Alla ricerca di una qualche responsabilità dei numerosi, troppi crolli verificatisi col terremoto del sei aprile scorso, cerchiamo di ricostruire la filiera dell’edilizia che, come hanno suggerito in diverse dichiarazioni rilasciate in questi giorni i costruttori, si compone, sostanzialmente di tre fasi: progettazione, realizzazione e controlli.
Ora si iniziano a pretendere certificazioni e notorietà delle imprese edili, per la ricostruzione. Ma è avvilente, e crediamo quantomeno significativo del modo di edificare in città, vedere edifici la cui realizzazione è stata ultimata da qualche settimana con ancora gli striscioni che ne reclamano la vendita, completamente sventrati con intere pareti venute giù, nelle migliori delle ipotesi, da abbattere perché non conviene neanche più rimetterci mano nei casi peggiori.
Il mondo dei costruttori si difende: colpa dei controlli, dicono. Troppo poco incisivi e rari.
Chi costruisce non è il progettista, che se progetta male dovrebbe vedersi respingere la propria proposta dagli organi competenti, come il Comune; chi deve controllare, sappiamo che in Italia spesso non fa il suo lavoro, magari con la complicità di norme assolutamente inefficaci; chi costruisce, dovrebbe farlo a regola d’arte, seguendo le regole del buon senso, della sicurezza, della funzionalità, anche se nella consapevolezza che poi nessuno controlla e anche se ciò significa andare oltre le norme, nel caso queste fossero inadeguate.
“Bisogna tenere conto della storia delle imprese impegnate da anni sul settore” dice Paolo Buzzetti, presidente nazionale dell’Ance. Forse inconscio del fatto che una grossa fetta dell’Aquila, non tutta grazie a Dio, l’hanno tirata su proprio imprese edili “note e certificate”, requisiti che ora lui chiede alle imprese per la ricostruzione. E forse nella incosapevolezza che tutti quei giganti dai piedi d’argilla sono venuti giù come nessuna palazzina realizzata dai privati in proprio, sono stati realizzati proprio dalle imprese che Buzzetti definisce “note” e “con una storia alle spalle”.
Ma ieri c’è stato anche un atto di accusa, probabilmente anche in questo caso inconsapevole, nei confronti dei colleghi aquilani, da parte di Buzzetti in visita a L’Aquila: per il presidente dell’Ance ”le norme di edilizia antisismica che risalgono al 1974 e al 1996 sono più che sufficienti, un edificio costruito sulla base delle regole antisismiche del 1974 non va giù”. Siamo nel 2009, le norme di cui parla Buzzetti risalgono fra i 35 e i 13 anni fa, vedete gli edifici che hanno subito danni più o meno gravi per capire l’epoca di realizzazione e fate due più due.Ed anche lui, come il suo omologo locale Cicchetti, torna a battere sul dolente dente delle norme non applicate, d’altra parte si sa, in Italia se non reprimi a sufficienza, nessuno rispetta nulla. Gli edili, da questo punto di vista, sono evidentemente l’emblema dell’italianità marcia.
Si fanno avanti intanto diverse ipotesi sulla metodologia da seguire per la ricostruzione. Gli aquilani sono preoccupati di restare in alloggi provvisori per i prossimi vent’anni come tutte le popolazioni che hanno subito il disastro di un sisma in Italia. Mentre quindi politici e “tecnici” si dividono fra new town e ricostruzione del preesistente, se davvero si vuol dare una risposta concreta a tutti quanti sono rimasti senza una casa, e per lasciare alla porta mafie, buisness e speculazioni varie, si assegni ad ogni famiglia il necessario affinchè possa pensare da sola a tirar su una nuova abitazione, che magari – esperienza ce lo ha dimostrato – sarebbero anche più sicure dei palazzi fatti in serie da palazzinari pronti a raddoppiare i propri profitti.
Marco Signori