La Guerra del Latte è arrivata in Abruzzo, gli allevatori hanno manifestato a San Giovanni Teatino

Scompare la Scamorza abruzzese, perse in 10 anni 50% di Stalle

11 Novembre 2015   15:37  

Il prezzo del latte fresco moltiplica quattro volte nel passaggio dalla stalla allo scaffale ma agli allevatori non rimangono neanche quei pochi centesimi necessari per dare da mangiare agli animali.

Il rischio? La scomparsa delle stalle e del prodotto simbolo del settore caseario regionale: la scamorza.

E’ quanto denuncia la Coldiretti Abruzzo che questa mattina, per la guerra del latte “giusto” che sta dilagando in tutta Italia, con gli allevatori provenienti da tutte le province ha allestito un vero e proprio accampamento nello spazio antistante l’Ipercoop di San Giovanni Teatino, con tanto di mucche a rischio di estinzione, per fare conoscere da dove viene il latte e come si ottengono i formaggi senza polveri o semilavorati industriali ma anche le distorsioni economiche che strozzano gli allevatori e provocano l’abbandono delle stalle con effetti sul lavoro, sul territorio, sulla qualità dell’alimentazione e sul Made in Italy.

L’iniziativa di Coldiretti ha trovato il supporto e la solidarietà di molti Comuni soprattutto montani e della società civile, nonché di quello dell’assessore regionale alle politiche agricole Dino Pepe.

Dalle 9 alle 14, gli allevatori hanno invaso l’accampamento organizzando presidi di volantinaggio anche nei tre ingressi dell’ipermercato e, all’interno, punti informativi di Coldiretti.

Erano presenti tutti i vertici di Coldiretti: il presidente regionale Domenico Pasetti, il direttore regionale Alberto Bertinelli, i presidenti provinciali Sandro Polidoro (Chieti), Chiara Ciavolich (Pescara), Silvana Verdecchia (Teramo), oltre ai direttori Gabriel Battistelli (Chieti) e Massimiliano Volpone (Teramo e L’Aquila).

LA “GUERRA”.
Gli allevatori hanno presidiato con le bandiere gialle, cappellini e gazebo l’esterno del centro commerciale come in un vero accampamento, ma hanno anche distribuito volantini e brochure informative in ogni ingresso per ricordare l’importanza di “una guerra giusta per il latte giusto”, come è avvenuto anche in altre città d’Italia.

Gli allevatori abruzzesi sono arrivati da tutte le province, e hanno preparato una stalla all’aperto distribuendo latte fresco pastorizzato, panini al formaggio e proponendo piccole lezioni sull’importanza della filiera corta soprattutto alle scuole intervenute per l’occasione.

Sorpresa e curiosità hanno inoltre destato le due mucche messe a diposizione dall’allevatori dell’Associazione regionale Allevatori (Ara) che, battezzate simpaticamente dagli studenti in visita con i nomi di Carolina e Onestina, hanno trovato ricovero all’interno delle aree verdi antistanti all’ingresso principale del centro commerciale.

MESSAGGI.
Dai Comuni d’Abruzzo sono arrivati negli uffici di Coldiretti diversi messaggi di solidarietà e di sostegno all’iniziativa, e  moltissimi consumatori hanno fatto visita al presidio in cui, oltre alla distribuzione del materiale informativo, e sono state proposte delle prove di caseificazione con l’obiettivo di mostrare il prodotto del vero latte italiano, anzi abruzzese.

Al presidio ha fatto visita, tra gli altri, anche l’assessore regionale alle politiche agricole Dino Pepe, che ha evidenziato l’importanza dell’etichettatura “per tutelare il territorio e gli allevatori stessi perché permetterà di fermare il fenomeno delle importazioni che nuocciono e fanno morire le aziende e gli allevamenti della nostra regione”.

Pepe ha inoltre evidenziato le “battaglie vinte su blue tongue e prati-pascolo” e che “la nuova sfida sarà il nuovo Psr che favorirà la concentrazione dell’offerta” con l’obiettivo di rafforzare il potere contrattuale dei produttori ed in generale della zootecnica.

ETICHETTA.
Nel corso dell’iniziativa sono stati inoltre presentati i risultati del dossier nazionale “la guerra del latte” da cui, tra le altre cose, è emerso che tre cartoni di latte a lunga conservazione su quattro venduti in Italia sono stranieri mentre la metà delle mozzarelle sono fatte con latte o addirittura cagliate provenienti dall'estero, ma nessuno lo sa perché non è obbligatorio riportarlo in etichetta.

“Dalle frontiere italiane - sottolinea Alberto Bertinelli, direttore Coldiretti Abruzzo - passano ogni giorno 3,5 milioni di litri di latte sterile, ma anche concentrati, cagliate, semilavorati e polveri per essere imbustati o trasformati industrialmente e diventare magicamente mozzarelle, formaggi o latte italiani, all'insaputa dei consumatori.

Si tratta di prelavorati industriali che vengono soprattutto dall’Est Europa che consentono di produrre mozzarelle e formaggi di bassa qualità.

Un chilogrammo di cagliata usata per fare formaggio sostituisce circa dieci chili di latte e la presenza non viene indicata in etichetta.

Oltre ad ingannare i consumatori ciò fa concorrenza sleale nei confronti dei produttori che utilizzano esclusivamente latte fresco.

