Legambiente: per rimozione macerie 69 anni. Chiodi convoca i sindaci

Il dossier completo - interviste integrali

06 Ottobre 2010   19:28  

Di questo passo ci vorranno 69 anni per togliere le macerie da L'Aquila. E' la desolante provocazione di Legambiente che ha presentato '' MACERIE ANNO ZERO, A18 MESI DAL TERREMOTO IN ABRUZZO. SECONDO dossier PER UNA RICOSTRUZIONE PULITA.
Si è perso troppo tempo dietro agli annunci del ministero dell'ambiente che stimava in 24 mesi il tempo utile per rimuovere le macerie.

Legambiente individua punti cruciali da cui ripartire: prioritaria la stima del numero dei macerie, CHE secondo le stime si aggirano sui 4 miloni e mezzo. Determinante poi per Legambiente l'aspetto della legalità.
Altro obiettivo fondamentale il riciclo attraverso nuove teconologie, quelle ancora sconosciute alla mafia. C'è una legge dello stato, mai veramente applicata, la 203/03 che prevede l'obbligo per le pubbliche amministrazioni di utilizzare negli appalti almeno il 30% di materiale edile da riciclo, di cui fanno parte le macerie. E' fondamentale dare attuazione a quella legge.
Ins regione

Il filone del riutilizzo dei materialo è quindi l'uscita preferenziale dal dramma della rimozione delle macerie, aspetto che si scontra con l'analisi dei costi.
Di fatto ad oggi l'unico sito attivo per il deposito temporaneo delle macerie è quello dell'Ex teges e da qualche giorno è stato firmato l'accordo per l'attivazione del sito di bari sciano. Resta aperto il problema più grande: i costi della rimozione delle macerie rientrano in quelli della ricostruzione.
Tutti i ritardi, ad oggi solo 90.000 mila a tonnellate di macerie sono state spostate in deposito sono frutto di un rimpallo di responsabilità che ha visto i sindaci rimanere soli.

Nell'intervista:

Enrico Fontana, responsabile Osservatorio legalità Legambiente
Alfredo Moroni, Assessore Ambiente Comune L'Aquila

(Barbara Bologna)

Il commissario Chiodi convoca riunione con i sindaci

Il Commissario Delegato per la Ricostruzione - Gianni Chiodi - ha convocato per il 14 ottobre prossimo, presso l'Auditorium di Palazzo Silone, i sindaci del Cratere.

Verranno proposti alla valutazione dei Sindaci alcuni siti idonei al conferimento, custodia e/o stoccaggio provvisorio, ripristino ambientale, trattamento delle macerie e discarica dei sovvalli, tra quelli già esistenti ed immediatamente adatti allo scopo o da rendere idonei con opportuni interventi, da realizzare ex-novo.

La riunione è finalizzata anche a raccogliere le proposte dei Comuni per la identificazione di uno o più siti nei quali allestire luoghi di conferimento delle macerie, in applicazione della disposizione commissariale del 28 maggio 2010, nonché a coinvolgere gli stessi Sindaci nella definizione e regolamentazione delle operazioni di raccolta, selezione, separazione, recupero e smaltimento dei materiali derivanti dal crollo degli edifici pubblici e privati.

La convocazione è stata discussa e ritenuta necessaria nel corso della riunione del 4 ottobre u.s., con la presenza dei soggetti istituzionali coinvolti nelle attività di rimozione delle macerie.

 

IL DOSSIER "MACERIE: ANNO ZERO" DI LEGAMBIENTE

 

A 18 mesi esatti dal terremoto in Abruzzo pubblichiamo integralmente il  dossier di Legambiente dedicato al problema ancora da risolvere della rimozione e dello smaltimento delle macerie.

 

"Macerie, anno zero" - Dossier Legambiente
I numeri, i ritardi, le responsabilità, le soluzioni possibili

Premessa

Abbiamo intitolato questo dossier "Macerie, anno zero" perché, a diciotto mesi dal sisma che ha sconvolto L'Aquila e altri 56 centri abruzzesi, i cumuli delle macerie sono ancora sul posto o abbandonati ai bordi delle strade. Una presenza stabile, come se fossero un elemento di arredo urbano, che ha trasformato i centri storici in veri e propri depositi di stoccaggio. In un contesto di indecisioni, ritardi, rimpalli di responsabilità, le macerie non rimosse raccontano, e non solo simbolicamente, la paralisi che ha colpito le istituzioni locali, regionali e nazionali di fronte al capitolo ricostruzione. Una situazione resa ancora più incredibile dal fatto che dietro allo stallo si muovevano con grande dinamismo quelli della "cricca", imprenditori e politici che concludevano affari d'oro con gli appalti pubblici truccati e che oggi sono finiti sotto la lente della magistratura.

