Leggi e scarica il testo definitivo della riforma del mercato del lavoro

05 Aprile 2012   15:39  

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Disegno di legge recante disposizioni in materia di riforma del

mercato del lavoro in una prospettiva di crescita

Capo I

Disposizioni generali

Capo II

Tipologie contrattuali

Capo III

Disciplina in tema di flessibilità in uscita e tutele del lavoratore

Sezione I – Disposizioni in materia di licenziamenti individuali

Sezione II – Disposizioni in materia di licenziamenti collettivi

Sezione III – Rito speciale per le controversie in tema di licenziamenti

Capo IV

Ammortizzatori sociali, tutele in costanza di rapporto di lavoro e protezione dei lavoratori

anziani

Sezione I – Ammortizzatori sociali

Sezione II – Tutele in costanza di rapporto di lavoro

Sezione III – Interventi in favore dei lavoratori anziani e incentivi all’occupazione

Capo V

Ulteriori disposizioni in materia di mercato del lavoro

Capo VI

Politiche attive e servizi per l’impiego

Capo VII

Apprendimento permanente

Capo VIII

Copertura finanziaria

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Capo I

Disposizioni generali

Art. 1

(Finalità del provvedimento e sistema di monitoraggio e valutazione)

1. La presente legge dispone misure e interventi intesi a realizzare un mercato del lavoro inclusivo e

dinamico, in grado di contribuire alla creazione di occupazione, in quantità e qualità, alla crescita

sociale ed economica e alla riduzione permanente del tasso di disoccupazione, in particolare:

a) favorendo l’instaurazione di rapporti di lavoro più stabili e ribadendo il rilievo

prioritario del lavoro subordinato a tempo indeterminato quale forma comune di

rapporto di lavoro (c.d. “contratto dominante”);

b) valorizzando l’apprendistato come modalità prevalente di ingresso dei giovani nel

mondo del lavoro;

c) ridistribuendo in modo più equo le tutele dell’impiego, da un lato, contrastando l’uso

improprio e strumentale degli elementi di flessibilità progressivamente introdotti

nell’ordinamento con riguardo alle tipologie contrattuali; dall’altro, adeguando

contestualmente alle esigenze del mutato contesto di riferimento la disciplina del

licenziamento, con previsione, altresì, di un procedimento giudiziario specifico per

accelerare la definizione delle relative controversie;

d) rendendo più efficiente, coerente ed equo l’assetto degli ammortizzatori sociali e delle

politiche attive in una prospettiva di universalizzazione e di rafforzamento

dell’occupabilità delle persone;

e) contrastando usi elusivi di obblighi contributivi e fiscali degli istituti contrattuali

esistenti;

f) promuovendo una maggiore inclusione delle donne nella vita economica e favorendo

nuove opportunità di impiego ovvero di tutela del reddito per i lavoratori

ultracinquantenni in caso di perdita del posto di lavoro.

2. Al fine di monitorare lo stato di attuazione degli interventi e delle misure di cui alla presente

legge e di valutarne gli effetti sull’efficienza del mercato del lavoro, sull’occupabilità dei cittadini,

sulle modalità di entrata e di uscita nell’impiego, è istituito presso il Ministero del lavoro e delle

politiche sociali, in concorso con le altre Istituzioni competenti, un sistema permanente di

monitoraggio e valutazione. Al sistema concorrono, altresì, le parti sociali attraverso la

partecipazione delle organizzazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale dei datori di

lavoro e dei lavoratori.

3. Il sistema assicura, con cadenza almeno annuale, rapporti sullo stato di attuazione delle singole

misure, sulle conseguenze in termini micro e macroeconomici, nonché sul grado di effettivo

conseguimento delle finalità di cui al comma 1. Dagli esiti del monitoraggio e della valutazione di

cui al presente articolo, sono desunti elementi per l’implementazione ovvero per eventuali

correzioni delle misure e degli interventi introdotti dalla presente legge, anche alla luce

dell’evoluzione del quadro macroeconomico, degli andamenti produttivi, delle dinamiche del

mercato del lavoro e, più in generale, di quelle sociali.

