Legge bavaglio? Nessun problema, si può emigrare in Islanda...

22 Giugno 2010   09:37  

La scorsa settimana il Parlamento islandese ha approvato la proposta di legge che dovrebbe trasformare l'isola in un paradiso della libertà di espressione. Bene. Adesso io, giornale italiano, posso emigrare sull'isola, prendere dominio e server islandesi e aggirare la cosiddetta Legge bavaglio (approvata al Senato e da discutere alla Camera) grazie alla norma nordeuropea? Sì, a patto di seguire alcune istruzioni.

"Tanto per cominciare la società editrice deve essere islandese. E non basta che la sede legale abbia indirizzo islandese: il suolo nordico deve effettivamente ospitare una redazione e la società", spiega Guido Scorza, avvocato ed esperto di informatica giuridica e di diritto delle nuove tecnologie. "L'importante", continua Scorza, "è che la società sia straniera e che pubblichi su propria scelta". Non deve cioè essere semplicemente un sito che ospita contenuti, ma deve avere la responsabilità di ciò che diffonde.

Un editore italiano può quindi andare a Reykjavík e fondare un ipotetico quotidiano. Ma se vuole pubblicare intercettazioni non pubblicabili in Italia è meglio che lo faccia con una forte partnership straniera. L'eventuale editore deve infatti stare attento a un paio di cose: deve avere una quota piccola della società da risultare ininfluente nelle scelte redazionali.

Non deve avere, cioè, il potere di condizionare in alcun modo la linea della testata e la pubblicazione degli articoli. Secondo, il giornale deve essere insospettabile: una testata islandese che pubblica in italiano solo fatti inerenti alle intercettazioni e gli atti coperti da segreto, non è esattamente al di sopra di ogni sospetto. In altre parole, non deve essere possibile dimostrare che il giornale sia stato fondato con l'unico scopo di aggirare la legge italiana. In caso contrario il reato sarebbe perseguibile in quanto produce un effetto anche nel nostro paese.

La norma islandese sembra offrire protezione incondizionata della fonte delle informazioni, della comunicazione con il giornalista e dei provider intermediari. "Rivelare un'intercettazione segreta a un soggetto straniero è sì un reato, ma non ha nulla a che vedere con l'editoria", chiarisce Scorza: "L'autorità italiana potrebbe chiedere, tramite una rogatoria, che venga rivelata la fonte. L'editore avrebbe però dalla sua parte la legge che lo autorizza a proteggere l'identità di chi ha fatto la soffiata".

La notizia in questo modo verrebbe data. Nessuna testata italiana, però, potrebbe riprenderla o linkarla, perché si tratterebbe di diffusione di informazioni coperte da segreto. Linkare è diverso dal pubblicare, ma per la norma anti intercettazioni sarebbe come commettere un reato per interposta persona. Si può giusto dare la notizia che un sito straniero ha pubblicato un'intercettazione, ma senza fare nomi. La legge in discussione al Parlamento si applica infatti ai contenuti, non a chi li diffonde.

Fonte: www.wired.it


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