A luglio il presidente del Consiglio Berlusconi, ipotizzando un ritorno sul ponte di comando della Protezione civile, ha bollato la ricostruzione aquilana come una fase che "le istituzioni locali non hanno saputo gestire"; prospettiva che i sempre più sofferenti sindaci hanno rispedito al mittente chiedendo maggiore libertà di manovra per risollevare le sorti dei loro centri partendo proprio dalla rimozione delle macerie.

La gravità della situazione è sotto gli occhi di tutti. L'Aquila e tanti piccoli comuni sono in agonia e la macchina pubblica continua a dimostrare tutta la sua inadeguatezza. A cominciare da quella che sembrerebbe l'azione più semplice, cioè la stima delle macerie prodotte dai crolli nella notte del 6 aprile 2009 e poi dalle demolizioni controllate degli edifici pericolanti. Senza un dato certo sul quantitativo di detriti è difficile programmare gli interventi di rimozione e smaltimento e, tantomeno, distribuire con equità tra i Comuni coinvolti le risorse disponibili.
Da questa fase di stallo si può e si deve uscire immediatamente, coniugando la rimozione delle macerie con filiere virtuose di riciclo dei materiali, a partire dagli inerti. Perché la ricostruzione abruzzese abbia il segno di una scelta precisa, sotto il piano ambientale e sotto quello economico, promuovendo il massimo riuso di aggregati riciclati e riducendo il ricorso a nuove cavazioni.

E' un operazione complessa, in cui si devono valutare i tempi necessari per la realizzazione degli impianti e l'urgenza di rimuovere i detriti dalle strade e dalle piazze. Ma è assolutamente fattibile. Sono tante le domande, allora, che non hanno ancora avuto una risposta sulle ragioni di questi 18 lunghi mesi di sostanziale inerzia. Perché non c'è un piano operativo per rimuovere le macerie e quali sono i costi effettivamente stimabili? Perché i sindaci non hanno indicazioni su come sgomberare le macerie e dove portare i materiali? Perché non sono ancora disponibili siti di stoccaggio e di differenziazione dei materiali? Perché, nonostante sia previsto dalla normativa ordinaria così come dalla legislazione straordinaria, non è stato previsto un impianto di riciclaggio degli inerti che consenta di utilizzare gli aggregati riciclati per la ricostruzione limitando il ricorso a nuove cavazioni?

Ad alcune di queste domande si cerca di dare una risposta in questo secondo dossier, con un obiettivo preciso: riportare al centro del dibattito sulla ricostruzione in Abruzzo quello che doveva rappresentare, subito dopo l'emergenza, il primo passo nella direzione giusta. Rimuovere le macerie e restituire, anche visivamente, la speranza ai cittadini colpiti dal terremoto.

Il balletto dei numeri

Lo scorso febbraio Legambiente scrive un primo dossier intitolato "Basta scuse. Bugie, numeri e responsabilità: come uscire dalla paralisi delle macerie". In assenza di stime ufficiali, sulla base di calcoli fatti dalla Protezione civile e dai Vigili del fuoco, si valuta la presenza nel solo territorio dell'Aquila di una quantità di materiale, da crollo e da demolizione controllata, intorno alle 4,5 milioni di tonnellate, pari a circa 3 milioni di metri cubi. Di questi solo 1 milione di metri cubi si troverebbe sulle strade, impedendo di fatto l'accesso e quindi la possibilità di procedere alla ristrutturazione degli edifici. La restante parte sarebbe accumulata dentro le case e nei cortili.

Una cifra, quella dei 3 milioni di metri cubi, che comunque non include ancora i detriti derivanti da successive demolizioni nell'ambito delle ristrutturazioni private.

Rispetto alle macerie presenti negli altri comuni del cratere non si disponeva di informazioni attendibili.
Il 21 luglio del 2010 i Vigili del fuoco e il Cnr inviano al Commissario delegato per la ricostruzione e alla Struttura tecnica di missione una dettagliata relazione con la quantificazione delle macerie presenti nei comuni del cratere e nei comuni fuori cratere.

