La 'Ndrangheta discreta di Ferrazzo che fa affari in Abruzzo

Silenziol, pistole e cocaina

27 Maggio 2011   07:54  

Pochi mesi fa l'arresto a Montesilvano del boss della camorra Salvatore Puccinelli detto Totore Straccetta.

Oggi l'inchiesta dei carabinieri e della Direzione distrettuale antimafia dell’Aquila che a San Salvo ha portato alla scoperta di una raffineria di droga, gestita da Eugenio Ferrazzo, detto Roberto il calabrese, figlio del boss pentito della 'Ndrangheta Felice Ferrazzo.

In carcere anche l’imprenditore edile calabrese Rocco Perrello, 33 anni residente a Vasto, nel forno di casa pistole e proiettili 7,65 e 9 con matricole cancellate. Gli iniurenti cercano ora di sgominare la rete di affiliati e fiancheggiatori.

La 'Ndrangheta e la Camorra in Abruzzo non sparano. Amano agire nell'ombra, non creano intenzionalmente allarme sociale. Ma fanno affari con la droga, in particolare cocaina. E poi nel silenzio invadono con il denaro sporco l'economia, la società, corrompendo e comprando il silenzio.  Il fatto che non si parli di mafie in Abruzzo, è la condizione che consente alle mafie di consolidare la loro presenza. Come un virus che cova in un corpo che è convinto di essere sano.

Per capire con chi si ha a che fare ecco due articoli del settembre 2009 e dicembre 2010 tratti dal sito calabrese www.arealocale.it dedicata a Felice Ferrazzo, boss e padre dell'arrestato.


Condanna confermata a Felice Ferrazzo per omicidi Russo e Caselli

Dalla Corte d'assise d'appello di Catanzaro è arrivata la conferma della condanna inflitta al collaboratore di giustizia Felice Ferrazzo (Mesoraca, Crotone): nove anni e sei mesi di reclusione per gli omicidi Russo e Caselli.

Confermato l'impianto accusatorio,  la pena ha subito una lieve riduzione (di quattro mesi) rispetto alla condanna inflitta nel 2006 con il rito abbreviato dal gupdistrettuale di Catanzaro.

Il pentito di 'ndrangheta Felice Ferrazzo (cinquantaquattro anni, di Mesoraca), ritenuto fonte privilegiata della Dda, è stato condannato per gli omicidi di Francesco Caselli, assassinato a PetiliaPolicastro il 16 maggio 1990, e di Ernesto Russo, ucciso a Mesoraca il 22 settembre 1990.

Felice Ferrazzo si è accusato di questi due delitti, accusando anche altri personaggi.

L'assassinio di Francesco Caselli avvenne a Petilia mentre l'uomo era seduto su un muretto della centrale via Arringa. Due killer in moto, il guidatore munito di casco, si avvicinarono a Casalli ed esplosero sette colpi. Uno dei killer, secondo le rivelazioni di Felice Ferrazzo, era di Roccabernarda; uno dei mandanti sarebbe stato esponente di primo piano della 'ndrina di PetiliaPolicastro, indagato poi nella maxioperazione Restauro.

Felice Ferrazzo avrebbe avuto un ruolo di primo piano nella fuga dei sicari, i quali, prima del delitto, avrebbero stazionato in un appartamento di Mesoraca, da dove una persona avrebbe effettuato una sorta di sopralluogo a Petilia.

L'omicidio Caselli sarebbe avvenuto come scambio di favori tra consorterie affiliate.


Per quanto riguarda l'uccisione di Ernesto Russo, ritenuto all'epoca il boss di Mesoraca, Felice Ferrazzo sarebbe stato il mandante del delitto insieme a suo cugino Mario Donato Ferrazzo, i quali, dopo quell'omicidio, avrebbero assunto il comando della omonima 'ndrina.

Russo venne ucciso mentre era a bordo di un'Alfa 75 rossa rubata nell'agosto 1990 a Mirto Crosia da Antonio Cicciù,  divenuto poi anche lui collaboratore di giustizia.

L'auto aveva cercato una via di fuga, ma era finita contro un albero al bivio di Campizzi, dove Russo raggiunto dai killer venne ucciso con numerosi colpi di fucile calibro 12 e di pistola calibro 9.

Felice Ferrazzo divenne così capo dell'omonima cosca e il suo dominio è durato fino al settembre 1993, quando durante un summit tra gli affiliati, vi fu un conflitto a fuoco tra esponenti del clan e due poliziotti.

Secondo fonti attendibili Ferrazzo avrebbe continuato ad esercitare il suo controllo anche dal carcere, soprattutto per il pagamento di tangenti da parte di imprese boschive.

