Le radici stanno sottoterra

di Luca Massaro

14 Aprile 2010   13:39  

Molto si parla nel cratere sismico di terra e radici, di identità culturale da preservare/ricostruire, di genius loci di una città che a seguito del tragico evento del sisma del sei aprile ha conosciuto una notorità planetara e ha ricevuto solidarietà ed aiuto da persone di ogni parte del mondo.
Può essere a tal proposito utile la lettura di questo articolo di Luca Massaro pubblicato su www.giornalettismo. com

«Dicono che gli Stati-nazione sono vasi vuoti, illusioni che appartengono al passato. Sia come sia, il mondo di oggi è diviso in quasi 200 stati sovrani, molti di più che 150 anni fa. Ciascuno di tali Stati, per quanto piccolo, mantiene tutto l'armamentario della sovranità che fu eretto nell'800 e ‘900: passaporti, confini, eserciti, uniformi, polizia, valuta, inni nazionali, giornate nazionali, e banche centrali. Ci sono delle eccezioni e alcune sono importanti: un certo numero di Stati europei hanno in comune la loro moneta, sotto l'egida di una sola banca centrale e hanno abolito i controlli alle frontiere con l'accordo di Schengen, tuttavia tutti gli Stati sovrani celebrano una "cultura nazionale", hanno canali televisivi nazionali, che danno priorità a notizie nazionali, e nelle loro scuole si insegna ai bambini a essere orgogliosi del proprio paese, anche se tutti sono d'accordo nel ritenere che non vi è merito personale nell'essere nati in un posto particolare». Donald Sassoon, "La giovinezza delle nazioni", Domenica del Sole 24 Ore, 11 aprile 2010

Duecento Stati nazione per un pianeta relativamente piccolo come la Terra: la Lega è diffusa a livello planetario, altro che realtà locale. Colpi di stato (Kirghizistan), guerre civili (Thailandia, Afghanistan), esplosioni demografiche (India, Cina, Bangladesh), catastrofi ambientali, sfruttamento forsennato delle risorse disponibili. Trattati che infondono insieme speranza e perplessità (vedi il recente trattato sugli armamenti nucleari tra Usa e Russia, senz'altro stimolato dalla nostra indecente faccia di bronzo nazionale). Nel pianeta si assiste insomma a un frenetico mutar di nazioni. Quanto ancora il mondo potrà sopportare le nostre divisioni? Quando si incarnerà negli esseri umani, a partire dalle classi dirigenti, l'idea di appartenenza ad un'unica razza avente gli stessi diritti, gli stessi doveri, le stesse attese, gli stessi bisogni (pur nella differenza dei luoghi, dei climi, degli ambienti?).

UNITI - Come sperare (se sperare) che ciò avvenga? L'idea di unitarietà. Se la razza umana continuerà ancora con questa idea di nazione, di divisione, questo pianeta avrà vita grama (ovvero, non tanto il pianeta in sé quanto le condizioni che permettono la nostra sopravvivenza qui). Possibile che nessuno avverta la necessità di uno colpo d'ala, di uno scarto finta palla gol alla Messi, di un credito indispensabile alla fantasia, all'immaginazione di un mondo in cui si cerca primariamente di soddisfare, in modo decente, i bisogni primari di tutti e poi, da lì partire con questo senso bello di viaggiare insieme nel periplo solare, e via discorrendo nelle varie galassie dell'universo? Il nostro posto si chiama Terra e ogni sua suddivisione è un fittizio simbolismo, caduco come foglie autunnali.

Aggrapparsi ad esse significa fondare la propria esistenza su ciò che necessariamente cambia e si rinnova nel corso delle stagioni, del tempo. Sì, lo so, ognuno di noi, nel proprio rispettivo pezzo di mondo, ha la sua storia, le sue tradizioni, la sua lingua. Ma queste cose diventano barriere, dighe invalicabili all'incontro, alla fiducia, alla speranza. Diventano chiusura definitiva nel proprio gretto qualunquismo di borgata (stavo per dire ghetto), nel proprio tifo insulso come quello di chi si fa coprire la bara da una bandiera, qualsiasi essa sia. La bandiera è uno schiaffo all'uomo e anche il simbolo per eccellenza dell'umano, il crocifisso, quando diventa stolido simbolismo da difendere con le unghiacce sporche della tradizione, diventa bandiera e spada, spilla da appiccicare al petto di chi non sa riconoscere la propria finitudine.

ALIBI - Ogni nazionalismo è un allontanare la propria attenzione dal concetto scandalo della morte, della finitezza, della precarietà. Essere nazionalisti significa votarsi alla divisione, all'allontanamento, al disconoscimento, alla separatezza, al confine alto levato per respingere il proprio fratello e, se casomai volesse venire a trovarci, avere l'alibi per ucciderlo. Il mondo è di tutti e non è di nessuno. Questo vuoto concetto di proprietà, di filo spinato è quanto più ci lega ancora al mondo animale, noi, che abbiamo la presunzione massima di sentircene separati.

Noi siamo bestie inconsapevoli di pisciare ai propri angoli di strada per dire no, tu di qui non passi, questa è casa mia e qui comando io. La vittoria delle varie Lega del mondo (non ultimo il successo del partito xenofobo in Ungheria) dicono questo. Stringiamoci intorno al fuoco, al nostro proprio Santo Graal per ricreare il miracolo dell'unione. Fatica sprecata. Il fiato sul collo dell'Apocalisse (intesa come Rivelazione di queste verità umane, troppo umane) non ci consentirà di tornare indietro se non al prezzo di sangue e di lacrime. Radicamento è una parola adatta per le piante e le povere anime vegetative e, concedo, sensitive. Per chi invece, senza nessuna presunzione, ma solo con un po' di buon senso aristotelico, rivendica il diritto di avere in sé anche l'anima intellettiva, allora le parole radici e territorio gli ricordano soltanto la mancanza di pensiero, di idealità, di ricerca di un altrove possibile. Chi si radica nelle proprie idiosincrasie prepara l'humus per la propria tomba: lombrichi e vari scarafaggi che aspettano calmi il nostro arrivo.

Ma è l'intelletto quella parte di noi che ci rende particolari e diversi dal resto della terra. La posizione eretta faticosamente conquistata nel corso di centinaia di migliaia d'anni viene continuamente mortificata dal concetto stesso di nazionalismo, di confine, di territorio, di radicamento.

Diventiamo cittadini del mondo anche non allontanandoci di un metro dalla propria casa: per viaggiare veramente non c'è bisogno di diventare dei Bruce Chatwin. Il mondo è qui, e ogni passo che facciamo ricordiamoci di avere sì i piedi attaccati a terra per la forza di gravità, ma la testa la cielo, in alto levata, in cerca di orizzonti, di raggi verdi, di desideri, di pensieri che chiedano incessantemente: «Cosa ci faccio qui?».

 

 

 

 

 

 

 

 

 


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