Attraverso complesse operazioni matematiche applicate ad alcuni edifici campione, la stima massima complessiva raggiunge la cifra di 2.650.000 metri cubi di calcinacci. Di questi, circa 1.480.000 sarebbero quelli del capoluogo (56%).

A questi numeri si dovrebbe aggiungere il volume delle macerie "private", quelle che si produrranno in futuro con le ristrutturazioni delle case e che saranno classificate come rifiuti edili (codice Cer 17).

Ma i nuovi conti non tornano. Almeno secondo alcuni sindaci del cratere, si tratta di cifre sottostimate. Il primo cittadino di Villa Sant'Angelo, uno dei Comuni più colpiti dal sisma, che ha fatto valutare le macerie "in proprio" e con un metodo diverso, evidenzia una differenza considerevole tra i numeri ufficiali e i risultati dello studio che ha commissionato. Sul suo territorio secondo i dati ufficiali ci sarebbero circa 28 mila metri cubi di detriti, ma lo studio di dettaglio, affidato dal Comune all'università di Genova, all'università di Catania e al Cnr, dà risultati molto diversi: le macerie avrebbero un volume pari a 40 mila metri cubi, il 30% in più del volume indicato nella tabelle "ufficiali".

Altri comuni, che per fortuna hanno subito danni meno rilevanti, avrebbero quantitativi di macerie decisamente esagerati. Per citarne uno: Barisciano, che non ha avuto grandi crolli e per fortuna nemmeno vittime, secondo i calcoli elaborati nello studio realizzato per la struttura commissariale, avrebbe la bellezza di 54.662 metri cubi di macerie, il doppio di quanto stimato a Villa Sant'Angelo.

Il balletto dei numeri, dunque, così come quello delle informazioni sulla sorte delle macerie rimosse, sembra destinato a non finire. Non si tratta di una questione priva di conseguenze, a cominciare dalla definizione delle risorse necessarie per rimuovere davvero quelle macerie e dalla loro ripartizione su base comunale. Una cosa è certa: anche assumendo come buone le stime più prudenziali, le somme fin qui teoricamente disponibili (circa 30milioni di euro) sono del tutto insufficienti.

La lotteria dei siti di stoccaggio

Le macerie spostate finora sono state portate sempre ed esclusivamente alla cava ex Teges, il sito di Paganica individuato un anno fa dalla Protezione civile, affidato al Comune dell'Aquila e gestito dalla Asm, la municipalizzata incaricata del servizio rifiuti nel capoluogo abruzzese.

Secondo le informazioni fornite dall'assessorato all'Ambiente, fino al 15 marzo del 2010 qui vengono conferiti i detriti tal quali, così come previsto dal decreto terremoto dell'aprile 2009, per un quantitativo che oscilla tra le 500 e le 600 tonnellate al giorno.

Dopo le proteste degli aquilani con le incursioni del popolo delle carriole nella zona rossa, viene definito, a valle di un incontro al Ministero dell'ambiente, un nuovo piano di rimozione. Da quella data, lo smistamento dei materiali come il ferro, il legno, la plastica, avviene direttamente sulle strade con l'impiego di grossi container, mentre gli inerti e il sovvallo rimanenti prendono la strada della ex Teges, in cui attualmente arrivano a una media di 150 tonnellate al giorno.
Quello che dovrebbe essere un sito di stoccaggio temporaneo, però, rischia di diventare a tutti gli effetti una discarica. Fino a oggi, infatti, la ex Teges si è riempita e quasi mai svuotata, tanto che ormai è vicina alla saturazione. Dal sito, grazie a due bandi del Comune dell'Aquila, sono uscite in totale di 23.000 tonnellate di inerti a fronte, sempre secondo le stime dell'amministrazione comunale, di circa 90.000 tonnellate di macerie rimosse.

Nell'ipotesi volutamente più pessimista, procedendo cioè al ritmo attuale, per eliminare tutte le macerie del terremoto ci vorrebbero altri 69 anni. Per scongiurare questa prospettiva occorre un cambio di marcia deciso, con l'immediata individuazione e attivazione di tutti i siti necessari.