4. Allo scopo di assicurare il monitoraggio e la valutazione indipendenti della riforma, l’Istituto

Nazionale di Previdenza Sociale (Inps) organizza una banca dati informatizzata anonima,

rendendola disponibile, a scopo di ricerca scientifica, a gruppi di ricerca collegati ad Università, enti

di ricerca o enti anche finalità di ricerca italiani ed esteri. I risultati delle ricerche condotte mediante

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l’utilizzo della banca dati dovranno essere resi pubblici e comunicati al Ministero del lavoro e delle

politiche sociali.

5. La banca dati di cui al comma 4 contiene i dati individuali anonimi, relativi all’età, genere, area

di residenza, periodi di fruizione degli ammortizzatori sociali con relativa durata ed importi

corrisposti, periodi lavorativi e retribuzione spettante, stato di disoccupazione, politiche attive e di

attivazione ricevute.

6. L’attuazione delle disposizioni del presente articolo non può comportare nuovi o maggiori oneri a

carico della finanza pubblica, in quanto la stessa è effettuata con le risorse finanziarie, umane e

strumentali previste a legislazione vigente.

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Art. 2

(Rapporti di lavoro alle dipendenze delle Pubbliche Amministrazioni)

1. Le disposizioni della presente legge, per quanto da esse non espressamente previsto,

costituiscono principi e criteri per la regolazione dei rapporti di lavoro dei dipendenti delle

pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.

165, e successive modificazioni, in coerenza con quanto disposto dall’articolo 2, comma 2 del

medesimo decreto legislativo. Restano ferme le previsioni di cui all’articolo 3 del medesimo decreto

legislativo.

2. A tal fine il Ministro per la Pubblica Amministrazione e per la semplificazione, sentite le

organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative dei dipendenti delle Amministrazioni

pubbliche, individua e definisce, anche mediante iniziative normative, gli ambiti, le modalità e i

tempi di armonizzazione della disciplina relativa ai dipendenti delle Amministrazioni pubbliche.

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Capo II

Tipologie contrattuali

Art. 3

(Contratti a tempo determinato)

1. Al decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, sono apportate le seguenti modifiche:

a) all’articolo 1, il comma 01 è sostituito dal seguente: “Il contratto di lavoro subordinato a

tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro”;

b) all’articolo 1, dopo il comma 1, è inserito il seguente: “1-bis. Il requisito di cui al comma 1

non è richiesto nell’ipotesi del primo rapporto a tempo determinato di durata non superiore a

sei mesi, concluso fra un datore di lavoro o utilizzatore e un lavoratore, per lo svolgimento

di qualunque tipo di mansione, sia nella forma del contratto a tempo determinato, sia nel

caso di prima missione di un lavoratore nell’ambito di un contratto di somministrazione a

tempo determinato ai sensi del comma 4 dell’articolo 20 del decreto legislativo 10 settembre

2003, n. 276”;

c) all’articolo 1, comma 2, le parole “le ragioni di cui al comma 1” sono sostituite dalle

seguenti: “le ragioni di cui al comma 1, fatto salvo quanto previsto dal comma 1-bis

relativamente alla non operatività del requisito della sussistenza di ragioni di carattere

tecnico, organizzativo, produttivo o sostitutivo”;

d) all’articolo 4, dopo il comma 2 è inserito il seguente: “2-bis. Il contratto a tempo

determinato di cui all’articolo 1, comma 1-bis del presente decreto non può essere oggetto di

proroga”;

e) all’articolo 5, comma 2, le parole “oltre il ventesimo giorno” sono sostituite dalle seguenti:

