nel novembre 1980, che di vite ne strappò quasi 3000.
Eravamo abituati a tragedie sismiche che solo nei casi peggiori registravano la violenta scomparsa di circa 60 mila persone, come in Kashmir, o nella provincia del Sichuan, in Cina.

Oggi facciamo i conti con un nuovo inferno. Un inferno che rischia di annichilire persino il ricordo dei tragici giorni dell'Oceano Indiano del 2004.

L'entità del disastro fatica ancora a tradursi in cifre, numeri e statistiche chiare. Ma la realtà provvisoria dipinge uno scenario inquietante: una capitale, con oltre 2,3 milioni di abitanti, è completamente rasa al suolo. Una città fantasma.
Altrettanto imponente è il numero degli sfollati, così come quello dei cittadini a rischio di malattie, infezioni, denutrizione e disidratazione in questi primi istanti post-sisma.
A circa 250 mila ammonta il numero dei feriti finora accertati. Gli ampi spazi di fronte all'unico ospedale di Port-au-Prince e agli ospedali da campo organizzati in fretta dalle protezioni civili di tutto il mondo e da associazioni radicate nel territorio come Medicins Sans Frontières sono affollati ancora oggi, dopo giorni dal sisma che ha devastato Haiti, da migliaia e migliaia di uomini, donne, anzini e bambini feriti, molti completamente privi di arti, altri con fratture multiple. Tutti ad aspettare per ore, spesso giorni, che una sala operatoria si renda rapidamente operativa.

E i soccorsi tardano, per forza di cose, a rendersi efficaci in breve tempo.

Il massacro cittadino ha aggiunto tragedia al dramma, il dramma di uno dei paesi più poveri del mondo, una realtà quasi "anomala" in questo occidente geografico "progredito", con il grosso della popolazione costretta a vivere con 2/3 dollari al giorno, nelle numerose bidonville dell'interland, con un tasso di alfabetizzazione inferiore al 50% e con una percentuale di disoccupati che rasenta i due terzi della popolazione.
Le immagini che la stampa internazionale ci descrive in queste ore dai luoghi dell'inferno haitiano vagano tra lo sconcertante ed il raccapricciante: uomini e donne distesi a riposare ai cigli delle strade, fianco a fianco con i cadaveri, distinguibili gli uni dagli altri solo grazie alle lenzuola che coprono i secondi, corpi senza vita usati a mo' di barricate per protesta per i mancati soccorsi, anziani morenti a causa della disidratazione.

I più fortunati, in questo drammatico sisma dai connotati quasi "democratici", i poverissimi delle baraccopoli dei quartieri periferici. E' ridotto ai minimi termini il numero dei decessi per quelle famiglie prive anche di un tetto da farsi crollare sulla testa.
Questo, però, in attesa delle prossime ore, in cui la fame, la sete e le malattie rischieranno di prendere il sopravvento sui traumi fisici.

Lo sciacallaggio nella tragedia ha già preso corpo, come sempre. Non solo per quanto riguarda i ladri d'appartamento o i ladruncoli beccati a svuotare le tasche dei cadaveri, che in queste ore vengono fatti oggetto di linciaggi, esecuzioni sommarie e roghi, spesso ad opera delle stesse forze dell'ordine locali.
Lo sciacallaggio dell'informazione. Quel genere di informazione che il 7 aprile, alle ore 20, si beava dei record di ascolti televisivi del giorno prima "grazie" al tragico sisma abruzzese. La stessa che oggi, poche ore dopo la catastroge, strumentalizza le tragedie allo scopo di pronosticare l'esportazione dell'"efficiente metodo Abruzzo" nelle zone terremotate di Haiti (lo stesso metodo Abruzzo che dopo oltre 9 mesi dal sisma lascia in autonoma sistemazione oltre 30 mila cittadini e ne colloca appena 12 mila nei moduli abitativi CASE e MAP). La stessa, targata Nicola Porro (il Giornale), che appena qualche ora dopo la tragedia, che oggi parla di possibili 200 mila vittime, riusciva a stuprare i sentimenti di vicinanza, cordoglio e dolore con un editoriale incentrato sulle colpe degli "anticapitalismi" per quanto accaduto.

Sono poche le note cariche di speranza di questi attimi. Una, forse anche l'unica, è la posizione espressa dal governo senegalese, che dichiara la ferma intenzione di aprire le frontiere del proprio paese e dell'intera Unione Africana alla popolazione haitiana terremotata, in una sorta di occasione di ricongiungimento e di rinascita, a partire dalle proprie origini.
Un paese privo di mezzi di sostentamento per la propria poverissima popolazione apre le porte a nome dell'intero continente africano a tutti i "fratelli haitiani". Dalle nostre parti, quelle parti che non sanno neanche cosa sia l'Unione Africana, i respingimenti in alto mare dei diseredati e la riduzione di ogni possibilità di ingresso regolare sono quasi un obbligo morale.
E non saranno certo una tragedia da diverse decine di migliaia di morti ed il confronto con paesi privi di forti strutture democratiche e progresso economico a cambiare la prospettiva.


Oroscopo del Giorno powered by oroscopoore