Qualcosa fortunatamente si sta muovendo. A supporto della ex cava di Paganica, sembra prossimo l'allestimento di un impianto di lavorazione a Barisciano, più precisamente in località Forfona, dove secondo le intenzioni dovrebbe sorgere anche un polo tecnologico di iniziativa pubblica per il trattamento e il recupero degli inerti.

Ad agosto il Comune ha approvato il protocollo d'intesa sottoscritto con Regione, Provincia, Comune di Barisciano e struttura del Commissario delegato per l'avvio dei lavori. Ma i tempi, anche in questo caso, si annunciano lunghi. E' necessario portare a termine l'iter burocratico e predisporre l'adeguamento dell'area. Ma seppure un più preciso censimento delle macerie dovesse ridurne la quantità, Barisciano non sarebbe comunque sufficiente.

Servono altri siti. E questa è la stessa identica conclusione che all'inizio del 2010 mette in moto il Tavolo ambiente, impegnato in un vero e proprio tour per verificare l'idoneità di cave dismesse e discariche. Vengono valutate oltre 20 aree alla ricerca di luoghi per effettuare un primo smistamento delle macerie, fare la selezione dei materiali e avviarli al riciclo. Il risultato è l'individuazione di tre siti per lo stoccaggio temporaneo, tutti di proprietà pubblica. Il primo è la ex cava Teges, gli altri due sono rispettivamente quello di Bazzano, frazione dell'Aquila e quello di Barisciano. Per quel che riguarda la fase di trattamento degli inerti, il pool di esperti giudica idonei altri 6 siti, cave in attività e cave dismesse, tutte di proprietà privata e quindi da sottoporre a gara d'appalto.

Si trovano uno a Roio, due sul territorio di Barisciano, uno a Isola Gran Sasso in provincia di Teramo e due a Corfinio. Ma non se ne fa nulla. I risultati di questo lavoro restano lettera morta e il Tavolo ambiente viene sostituito dalla Struttura tecnica di missione.

Infine, a ottobre 2010, sulla base delle disposizioni del Commissario delegato impartite nel maggio 2010, l'Assessorato regionale alla protezione civile e ambiente, in collaborazione con l'Università degli studi dell'Aquila e i Vigili del fuoco, stila un elenco di 6 siti in cui conferire, stoccare e gestire le attività di recupero e riutilizzo delle macerie. I siti, che fanno riferimento a 6 macroaree, erano già compresi nella lista del Tavolo ambiente. Adesso i siti (vedi tabella seguente) dovranno essere sottoposti alla valutazione dei sindaci e a quella dell'Arta per verificarne l'idoneità.
Nulla di nuovo dunque. Se non il fatto che, anziché procedere, grazie all'intervento del Ministero dell'ambiente, si sono persi almeno nove mesi di tempo. Perché oggi siamo tornati esattamente al risultato a cui i tecnici erano già giunti nel gennaio scorso.

Il sito di Roio

Tra i siti scelti dal Tavolo ambiente nel febbraio scorso, c'è anche quello di Roio, località del Comune dell'Aquila che dista circa 7 chilometri dal capoluogo. È il sito in cui la Linda srl, impresa associata all'Anpar, l'associazione che riunisce i produttori di aggregati riciclati, ha avanzato la richiesta di installare un impianto di trattamento per il riciclaggio degli inerti.

Su questo impianto si è aperto un conflitto istituzionale che Legambiente chiede sia risolto il più rapidamente possibile. Il Consiglio comunale, con un voto unanime del 16 giugno, ha bocciato il sito, per ragioni legate sostanzialmente al volume di traffico di automezzi previsto, ritenuto non compatibile con le caratteristiche dell'area; la Soprintendenza (con atto del 28 luglio) ha rilasciato il proprio nulla osta per quanto riguarda la presenza di un vincolo paesistico; la Regione Abruzzo (9 agosto), ha dato il via libera all'autorizzazione dell'impianto, convinta della bontà del progetto. Anpar, infine, ha replicato al parere del Comune facendo presente che la tranquillità dell'abitato non verrebbe meno perché difesa dalla presenza di una collina e che per il passaggio di veicoli pesanti, che salirebbero di numero, è previsto il ricorso a strade alternative.

Nell'attesa che anche questa situazione si sblocchi, un dato è certo: all'Aquila non c'è un metro cubo di aggregato riciclato prodotto con il trattamento delle macerie post-terremoto. E se non si decide di collocare un impianto, a Roio o in altro sito, che cominci a lavorare quanto prima, non ce ne sarà nemmeno in futuro.