“oltre il trentesimo giorno” e le parole “oltre il trentesimo giorno” sono sostituite dalle

seguenti: “oltre il cinquantesimo giorno”;

f) all’articolo 5, dopo il comma 2 è aggiunto il seguente: “2-bis. Nelle ipotesi di cui al comma

2, il datore di lavoro ha l’onere di comunicare al Centro per l’impiego territorialmente

competente, entro la scadenza del termine inizialmente fissato, che il rapporto continuerà

oltre tale termine, indicando altresì la durata della prosecuzione. Le modalità di

comunicazione sono fissate con decreto di natura non regolamentare del Ministero del

lavoro e delle politiche sociali da emanarsi entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore

della presente legge.”;

g) all’articolo 5, comma 3, le parole “dieci giorni” sono sostituite dalle seguenti: “sessanta

giorni” e le parole “venti giorni” sono sostituite dalle seguenti: “novanta giorni”;

h) all’articolo 5, comma 4-bis, al primo periodo, in fine, sono aggiunte le seguenti parole: “; ai

fini del computo del periodo massimo di trentasei mesi si tiene altresì conto dei periodi di

missione aventi ad oggetto mansioni equivalenti, svolti fra i medesimi soggetti, ai sensi del

comma 1-bis dell’articolo 1 e dei commi 3 e 4 dell’articolo 20 del decreto legislativo 10

settembre 2003, n. 276”.

2. Al decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, sono apportate le seguenti modifiche:

a) al comma 4 dell’articolo 20, dopo il primo periodo è inserito il seguente: “E’ fatta salva la

previsione di cui al comma 1-bis dell’articolo 1 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n.

368.”;

b) all’articolo 23, il comma 2 è abrogato.

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3. Alla legge 4 novembre 2010, n. 183, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all’articolo 32, comma 3, la lettera a) è sostituita dalla seguente: “ai licenziamenti che

presuppongono la risoluzione di questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro

ovvero alla nullità del termine apposto al contratto di lavoro, ai sensi degli articoli 1, 2 e 4

del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368. Laddove si faccia questione della nullità del

termine apposto al contratto, il termine di cui al comma 1 del predetto articolo 6, che decorre

dalla cessazione del medesimo contratto, è fissato in 120 giorni, mentre il termine di cui al

secondo comma del medesimo articolo 6 è fissato in 180 giorni”;

b) all’articolo 32, comma 3, la lettera d) è abrogata.

4. Le disposizioni di cui al comma 3, lettera a), dell’articolo 32 della legge 4 novembre 2010, n.

183, come modificate dal comma 3 del presente articolo, trovano applicazione in relazione alle

cessazioni di contratti a tempo determinato verificatesi a decorrere dal 1° gennaio 2013.

5. La disposizione di cui al comma 5 dell’articolo 32 della legge 4 novembre 2010, n. 183, si

interpreta nel senso che l’indennità ivi prevista ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore,

ivi comprese le conseguenze retributive e contributive relative al periodo compreso fra la scadenza

del termine e la pronuncia del provvedimento con il quale il giudice abbia ordinato la ricostituzione

del rapporto di lavoro.

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Art. 4

(Contratto di inserimento)

1. Gli articoli 54, 55, 56, 57, 58 e 59 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive

modificazioni, sono abrogati.

2. Nei confronti delle assunzioni effettuate fino al 31 dicembre 2012, continuano a trovare

applicazione le disposizioni di cui al comma 1, nella formulazione vigente anteriormente alla data

di entrata in vigore della presente legge.

