La città vista dal cielo

14 Luglio 2009   11:12  

La morte di un’opera d’arte è forse quella di non essere più oggetto di contemplazione. Questo è toccato in sorte, dopo il sisma del sei aprile, alle sacre spoglie di Celestino v, evacuate dalla sua Collemaggio, alla Bolla del perdono portata via dalla torre civica di piazza Palazzo, alle Bestie da soma di Teofilo Patini, estratte con ancor viva bellezza dalle imbarazzanti macerie della Prefettura, agli immaginifici affreschi bizantini di Santa Maria ad Cryptas di Fossa, all’opalescente mausoleo di san Bernardino da Siena, il frate predicatore che lanciava strali contro la ricchezza che strangola la società anziché farla crescere. Dal forte spagnolo sono state sfollate le visioni policrome dei Cascella, dei Brindisi e dei Guttuso, lignei zampognari, aurei reliquiari, broccati in raso di seta, oboli di Alba Fucens, follari bizantini, santi, madonne con bambino, adorazioni di magi e pastori, e altri capolavori di arte sacra e profana. Attende il loro ritorno, nel deserto maniero, il buon vecchio mammut, al millennio Archidiskodon Meridionalis Vestinus.

Nel suo camper con vista tendopoli, l’artista Sergio Nannicola, docente all’ Accademia delle belle arti e che da vent’anni si occupa di problemi legati al restauro, ci mostra al computer una foto scattata in una sala diruta di palazzo Branconio. ‘’Qui c’è da mettere in sicurezza la struttura muraria sensibilmente compromessa su cui si trovano splendidi affreschi della ‘’scuola di Raffaello’’. Che tecnica si dovrà adottare? “.

Compare poi sul monitor la cupola del Valadier della Chiesa delle Anime Sante, uno dei simboli dell’apocalisse.” ‘Per il momento quel poco di volta decorata con stucchi dorati risparmiata dal sisma è rimasta sospesa nel vuoto ed è stata ingabbiata, ma tutto il resto si è sbriciolato... ‘’.

Dilemmi da moltiplicare per cento. Secondo un primo censimento dei danni agli edifici aquilani di interesse culturale, risultano essere inagibili circa 400 chiese, 350 palazzi storici, un ventina tra torri, fontane e porte. La ricostruzione dell’Aquila e degli splendidi borghi medioevali del cratere sarà una grande opera al cui confronto è poca cosa il ponte sullo stretto di Messina. Ci vorranno anni e miliardi di euro, ma non basta. ‘’Occorre – spiega infatti Sergio – ricostruire il complesso del tessuto urbano, la trama della città di cui quei monumenti e noi stessi siamo parte.’’

Sergio evoca la lezione di Cesare Brandi, il padre della Carta del restauro, secondo cui l’opera d’arte va considerata un assoluto, qualcosa di insostituibile e irripetibile, al pari della persona umana, che deve dimorare nello spazio e nella luce in cui è stata concepita.

Altra opera d’arte che Sergio ci mostra è un’immagine satellitare del centro storico dell’Aquila scaricata da Google heart. Vista dal cielo la pianta della città ricorda un prezioso merletto di vicoli, piazze, tetti e giardini, gli imponenti bastioni del forte spagnolo ricordano i petali di un fiore. Il matematico e architetto Pico Fonticulano, nel 1575, intravide nella pianta della città sottili simmetrie, arcani ideogrammi, le linee che il destino ha tracciato sul palmo di una mano.

Nelle piante disegnate poi nel corso dei secoli colpisce un dettaglio: l’equilibrio tra il pieno e il vuoto. In seguito infatti ai tanti terremoti che funestarono l’Aquila, parte degli edifici non furono ricostruiti, e lasciarono il posto a rigogliosi orti, vocianti cortili, profumati giardini. Le vanitose archi-star malate di orror vacui per fortuna ancora non imperversavano.

Vuota è sempre rimasta anche l’area di Campo di Fossa, perché gli antichi, memori della lezione della terra, compresero che non era saggio ricostruire sopra le grotte e i detriti ammonticchiati di precedenti terremoti. Campo di Fossa fu cementificata solo nel tardo novecento, secolo breve e senza memoria, e dentro quelle palazzine sprofondate nel sottosuolo nella notte del sei aprile, ci sono morte tante persone.

Ultima foto che Sergio ci mostra ritrae una splendida chiesetta del ‘200, che si incontra passeggiando per una pineta del cratere. E’ crollata la navata e dalle macerie, a due mesi dal sisma, spunta la testa della statua lignea di san Lorenzo, scolpita in un unico tronco di faggio dall’artista Francesco Sfarra, venuto a mancare due anni fa.

La morte di un’opera d’arte non è nulla di fronte alla morte di una persona, ma gli aquilani non saranno più in esilio solo quando torneranno a vivere nella loro città insieme a tutto il patrimonio artistico, nello stesso spazio e sotto la stessa luce, sopra una terra che bisogna però imparare a conoscere e ad abitare.

Filippo Tronca

Già pubblicato sull'Agenda dei Comuni

 


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