D'altro canto non va dimenticato che siamo, dal punto di vista delle attività estrattive, in una delle regioni più sfruttate d'Italia, dove si contano oltre 300 cave, 117 solo in provincia dell'Aquila. Siti però di cui manca la mappatura esatta (non esiste il piano cave) e su cui sembra impossibile ottenere documentazione dagli uffici preposti. E dove, guarda caso, in questi mesi stanno nascendo qua e là cementifici nuovi di zecca.

I ritardi, le responsabilità, i rimpalli di competenze

Fin dall'inizio, le notizie circolanti su ruoli, compiti e responsabilità nella fase di ricostruzione, sono molte, diverse e spesso in totale contraddizione. Con un'eccezione: risolvere il problema delle macerie è compito dei Comuni. Così stabilisce, già il 28 aprile del 2009, il decreto legge 39, il cosiddetto decreto terremoto (poi convertito dalla legge 77 del 24 giugno), che assimila le macerie ai rifiuti solidi urbani. A sole tre settimane dal sisma, quindi, quando il governo nazionale sta affidando tutta la complessa macchina dell'emergenza al dipartimento di Protezione civile, la questione dello smaltimento delle macerie viene subito scorporata e appaltata agli enti locali.

Scelta ribadita dalla legislazione straordinaria che si sussegue nel corso dei mesi: i sindaci, attraverso lo strumento dell'ordinanza, devono disporre la rimozione dei detriti, individuando un sito di stoccaggio temporaneo sul loro territorio ai sensi dell'art. 191 del D.lgs. 152/2006 (potestà riconosciuta anche ai presidenti della Regione e della Provincia per territori sovracomunali).

Insomma la patata bollente finisce dritta nelle mani dei sindaci. Ma la gran parte di questi amministra piccoli borghi, quelli più estesi arrivano a contare poco più di mille abitanti. Non hanno né le competenze né i mezzi tecnici ed economici per occuparsene. Inoltre, mancano le indicazioni sul da farsi. Perché, individuate le responsabilità, Governo e Protezione civile non sono in grado di stabilire e comunicare procedure e modalità a cui attenersi. Invano i più intraprendenti chiedono ripetutamente che vengano definite linee guida uniformi per tutti i comuni terremotati.

Dopo mesi di pressanti richieste, il 28 maggio 2010 i Sindaci ricevono finalmente una nota a firma del presidente della Regione Abruzzo, nonché Commissario delegato per la ricostruzione, Gianni Chiodi. Il documento si intitola "Gestione dei materiali derivanti da crollo degli edifici pubblici e privati, nonché di quelli provenienti dalla demolizione degli edifici danneggiati dal sisma del 6 aprile 2009". A giudicare dall'oggetto, si tratterebbe dunque delle disposizione per mettere mano al problema che impedisce ogni tentativo di ritorno alla normalità.

Invece, scorrendo il testo, ci si accorge che il Commissario non comunica nulla di nuovo. Quasi tutto il documento si concentra sulle macerie dell'Aquila. Assegna ai Vigili del fuoco e al Cnr il compito di quantificare le macerie, dettaglia le mansioni dell'Asm circa il trattamento e la separazione dei materiali e fornisce indicazioni circa contenitori da collocare nei cantieri in cui si stanno già operando le ristrutturazioni. Cita come unico sito di conferimento la cava ex Teges e, infine, "per accelerare il processo di rimozione" autorizza l'acquisto di mezzi supplementari per il trasporto delle macerie.

Le ultime 15 righe sono invece dedicate agli "altri comuni", ossia i 56 centri minori colpiti dal sisma. A loro viene ricordato il compito di procedere alla rimozione dei materiali e alla individuazione di siti di stoccaggio temporaneo d'intesa con la Protezione civile, la Regione e la struttura commissariale. Viene citato il sito di Barisciano, che però deve ancora essere predisposto per diventare un impianto in grado di accogliere le macerie.

Insomma, ancora una volta non c'è traccia dei siti di destinazione, che a quanto pare devono ancora essere valutati e confermati. Quindi è lecito domandarsi: a che serve indicare le procedure per la rimozione e potenziare i mezzi di trasporto per poi non avere luoghi dove portare il carico?