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Art. 5

(Apprendistato)

1. Al decreto legislativo 14 settembre 2011, n. 167, sono apportate le seguenti modifiche:

a) all’articolo 2, comma 1, dopo la lettera a) è inserita la seguente: “a-bis) previsione di una durata

minima del contratto, non inferiore a sei mesi, fatto salvo quanto previsto dall’art. 4, comma 5, del

presente decreto legislativo;”;

b) all’articolo 2, comma 1, lettera m), al primo periodo le parole: “2118 del codice civile.” sono

sostituite dalle seguenti: “2118 del codice civile; nel periodo di preavviso continua a trovare

applicazione la disciplina del contratto di apprendistato.”;

c) all’articolo 2, il comma 3 è sostituito dal seguente, esclusivamente con riferimento alle

assunzioni decorrenti dal 1° gennaio 2013: “3. Il numero complessivo di apprendisti che un datore

di lavoro può assumere, direttamente o indirettamente per il tramite delle agenzie di

somministrazione di lavoro ai sensi dell'articolo 20, commi 3 e 4, del decreto legislativo 10

settembre 2003, n. 276, non può superare il rapporto di 3 a 2 rispetto alle maestranze specializzate e

qualificate in servizio presso il medesimo datore di lavoro. Il datore di lavoro che non abbia alle

proprie dipendenze lavoratori qualificati o specializzati, o che comunque ne abbia in numero

inferiori a tre, può assumere apprendisti in numero non superiore a tre. Le disposizioni di cui al

presente comma non si applica alle imprese artigiane per le quali trovano applicazione le

disposizioni di cui all’articolo 4 della legge 8 agosto 1985, n. 443.

d) all’articolo 2, dopo il comma 3 è inserito il seguente: “3-bis. L’assunzione di nuovi apprendisti è

subordinata alla prosecuzione del rapporto di lavoro al termine del periodo di apprendistato, nei

trentasei mesi precedenti la nuova assunzione, di almeno il cinquanta per cento degli apprendisti

dipendenti dallo stesso datore di lavoro. Dal computo della predetta percentuale sono esclusi i

rapporti cessati per recesso durante il periodo di prova, per dimissioni o per licenziamento per

giusta causa. Gli apprendisti assunti in violazione dei limiti di cui al presente comma sono

considerati lavoratori subordinati a tempo indeterminato, al di fuori delle previsioni del presente

decreto, sin dalla data di costituzione del rapporto.”

3. Per un periodo di trentasei mesi decorrente dalla data di entrata in vigore della presente legge, la

percentuale di cui al primo periodo del comma 3-bis dell’articolo 2 del decreto legislativo 14

settembre 2011, n. 167 è fissata nella misura del trenta per cento.

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Art. 6

(Lavoro a tempo parziale)

1. All’articolo 3 del decreto legislativo 25 febbraio 2000, n. 61, sono apportate le seguenti

modifiche:

a) al comma 7, dopo il n. 3, è aggiunto il seguente:

“4) condizioni e modalità che consentono al lavoratore di richiedere la eliminazione ovvero la

modifica delle clausole flessibili e delle clausole elastiche stabilite ai sensi del presente comma.”.

b) al comma 9, è aggiunto, in fine, il seguente periodo:

“Ferme restando le ulteriori condizioni individuate dai contratti collettivi ai sensi del comma 7, al

lavoratore che si trovi nelle condizioni di cui all’articolo 12-bis ovvero in quelle di cui all’articolo

10, primo comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300, è riconosciuta la facoltà di revocare il

predetto consenso.”.

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Art. 7

(Lavoro intermittente)

1. Al decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni, sono apportate le

seguenti modifiche:

a) al medesimo articolo 34, il comma 2 è abrogato;

b) all’articolo 35 è aggiunto, in fine, il seguente comma: “3-bis. Prima dell’inizio della

prestazione lavorativa il datore di lavoro è tenuto a comunicarne la durata con modalità

semplificate alla Direzione territoriale del lavoro competente per territorio, mediante fax o

posta elettronica certificata. Con decreto di natura non regolamentare del Ministero del

lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro per la pubblica amministrazione e

la semplificazione, da adottarsi entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della

presente legge, sono individuate ulteriori modalità semplificate di comunicazione. In caso di

violazione degli obblighi di cui al presente comma trova applicazione la sanzione

amministrativa da euro 1.000 ad euro 6.000 in relazione a ciascun lavoratore per cui è stata

omessa la comunicazione. Non trova applicazione la procedura di diffida di cui all’articolo

13 del decreto legislativo 23 aprile 2004, n. 124.”;

c) gli articoli 37 e 40 sono abrogati.