Nel 1996 avveniva una scissione nel clan Ferrazzo e la costituzione di due gruppi, facenti capo, uno a Mario Donato Ferrazzo e l'altro a Felice Ferrazzo.

Tra le due cosche si è scatenata una guerra con vittime, probabilmente Bruno Saporito ucciso nel gennaio del 2000, la scomparsa di tre giovani Aurelio Lombardo Somma, Francesco Zinna e Domenico Ruberto e, per ultimo, Giuseppe Manfreda, ucciso sulla Statale 109 tra Mesoraca e Campizzi mentre era a bordo del suo fuoristrada.

Gli investigatori ritengono che Mario Donato Ferrazzo avesse fatto un salto di qualità, rispetto a Felice Ferrazzo, in quanto sarebbero stati realizzati accordi con clan del Crotonese e della Lombardia, in particolare della provincia di Varese e della zona di Ponte Tresa, punto strategico per la vicinanza alla Svizzera.

Nell'estate 2000, Felice Ferrazzo, messo ormai da parte dai vecchi compagni, fu vittima di un tentato omicidio. Lo salvò la sua auto, una Alfa blindata, che lo riparò dai colpi dei sicari che lo avevano atteso lungo la strada che lo riportava a casa insieme al figlio Eugenio, in località Campizzi.

Arrestato nell'ottobre 2000 per reati in materia di armi, decise di collaborare con la giustizia e per il ruolo di primo piano che ha avuto per diversi anni è ritenuto una fonte privilegiata, avendo diretto un sodalizio criminoso che tra gli anni Ottanta e Novanta in contrapposizione con la cosca che operava nella Valle del Neto.

 

L'onore del sangue Felice Ferrazzo si confessa in TV

Una lunga intervista a Felice Ferrazzo, ex capo della cosca di Mesoraca (Crotone), fa parte del documentario "L'onore del sangue", che è andato in onda giovedì sera nel settimanale di approfondimento "Falò" della Radiotelevisione della Svizzera Italiana.

Una storia, la sua storia,  raccontata in cinquantacinque minuti. "Io ero il capo di un gruppo di dieci persone, dice Ferrazzo. Magari dicevo, non so, dobbiamo andare là a fare una rapina e loro dicevano: va bene, andiamo. Prendevamo la decisione che quello doveva morire ed era morto. Si spara, si combatte. Quello è il tuo nemico e tu lo devi fare fuori. Se non combatti, muori".

Così  parla Felice Ferrazzo, 55 anni, per quasi dieci anni, dal 1990 al 2000, "padrone" assoluto in una zona dove si è combattuta una delle guerre di mafia più sanguinose.

Ma è tra il Ticino e il Varesotto che si è fatto conoscere insieme ad altri, grazie ad una spola ininterrotta, dai primi anni '90 almeno fino al 2003, di armi che arrivavano dalla Svizzera e andavano in Calabria contro droga, cocaina, che dalla Calabria, come lui stesso racconta, arrivava a Ponte Tresa, dove in parte veniva spacciata, mentre la restante quota parte andava in Svizzera.

Sotto il suo comando la famiglia Ferrazzo entrò nei traffici della cocaina, delle armi e del riciclaggio, grazie ai rapporti che il boss seppe imbastire con il Nord Italia e la Svizzera.

E' la prima volta che un boss della 'ndrangheta del livello gerarchico di Ferrazzo accetta di parlare di sé in una lunga intervista. L'ex capo della 'ndrina di Mesoraca racconta a tutto campo, dalla sua infanzia alla famiglia, dall'emigrazione in Svizzera, nel Canton Ticino, al ritorno in paese con l'affiliazione, l?ascesa fino alla sua nomina alla testa della cosca.

Nel racconto, semplice e crudo, emerge una realtà culturale e sociale in cui la violenza e il potere mafioso diventa la banalità del male e della violenza, ai quali quale nessuno sfugge né in Italia né in Svizzera.

Il documentario parallelamente racconta anche il lato opposto della quotidianità mafiosa, quello vissuto dagli amministratori calabresi che si oppongono al potere della 'ndrangheta, riconquistando alla legalità beni di proprietà delle cosche. Oppure chi si oppone alla stessa "cultura della violenza" come l'associazione antimafia Libera di don Ciotti e le cooperative agricole di Libera Terra, che tentano di strappare le nuove generazioni ad un destino criminale per costruire un solido futuro di speranza.

"L'onore del sangue" intreccia questi racconti, per offrirli come due inscindibili volti di un'unica drammatica realtà.


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