A onor del vero va detto che, non solo i Comuni, ma anche la struttura Commissariale aveva la possibilità di intervenire: a fine luglio del 2009 un'ordinanza di protezione civile (art. 19 comma 1 della O.P.C.M. n. 3797 del 30 luglio 2009) stabilisce che "il commissario delegato può provvedere, in sostituzione dei comuni (...) alla individuazione dei siti da adibire a deposito temporaneo e selezione dei materiali derivanti dal crollo degli edifici pubblici e privati nonché di quelli provenienti dalle demolizioni degli edifici danneggiati dal sisma (...)". Per occupare, requisire e realizzare i siti, il provvedimento attribuisce al Commissario anche la possibilità di avvalersi delle deroghe per interventi d'emergenza elencate dall'ordinanza 3753 del 6 aprile 2009. Significa che di fronte all'incapacità, o impossibilità, dei Comuni, la struttura commissariale avrebbe potuto agire in via sostitutiva. Non è vero dunque che la Protezione civile non poteva fare nulla.

In data 22 agosto 2009, inoltre, quando cioè le era già stata attribuita la potestà di esercitare i poteri sostitutivi, una comunicazione della struttura commissariale (prot. 6571/09) si limita a sollecitare i Comuni del "cratere" perché provvedano all'individuazione dei siti di stoccaggio.

Riassumendo, in 18 mesi del problema della ricostruzione, e quindi delle macerie, si sono occupati a vario titolo:

Il governo e la protezione civile nazionale (decreto 39 del 28 aprile 2009 e successive ordinanze);

Il Tavolo ambiente, costituito alla fine del 2009 tra Regione Abruzzo, Provincia e Comune dell'Aquila, Arta e Forze dell'ordine per selezionare i siti di stoccaggio temporaneo;

La Struttura tecnica di Missione, avviata nel gennaio del 2010 e capitanata dall'arch. Gaetano Fontana;

Il commissario e il vice commissario per la ricostruzione, nominati nel febbraio del 2010, rispettivamente nelle persone del presidente della Regione e del sindaco dell'Aquila;

Il ministro dell'Ambiente Stefania Prestigiacomo, che nel mese di luglio, durante una visita in Abruzzo, pronostica:

"Nel volgere di pochi mesi le macerie saranno un ricordo, perché il centro dell'Aquila verrà sgomberato, saranno avviate le ristrutturazioni e riprenderà la vita sociale ed economica che animava la città prima del terremoto. Ci penserà il Governo, visto che gli amministratori locali hanno dimostrato di non essere all'altezza del compito".

Dopo questa dichiarazione, da parte del ministro non si è saputo più nulla.

Il caso di Villa Sant'Angelo

Villa Sant'Angelo è un piccolo comune di 450 abitanti sparpagliati su una superficie di poco più di 5 chilometri quadrati in provincia dell'Aquila.
Il 6 aprile 2009 il terremoto devasta quasi tutto il centro e seppellisce sotto le case 17 persone. I crolli sono ingenti, sparisce una fetta di paese e occorre assicurare un tetto agli sfollati. A novembre vengono collocate intorno al borgo 94 casette, moduli abitativi provvisori in cui alloggiano le famiglie. Dalle finestre dei loro Map i cittadini di Villa guardano ogni giorno un paese fantasma, accartocciato su se stesso, immobile dal 6 aprile 2009. Qui la rimozione delle macerie non è mai nemmeno cominciata.

Intanto però il sindaco Pierluigi Biondi durante l'estate commissiona uno studio a un gruppo formato da tecnici dell'università di Genova, dell'università di Catania e del Cnr. Nel febbraio del 2010 viene prodotto un "Progetto per la rimozione delle macerie e messa in sicurezza dei percorsi pubblici", una relazione che mette nero su bianco le condizioni del comune, con l'analisi dei crolli e la mappatura delle aree interdette. Una fotografia dettagliata, necessaria, per cominciare a mettere mano alla rimozione delle macerie che impediscono l'accesso a gran parte del centro storico.

A Villa Sant'Angelo lo studio stima la presenza di 40.000 metri cubi (70.000 tonnellate) di macerie da crollo e demolizioni controllate. Dato che contrasta, come già accennato, con quello pubblicato dai Vigili del fuoco, e dallo stesso Cnr, che si attesta sui 28.000 metri cubi.