2. I contratti di lavoro intermittente già sottoscritti alla data di entrata in vigore della presente legge,

che non siano compatibili con le disposizioni di cui al presente articolo, cessano di produrre effetti

decorsi dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge.

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Art. 8

(Lavoro a progetto)

1. Al decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, sono apportate le seguenti modifiche:

a) il comma 1 dell’articolo 61 è sostituito dal seguente:

“1. Ferma restando la disciplina degli agenti e rappresentanti di commercio, i rapporti di

collaborazione coordinata e continuativa prevalentemente personale senza vincolo di

subordinazione, di cui all’articolo 409 n. 3, del codice di procedura civile, devono essere

riconducibili a uno o più progetti specifici determinati dal committente e gestiti autonomamente dal

collaboratore. Il progetto deve essere funzionalmente collegato a un determinato risultato finale e

non può consistere in una mera riproposizione dell’oggetto sociale del committente, avuto riguardo

al coordinamento con l’organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato

per l’esecuzione dell’attività lavorativa. Il progetto non può comportare lo svolgimento di compiti

meramente esecutivi o ripetitivi, che possono essere individuate dai contratti collettivi stipulati dalle

organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.”;

b) al comma 1 dell’articolo 62, la lettera b) è sostituita dalla seguente:

“b) descrizione del progetto, con individuazione del suo contenuto caratterizzante e del risultato

finale che si intende conseguire”;

c) al comma 1 dell’articolo 67, le parole: “o del programma o della fase di esso” sono soppresse;

d) il comma 2 dell’articolo 67 è sostituito dal seguente:

“2. Le parti possono recedere prima della scadenza del termine per giusta causa. Il committente può

altresì recedere prima della scadenza del termine anche qualora siano emersi profili di inidoneità

professionale del collaboratore tali da rendere impossibile la realizzazione del progetto. Il

collaboratore può recedere prima della scadenza del termine, dandone preavviso, nel caso che tale

facoltà sia prevista nel contratto individuale di lavoro.”;

e) all’articolo 68 e all’articolo 69, comma 1, le parole: “programma di lavoro o fase di esso” sono

soppresse;

f) al comma 2 dell’articolo 69, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: “Salvo prova contraria a

carico del committente, i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, anche a progetto,

sono considerati rapporti di lavoro subordinato sin dalla data di costituzione del rapporto, nel caso

in cui l’attività del collaboratore sia svolta con modalità analoghe a quella svolta dai lavoratori

dipendenti dell’impresa committente, fatte salve le prestazioni di elevata professionalità che

possono essere individuate dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali

comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.”;

2. L’articolo 69, comma 1, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, si interpreta nel senso

che l’individuazione di uno specifico progetto costituisce elemento essenziale di validità del

rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, la cui mancanza determina la costituzione di

un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.

3. Le disposizioni di cui al presente articolo trovano applicazione per i contratti di collaborazione

stipulati successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge.

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Art. 9

(Altre prestazioni lavorative rese in regime di lavoro autonomo)

1. Al Capo I, Titolo VII, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, dopo l’articolo 69 è

aggiunto il seguente:

“Articolo 69-bis.

(Altre prestazioni lavorative rese in regime di lavoro autonomo)

1. Le prestazioni lavorative rese da persona titolare di posizione fiscale ai fini dell’imposta sul

valore aggiunto sono considerate, salvo che sia fornita prova contraria da parte del committente,

rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, qualora ricorrano almeno due dei seguenti

presupposti:

a) che la collaborazione abbia una durata complessivamente superiore ad almeno sei mesi

nell’arco dell’anno solare;

b) che il corrispettivo derivante da tale collaborazione, anche se fatturato a più soggetti

riconducibili al medesimo centro d’imputazione di interessi, costituisca più del

settantacinque per cento dei corrispettivi complessivamente percepiti dal collaboratore

nell’arco dello stesso anno solare;

c) che il collaboratore disponga di una postazione di lavoro presso una delle sedi del

committente.