In Abruzzo la situazione non cambia – aggiunge Bertinelli – una quarantina di caseifici artigianali che si ostinano a lavorare latte abruzzese rischiano di scomparrire insieme ai 500 allevatori.

Una situazione ormai insostenibile che rischia di annientare il sistema”. Per Coldiretti l’assenza dell’indicazione chiara dell’origine del latte a lunga conservazione, ma anche di quello impiegato in yogurt, latticini e formaggi, non consente di conoscere un elemento di scelta determinante per le caratteristiche qualitative, ma impedisce anche ai consumatori di sostenere le realtà produttive nazionali e con esse il lavoro e l’economia del vero Made in Italy.

“In un momento difficile per l’economia dobbiamo portare sul mercato il valore aggiunto della trasparenza con l’obbligo di indicare in etichetta l’origine degli alimenti, ma anche con l’indicazione delle loro caratteristiche specifiche a partire dai sottoprodotti” –evidenzia Domenico Pasetti, presidente regionale - Non è un caso che l’89 % dei consumatori ritiene che la mancanza di etichettatura di origine possa essere ingannevole per i prodotti lattiero caseari”.

PREZZI.
Dal dossier su “La guerra del latte” emerge inoltre che gli allevatori italiani hanno perso in un anno oltre 550 milioni di euro perché il latte viene pagato al di sotto dei costi di produzione, con una riduzione dei compensi di oltre il 20 per cento rispetto allo scorso anno su valori inferiori a quelli di venti anni fa mentre al consumo i prezzi non calano.

Nel passaggio dalla stalla allo scaffale - sottolinea Pasetti - i prezzi moltiplicano fino a quattro volte per il latte fresco con i centesimi riconosciuti agli allevatori che si trasformano in euro pagati dai consumatori”.

L’industria, denuncia poi Coldiretti, ha deciso unilateralmente di tagliare i compensi per il latte alla stalla di oltre il 20 per cento rispetto allo scorso anno, proponendo accordi capestro che fanno riferimento all'indice medio nazionale della Germania, con una manovra speculativa ingiustificata e quindi inaccettabile.

Siamo di fronte, infatti, ad una palese violazione delle norme poiché il prezzo corrisposto agli allevatori è inferiore in media di almeno 5 centesimi rispetto ai costi di produzione, che variano dai 38 ai 41 centesimi al litro secondo l’analisi ufficiale effettuata dall’Ismea in attuazione della legge 91 del luglio 2015 che impone che il prezzo del latte alla stalla debba commisurarsi ai costi medi di produzione.

Il risultato è che nel 2015 hanno chiuso circa mille stalle, oltre il 60 per cento delle quali si trovava in montagna, con effetti irreversibili sull’occupazione, sull’economia, sull’ambiente e sulla qualità dei prodotti.

E quelle che sono sopravvissute, circa 35mila, non possono continuare a lavorare in perdita a lungo

ABRUZZO.
La situazione nazionale, come è stato evidenziato nella manifestazione non risparmia l’Abruzzo in cui il comparto del latte destinato alla lavorazione rappresenta circa 35milioni di euro per un totale di poco più 500 stalle (bovini) che producono una quantità di latte pari a 850mila quintali che generano un indotto di circa 34milioni di euro.

“Il settore lattiero caseario abruzzese, pur non essendo il principale dell’economia regionale, rappresenta una filiera di origini antichissime attualmente a ruischio – dice David Falcinelli, presidente di Aprozoo, associazione produttori zootecnici – le famose scamorze che il Boccaccio cita nelle sue Novelle o le rinomate produzioni di Rivisondoli destinate al mercato napoletano vengono sostituite ad insaputa del consumatore da cagliate e semilavorati provenienti dall’est Europa  che alcune idnustriue abruzzesi si preparano a spacciare come tali.

Ritengo che sia assolutamente immorale costringere l’allevatore abruzzese a produrre perdendo dai 5 agli 8 centesimi al litro di latte venduto.

Si moltiplicano i pignoramenti, i protesti e i fallimenti. Se penso che nel 1989, la sola provincia di Pescara contava 784 stalle ed oggi ne abbiamo poco pià di 500 in tutta la Regione, il disastro è più che evidente soprattutto se si pensa che abbiamo perso negli ultimi dieci anni il 50 per cento delle stalle”.

Una caratteristica distintiva e straordinaria della produzione lattiero-casearia abruzzese è inoltre la sicurezza alimentare e la qualità che esprimono le nostre stalle sono le più controllate al mondo (in media un controllo, diretto o in auto controllo, ogni due settimane) e offrono un latte dalle elevate caratteristiche nutrizionali.

Per quanto riguarda invece la qualità, è da sottolineare come oltre il 45% delle nostre produzioni serve a realizzare formaggi apprezzati in tutto il mondo grazie alle spiccate caratteristiche organolettiche legate al territorio.

“La chiusura di una stalla – conclude infine Pasetti – non significa solo perdita di lavoro e reddito ma anche un danno sociale in quanto la stragrande maggioranza degli allevamenti anche in Abruzzo si trova in zone montane e svolge un ruolo insostituibile di presidio del territorio.

Abbiamo un grandissimo patrimonio ambientale che trae la sua forza proprio anche dalle produzioni tipiche come il latte e attività come l’allevamento, un patrimonio che viene quotidianamente messo però a dura prova”.

 


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