Il Sindaco Biondi denuncia: "C'è stata fin dall'inizio una netta disparità di trattamento tra L'Aquila e i comuni del cratere. Il nostro è uno dei comuni più seriamente colpiti, per numero di vittime e per crolli. Circa 1/3 dell'abitato è andato distrutto. Si devono ancora fare analisi, messa in sicurezza, puntellamenti e demolizioni controllate. Ci sono strade con cumuli di macerie alti oltre 4 metri".

Villa, come tutti gli altri Comuni, aspetta le "linee guida" promesse dal Tavolo ambiente, che nel frattempo è stato sostituito dalla Struttura Tecnica, guidata da Gaetano Fontana.

Visto che un sito di stoccaggio temporaneo ha caratteristiche tecniche e costi particolari, l'idea prevalente è quella di consorziarsi tra piccoli comuni e individuare un sito insieme, così da sopperire alla mancanza di competenze tecniche.

Ma l'attesa è sterile. Così il sindaco si rimbocca le maniche e decide di predisporre un bando alla ricerca di un esperto che lo aiuti a sbloccare la situazione. Arrivano 250 candidature, il Comune fa la selezione e sceglie il tecnico a cui affidare la stesura delle procedure.

Scrive al Commissario dicendo di essere pronto ad avviare un progetto pilota e chiedendo un anticipo di 1 milione di euro per pagare il consulente e avviare così i lavori. Ma nemmeno la circolare del Commissario del 28 maggio scorso contiene disposizioni in merito alla rimozione.

Riguarda quasi esclusivamente le macerie dell'Aquila, descrivendo ruoli e competenze di tutti i soggetti in campo. A tutti gli altri Comuni del cratere è dedicato un solo paragrafo di poche righe, in cui sostanzialmente viene ribadito che devono adoperarsi per individuare i siti di stoccaggio e di smaltimento. Nessuna indicazione precisa sulle procedure da seguire e tantomeno sulle risorse disponibili. Il centro di Villa Sant'Angelo, nonostante l'impegno del Sindaco, è ancora occupato dalle macerie, che non consentono neppure di ipotizzare un qualsiasi intervento di ricostruzione.

La green economy e il riciclo delle macerie nella ricostruzione

L'esasperante lentezza nelle attività di rimozione delle macerie sta pregiudicando il diritto dei cittadini dell'Aquila e degli altri comuni del cratere di ricostruire le proprie abitazioni. E la sistematica non applicazione delle normative vigenti sta paralizzando la nascita di una nuova filiera imprenditoriale, che potrebbe trasformare quelle stesse macerie in materiale riutilizzabile sia nel ciclo degli appalti che nell'attività edilizia.

In Italia, infatti, è in vigore da sette anni una legge, la 203/2003 (che la circolare n.5205 del 15 luglio 2005 ha esteso al settore edile), che obbliga all'impiego negli appalti pubblici del 30% di materiali riciclati, inerti compresi. I due bandi già citati del Comune dell'Aquila hanno previsto addirittura un avvio al riciclo del 50% degli inerti, così come ha fatto la legislazione straordinaria prodotta dopo il terremoto. Nelle ipotesi della Regione si arriva a formulare il riuso di una percentuale addirittura superiore all'80% del materiale derivante dalla demolizione controllata degli edifici. E' una sfida che le imprese del settore sono in grado di raccogliere: nel nostro Paese esistono, infatti, tecnologie e competenze adeguate.

Riferimenti normativi precisi e puntuali. Importanti impegni assunti e sottoscritti in tutte le sedi. Obiettivi ambiziosi da raggiungere. Sistema imprenditoriale disponibile. Eppure a tutt'oggi in Abruzzo di questa filiera del riciclo degli inerti non c'è sostanzialmente traccia. Non solo: con una evidente e grave non applicazione della normativa in materia, gli aggregati da riciclo non sono neppure indicati nel prezziario regionale. Non esistono e, quindi, non hanno un valore.

Né tantomeno, in queste condizioni, possono essere indicati come pure dovrebbero nelle gare d'appalto per opere pubbliche, ad esempio per la realizzazione di rilevati stradali.