2. La presunzione di cui al comma 1, che determina l’integrale applicazione della disciplina del

presente Capo, ivi compresa la disposizione dell’articolo 69, comma 1, trova applicazione con

riferimento ai rapporti instaurati successivamente all’entrata in vigore della presente disposizione.

Per i rapporti in corso a tale data, al fine di consentire gli opportuni adeguamenti, le predette

disposizioni si applicano decorsi dodici mesi dall’entrata in vigore della presente legge.

3. Quando la prestazione lavorativa di cui al comma 1 si configura come collaborazione coordinata

e continuativa, gli oneri contributivi derivanti dall’obbligo di iscrizione alla gestione separata

dell’Inps in forza dell’articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, sono a carico per

due terzi del committente e per un terzo del collaboratore, il quale, nel caso in cui la legge gli

imponga l’assolvimento dei relativi obblighi di pagamento, avrà il relativo diritto di rivalsa nei

confronti del committente.”.

4. La disposizione di cui alla prima parte del primo periodo del comma 3 dell’articolo 61 del

decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, si interpreta nel senso che l’esclusione dal campo di

applicazione del Capo I del Titolo VII del medesimo decreto riguarda le sole collaborazioni

coordinate e continuative il cui contenuto concreto sia riconducibile alle attività professionali

intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali. In caso

contrario, l’iscrizione del collaboratore ad albi professionali non è circostanza idonea di per sé a

determinare l’esclusione dal campo di applicazione del presente Capo.

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Art. 10

(Associazione in partecipazione con apporto di lavoro)

1. All’articolo 2549 del codice civile è aggiunto, in fine, il seguente comma:

“Qualora il conferimento dell’associato consista anche in una prestazione di lavoro, il numero degli

associati impegnati in una medesima attività non può essere superiore a tre, indipendentemente dal

numero degli associanti, con l’unica eccezione in cui gli associati siano legati da rapporto

coniugale, di parentela entro il terzo grado o di affinità entro il secondo. In caso di violazione del

divieto di cui al presente comma, il rapporto con tutti gli associati si considera di lavoro subordinato

a tempo indeterminato.”.

2. I rapporti di associazione in partecipazione con apporto di lavoro instaurati o attuati senza che vi

sia stata un’effettiva partecipazione dell’associato agli utili dell’impresa o dell’affare, ovvero senza

consegna del rendiconto previsto dall’articolo 2552 del codice civile, si presumono, salva prova

contraria, rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato.

3. L’articolo 86, comma 2, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, è abrogato.

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Art. 11

(Lavoro accessorio)

1. Al decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, sono apportate le seguenti modifiche:

a) l’articolo 70 è sostituito dal seguente:

“Articolo 70

(Definizione e campo di applicazione)

1. Per prestazioni di lavoro accessorio si intendono attività lavorative di natura meramente

occasionale che non danno luogo, con riferimento alla totalità dei committenti, a compensi

superiori a 5.000 euro nel corso di un anno solare, annualmente rivalutati sulla base della

variazione annuale dell'indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie degli operai e degli

impiegati intercorsa nell’anno precedente. Sono escluse dal ricorso al lavoro accessorio le

prestazioni rese nei confronti di committenti imprenditori commerciali o professionisti.

2. Le prestazioni di cui al comma 1 possono comunque essere rese nell’ambito di attività

agricole di carattere stagionale svolte anche in forma imprenditoriale.

3. Il ricorso a prestazioni di lavoro accessorio da parte di un committente pubblico è

consentito nel rispetto dei vincoli previsti dalla vigente disciplina in materia di contenimento

delle spese di personale e, ove previsto, dal patto di stabilità interno.

