Le nostre prigioni

13 Gennaio 2010   10:06  

In quelle ore, il paese intero era ancora immerso nello spirito di festa dei giorni precedenti. I più sfortunati, i lavoratori appartenenti alle categorie "strategiche" del paese, erano invece alle prese con l'impiego di sempre che non conosce tregue di lungo periodo. I cittadini dell'Aquila festeggiavano il capodanno più inconsueto, ma al tempo stesso più ricco di significato, della loro vita.
In quegli stessi istanti, il 2 gennaio 2010, l'Italia faceva i conti con il primo caso di suicidio in carcere dell'anno. Pierpaolo Ciullo, 39 anni, detenuto nel carcere di Altamura (BA) per reati legati alla droga, si toglieva la vita asfissiandosi con il gas di un fornello da campeggio fornito in dotazione a tutti i reclusi.

Quattro giorni più tardi, nel carcere "Buoncammino" di Cagliari, Celeste Frau di 62 anni, condannato per rapina, si toglieva la vita impiccandosi con le proprie lenzuola.
Appena 24 ore dopo, le morti del ventottenne Antonio Tammaro nel carcere di Sulmona (il noto "carcere dei suicidi", dieci in quindici anni) e di Giacomo Attolini, 48 anni, in quello di Verona.
4 morti per apparente suicidio - ed un tentativo sventato grazie alla prontezza della Polizia Penitenziaria sempre nel carcere di Sulmona lo stesso giorno del suicidio di Tammaro - in meno di 8 giorni.

Un dato che segna un raccapricciante primato per il sistema carcerario nazionale, in grado, ogni anno che passa, di surclassare ogni lugubre record del passato.

Le cifre hanno un triste difetto incorreggibile: sono prive di sentimento e di pathos. Ma hanno un grande pregio, quello di poter raccontare la realtà dei fatti in maniera incontestabile.
E sono tante quelle che seguiranno.

65 mila, tanto per cominciare. E' il numero complessivo dei reclusi nelle carceri italiane al 30 settembre 2009. 65 mila persone, colpevoli e innocenti, imputate per i più svariati reati, racchiuse in spazi che dovrebbero contenerne in casi di massimo affollamento non più di 43 mila.

La legge europea impone ai sistemi carcerari continentali la garanzia per ogni detenuto di godere almeno di 7 metri quadrati di spazio. Lo spazio medio concesso ai prigionieri italiani non supera i 3.

Una situazione di totale abbandono, disinteresse e violazione dei più elementari diritti umani è quella a cui sono sottoposti al giorno d'oggi, in questo paese e questa epoca così ricchi di "civiltà", non solo i detenuti sottoposti alla misura detentiva, ma migliaia di agenti di polizia penitenziaria, assistenti sociali, volontari e così via.

Ad aggiungere ulteriore gravità ad una realtà già di per sé insopportabile è la posizione giuridica dei carcerati: 31 mila su 65 è la porzione della popolazione carceraria sottoposta al regime di privazione di libertà in attesa di giudizio. Solo la metà dei detenuti sta scontando nella propria cella l'esecuzione di una sentenza definitiva.

Prima dell'indulto, nel 2006, in Italia c'erano 60 mila detenuti e circa 50 mila condannati a misure alternative alla detenzione in carcere. Oggi i detenuti rasentano le 70 mila unità e quelli sottoposti a misure alternative sono appena 12 mila.

175 i detenuti che hanno trovato la morte nelle carceri italiani lo scorso anno. 72 quelli deceduti per suicidio (o presunto tale): una quota fino ad allora mai raggiunta da questo paese.
Nel 2001 questo paese aveva raggiunto il macabro record di 69 "suicidi carcerari" in un anno. Il 22 dicembre 2009, prima ancora che lenticchie e spumanti avessero segnato l'inizio del 2010, l'Italia si apprestava a modificare la datazione del nuovo raggelante record storico nazionale.

Il dramma delle carceri italiane sembra soltanto sfiorare le autorità politiche nazionali. E molto sporadicamente. E in ciascun caso le soluzioni proposte (relegate per di più quasi sempre nell'ambito delle vane promesse) risultano essere sempre le stesse, superficiali quanto ciniche: indulti e costruzione di nuovi istituti di detenzione.
Sistemi illuminanti partoriti oltre 20 anni fa come la Legge Gozzini, che introduce il criterio di recupero del condannato tramite il lavoro, o l'incremento delle pene accessorie (interdizione dai pubblici uffici, divieto di partecipare alle gare d'appalto e divieto di possesso di attività imprenditoriali, confisca di tutti i beni) per i reati finanziari e contro la pubblica amministrazione al posto della inutile (in moltissimi casi) pena detentiva difficilmente attraversano i pensieri di chi viene deputato dal popolo a dirigere questa nazione.

Un terzo dei detenuti condannati in via definitiva deve scontare una pena inferiore ai tre anni. E sovrappopola le carceri del paese anziché essere affidato ai lavori socialmente utili o agli arresti domiciliari.
Il tintinnio delle manette e le sbarre di metallo rappresentano suoni ed immagini ancora troppo sensuali per molti italiani per poter pensare di ridurli al minimo indispensabile.

In più di un anno e mezzo di legislatura una sola proposta parlamentare è stata depositata presso la Camera dei Deputati per richiedere l'istituzione di una Commissione d'inchiesta sul sistema carcerario. E vede la firma isolata di Augusto Di Stanislao, abruzzese, dell'Italia dei Valori.
Il documento ufficiale di richiesta reca la data 24 novembre 2009.
19 mesi di attesa per la prima reale proposta d'inchiesta sul "sistema carcere". E da parte di un noto esponente di un partito spesso tacciato di "giustizialismo".


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