È ormai chiaro anche agli occhi dei più scettici quali siano le intenzioni dei nuovi proprietari della Sixty, la chiusura dello stabilimento teatino e la gestione estera dei marchi.
Da più fonti “non sospette” giungono chiarimenti su cosa ci possa essere dietro l'operazione di vendita a cui tutti, lavoratori, sindacati e istituzioni, hanno assistito impotenti: il tentativo, ormai quasi completamente riuscito, di non pagare il debito accumulato di quasi 300 milioni di euro e scaricarlo sulla pelle dei 414 lavoratori.
Il quadro d'nsieme è illuminante: prima la cassa integrazione ordinaria e straordinaria, poi il piano industriale arrivato in ritardo e incoerente sui numeri; la vendita alla Crescent subito dopo l'accordo con i sindacati e l'assenza agli incontri del nuovo proprietario; infine la richiesta tardiva del concordato preventivo al tribunale come preambolo di rilancio o fallimento.
Ora la palla è passata in mano alla burocrazia giudiziaria con i vari tempi tecnici per depositare i documenti relativi alla nuova fase e un ulteriore tempo per la proprietà per presentare il cosiddetto piano di gestione del concordato.
Questa scansione di eventi negativi è costituita da una serie di strumenti legali, mascherati da leggi per la tutela dei lavoratori, che il nostro stato fornisce ai proprietari delle aziende per consentire loro di utilizzare al meglio la forza lavoro.
E' quindi inutile "criminalizzare" la proprietà se non si fa lo stesso per lo stato e le istituzioni che lo rappresentano. Lo dimostra il fatto che le mobilitazioni finora portate avanti dal gruppo più all'avanguardia dei lavoratori Sixty, anche quelle sul filo della legalità e con la benedizione del politico locale di turno, non abbiano influenzato minimamente il lento e ragionato piano aziendale di dismissione dello stabilimento.
I rappresentati locali del PCL (Partito Comunista dei Lavoratori) portano avanti la propria proposta di occupazione ad oltranza, fin da quando l'idea del fallimento era un'ipotesi da “visionari paranoici”.
Certo, non un'occupazione simbolica, ma un vero atto rivoluzionario che, contro le leggi vigenti, ribalti il concetto di proprietà e sfruttamento, assegnando legittimemente ai lavoratori della Sixty lo stabilimento e la possibilità di autogestire le produzione moda con un proprio marchio.
Proponiamo di conseguenza a tutti i lavoratori Sixty che hanno a cuore il proprio lavoro di prendere coscienza della loro centralità e di organizzarsi in un comitato di occupazione e gestione autonomo.
Comitato che stabilisca un piano di trattativa con le istituzioni per il finanziamento, attraverso i fondi destinati al pagamento della cassa integrazione, del rilancio aziendale.
La Sixty dei lavoratori è l'unico futuro del gruppo teatino e potrà essere il centro della moda abruzzese: in grado di riorganizzare un marchio “Sixty dei lavoratori”, in grado di riconvertire parte dell'azienda in sito produttivo, in grado di portare avanti una scuola di moda con corsi pubblici finanziati dalla regione, in grado di far ripartire l'immenso indotto locale fatto di piccole aziende oggi fallite o in rovina finanziaria.
Ma tutto questo solo se portato avanti dai lavoratori. Questa è la proposta del PCL e, siamo sicuri, l'unica che abbia un futuro.