L'Abruzzo, purtroppo, non è solo in questa sostanziale violazione di norme e regolamenti che promuovono in Italia il cosiddetto Gpp (green public procurement), ovvero la politica di acquisti verdi da parte delle amministrazioni pubbliche. Ma la contraddizione appare francamente insopportabile in un contesto segnato dalla eccezionale presenza di macerie da rimuovere quanto prima, nella maniera più rapida ed efficace possibile.

Secondo l'Anpar, un impianto di riciclaggio di taglia medio-grande può trattare fino a 250 mila tonnellate di inerti all'anno. Il che significa che, potenzialmente, una decina di impianti dislocati nel territorio della provincia dell'Aquila potrebbe lavorare in circa due anni tutti gli inerti derivanti dalle macerie del terremoto e produrre oltre 4 milioni di tonnellate di aggregato riciclato (la quantità di aggregato riciclato prodotto coincide in genere con la quantità di materiale lavorato).

La realizzazione di questi impianti darebbe uno forte impulso a un'imprenditoria tecnologicamente avanzata e innovativa; ridurrebbe in maniera assoluta la necessità di discariche o altri siti di smaltimento; consentirebbe di dare piena e concreta attuazione da parte delle amministrazioni pubbliche alla legge 203 sugli acquisti verdi; renderebbe disponibile materiale riciclato di qualità per le attività edilizie di ricostruzione; eviterebbe il ricorso massiccio, come avviene ancora oggi, al materiale di cava. Sono questi i vantaggi della tanto declamata e assai poco praticata green economy. Sarà forse un peccato di malizia, ma non sembra casuale che in Abruzzo da un lato si moltiplicano cave e cementifici e dall'altro restano al palo le attività di riciclo degli inerti.

Le proposte di Legambiente

Rimuovere le macerie dalle strade e dalle piazze de L'Aquila e di tutti gli altri comuni del cratere è il primo atto concreto di una vera ricostruzione. Il punto di partenza di una rinascita sociale ed economica che si alimenta di cambiamenti concreti e visibili. Quale fiducia si può avere in un futuro diverso e migliore se ogni giorno il paesaggio di rovine e distruzione rimane sempre lo stesso? Anche per queste ragioni i ritardi fin qui accumulati, il continuo rimpallo di responsabilità, l'assenza di procedure certe e persino di stime certe sulle macerie da rimuovere sono semplicemente ingiustificabili.

Si tratta di cambiare subito marcia, di fare tesoro delle esperienze migliori, di concentrare attenzione e risorse sulle priorità effettive.

Legambiente, in questo contesto, intende dare il suo contributo concreto, come ha sempre fatto sino dalle ore immediatamente successive al drammatico sisma del 6 aprile 2009, attraverso l'impegno dei propri volontari che prosegue ancora oggi. Sono sette le proposte di Legambiente finalizzate ad avviare davvero la rimozione delle macerie post-terremoto e promuovere una ricostruzione pulita:

1) Stabilire numeri certi sul quantitativo di macerie da rimuovere da L'Aquila e dai comuni del cratere, che comprenda anche una valutazione dei detriti che si produrranno in seguito dalle demolizioni effettuate in corso di ristrutturazione degli immobili;

2) Definire sulla base di questa stima le risorse necessarie per la rimozione delle macerie, prevedere adeguati finanziamenti e procedure rapide di trasferimento ai Comuni;

3) Definire per tutti i Comuni del cratere procedure certe, attuabili e verificabili, per l'attività di rimozione delle macerie e l'avvio agli impianti di stoccaggio e trattamento;

4) Identificare e allestire i centri di stoccaggio temporaneo, che funzionino effettivamente da poli dove le macerie entrano, vengono vagliate ed escono sotto forma di materiali separati da avviare al riciclo e allo smaltimento;

5) Garantire la presenza di impianti di selezione e trattamento degli inerti nei siti di stoccaggio temporaneo per incentivare la filiera del riciclo negli appalti pubblici e nelle attività edilizie;

6) Dare piena e immediata attuazione nella Regione Abruzzo alla legge 203/03 che prevede l'obbligo per le pubbliche amministrazioni di prevedere negli appalti almeno il 30% di materiale edile da riciclo, introducendo nel prezziario regionale il costo degli aggregati riciclati;

7) Dotare la Regione di uno strumento di pianificazione sulle attività estrattive (Piano Cave) in modo da contenere la proliferazione di nuove cave in un territorio come quello abruzzese e aquilano in particolare già particolarmente sacrificato all'estrazione di materiali inerti.

 


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