La fede che non crolla

28 Agosto 2009   10:22  

I credenti all'indomani del sisma si chiedono: perchè Dio quella notte ci ha abbandonati? Dio è somma bontà, come dimostrarono con l'evidenza del cuore i padri della chiesa? Oppure Dio c'è ma ci odia, come sostiene più laicamente il cantante Roberto Freack Antoni?

Nel giorno della perdonanza celestiniana, un articolo sulla visita del papa  a L'Aquila.

 

Qualcuno bussa alla porta santa, spezzando il silenzio triste nella basilica di Collemaggio, che dal sei aprile ha come volta il cielo e come affreschi nuvole e rondini di passaggio. E' Papa Benedetto XVI, che entra, si inginocchia e prega. Il suo volto è stanco. Depone il sacro pallio sull’urna di san Celestino V, il papa del perdono e del gran rifiuto, che si spogliò dell’anello, della mitra e del manto di porpora per tornare ad indossare il rozzo saio dell’eremita Pietro da Morrone.

Sono questi i fotogrammi che passeranno alla storia, la Grande Storia, della visita di Papa Ratzinger a L'Aquila, lungo la via crucis dei luoghi devastati dal terremoto, perché mai prima d'ora un pontefice romano aveva reso omaggio in modo così solenne a Celestino V.

Tutt’intorno la pioggia che bagna le macerie, i viali e vicoli deserti della città, scandisce le ore nelle tendopoli, e lo scorrere della storia con la s minuscola, quella delle persone semplici che hanno perso i loro cari di non illustre cognome, che hanno visto sbriciolare in pochi secondi i piccoli frutti dei sacrifici di una vita, come è ignorata routine nei tanti sud del mondo, devastati da guerre, tiranni e miseria.

Il Papa non è sceso dal cielo in elicottero, è arrivato in auto da Roma, e non c'era una folla numerosa di fedeli ad attenderlo. Nella sua visita breve e quasi sommessa ha sostato davanti ai ruderi della casa dello studente, dove sono morti otto ragazzi vittime non solo del ruggito del sottosuolo ma anche della superificialità degli umani. “Bisogna ricostruire case solide: lo dobbiamo anche ai nostri fratelli che sono morti – ammonirà poi il Papa sul palco della caserma della Guardia di Finanza - occorre fare un serio esame di coscienza, affinché il livello delle responsabilità, in ogni momento, non venga meno”. E nessuno tra i presenti ha letto le sue parole come un attentato alla laicità dello Stato. E' passato per Onna, il sommo Pontefice, epicentro del dolore, con i suoi quarantuno morti. ”Il colore delle macerie ha i toni del grigio e del marrone", comincia così il toccante resoconto della visita a firma di Giustino Parisse, il collega giornalista che ad Onna ha perso i figli Domenico e Maria Paola, il padre Domenico, e che in particolare annota: ”Se il Papa è qui con me, adesso, è il segno che in questa immensa tragedia non siamo stati abbandonati”.

L’abbandono, è questa la paura di tutti i terremotati: l’essere lasciati soli e senza mezzi, una volta che altre disgrazie conquisteranno il gradimento dei telespettatori. Ma c’è anche un senso di abbandono più profondo, metafisico, che attanaglia il cuore dei credenti, e che l'intelletto sublima in questa domanda forse senza risposta: Perchè Dio quella notte ci ha lasciati soli?”

Una domanda senza risposta che ha già segnato la storia della città dell’Aquila, mettendo a dura prova i pilastri della fede. Nel febbbraio del 1703, giorno della festività della Purificazione di Maria, e del rito della Candelora, una tremenda scossa distrusse la città. Seicento delle tremila vittime perirono sotto le macerie della Chiesa di San Domenico, dove si concedeva una comunione generale. Si legge poi nelle pagine delle Croniche di Buccio di Ranallo, anno 1349: "De persone octocento d’Aquila che per lu taramuto fò morte e socterate, or ch’io vedeo strillare, e fare pietate, chi piangea lu filio, chi mollie, chi lu frate, chi piangea la matre, chi padre, chi sorella, chi se graffiava in petto, chi la mascella; e gìano scomeranno ogni via e rugitella, per retrovar le corpora, con amara favella.” Ebbene, conclude Buccio, quella tremenda piaga fu mandata da Dio per punire gli aquilani, rei di aver messo tempo prima a ferro e fuoco Antrodoco e Cittaducale. Una spiegazione che non convince per nulla il filosofo Voltaire che davanti alle macerie di Lisbona scrive quanto segue: “Fu questo il prezzo che Dio fece pagar pei lor peccati? Quali peccati? Qual colpa han commesso questi infanti schiacciati e insanguinati sul materno seno?"

Tre secoli dopo il papa Benedetto XVI rompe il silenzio del piazzale della guardia di finanza e si chiede: “Che cosa vuole dirci il Signore attraverso questo triste evento?”. E prosegue: "Abbiamo celebrato la morte e la risurrezione di Cristo portando nella mente e nel cuore il vostro dolore, pregando perché non venisse meno nelle persone colpite la fiducia in Dio e la speranza”.

La speranza e la resurrezione. Non sono forse risposte al perchè del male nel mondo, neanche il fine teologo Benedetto può tanto. Ma sono parole che danno forza, anche chi non crede nel suo Dio.

"Quando il chicco di grano cade in terra e muore, produce molti frutti", dicono gli anziani di queste valli. I germogli sono forse la dignità composta con cui si è vissuto un lancinante dolore in mondovisione, la delicatezza dei gesti e delle parole, il cuore enorme di chi ha scavato a mani nude tra le macerie, la riconoscenza per chi da tutto il mondo sta aiutando gli sfollati. Le sincere lacrime degli aquilani davanti le bare dei fratelli emigranti e di altre religioni. Un seme che germoglia è anche la devozione commuovente per la madonna di Roio che il Papa ha adornato con una rosa d’oro, venerata semplicemente perchè, tanto tempo, fa ha fatto ritrovare ad un pastore il suo gregge smarrito.

 

Filippo Tronca

 


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