4. I compensi percepiti dal lavoratore secondo le modalità di cui all’articolo 72 sono

computati ai fini della determinazione del reddito necessario per il rilascio o il rinnovo del

permesso di soggiorno.”

b) all’articolo 72, comma 4, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, dopo il primo

periodo è aggiunto il seguente:

“La percentuale relativa al versamento dei contributi previdenziali è rideterminata con

decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali in funzione degli incrementi delle

aliquote contributive per gli iscritti alla gestione separata dell’Inps.”.

2. Resta fermo l’utilizzo, secondo la previgente disciplina, dei buoni già richiesti al momento

dell’entrata in vigore della presente legge e comunque non oltre il 31 maggio 2013.

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Art. 12

(Tirocini formativi)

1. Il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente

legge, con le modalità di cui al comma 90 dell’articolo 1 della legge 24 dicembre 2007, n. 247, e

successive modificazioni, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto

con il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, d’intesa con la Conferenza

Permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, uno o

più decreti legislativi finalizzati ad individuare principi fondamentali e requisiti minimi dei tirocini

formativi e di orientamento, nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:

a) revisione della disciplina dei tirocini formativi, anche in relazione alla valorizzazione di

altre forme contrattuali a contenuto formativo;

b) previsione di azioni e interventi volti a prevenire e contrastare un uso distorto dell’istituto,

anche attraverso la puntuale individuazione delle modalità con cui il tirocinante presta la

propria attività;

c) individuazione degli elementi qualificanti del tirocinio e degli effetti conseguenti alla loro

assenza, anche attraverso la previsione di sanzioni amministrative, in misura variabile da

mille a seimila euro, in conformità alle disposizioni della legge 24 novembre 1981, n. 689;

d) previsione di non assoluta gratuità del tirocinio, attraverso il riconoscimento di una

indennità, anche in forma forfetaria, in relazione alla prestazione svolta.

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Capo III

Disciplina in tema di flessibilità in uscita e tutele del lavoratore

Sezione I – Disposizioni in materia di licenziamenti individuali

Art. 13

(Modifiche alla legge 15 luglio 1966, n. 604)

1. Il secondo comma dell’articolo 2, della legge 15 luglio 1966, n. 604, è sostituito dal seguente:

“La comunicazione del licenziamento deve contenere la specificazione dei motivi che lo hanno

determinato.”.

2. Al secondo comma dell’articolo 6, della legge 15 luglio 1966, n. 604, come modificato

dall’articolo 32, comma 1, della legge 4 novembre 2010, n. 183, la parola “duecentosettanta” è

sostituita dalla seguente: “centottanta”.

3. Il termine di cui al comma 2 trova applicazione in relazione ai licenziamenti intimati dopo la

data di entrata in vigore della presente legge.

4. L’articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, è sostituito dal seguente:

“Ferma l’applicabilità, per il licenziamento per giusta causa e per giustificato motivo soggettivo,

dell’articolo 7 della legge 20 maggio 1970, n. 300, il licenziamento per giustificato motivo

oggettivo di cui all’articolo 3, seconda parte, della legge 15 luglio 1966, n. 604, qualora disposto da

un datore di lavoro avente i requisiti dimensionali di cui all’articolo 18, nono comma, della legge 20

maggio 1970, n. 300, come modificato dalla legge recante “Disposizioni in materia di riforma del

mercato del lavoro in una prospettiva di crescita’, deve essere preceduto da una comunicazione

effettuata dal datore di lavoro alla Direzione territoriale del lavoro del luogo dove il lavoratore

presta la sua opera, e trasmessa per conoscenza al lavoratore.

Nella comunicazione di cui al primo comma, il datore di lavoro deve dichiarare l’intenzione di

procedere al licenziamento per motivo oggettivo e indicare i motivi del licenziamento medesimo

nonché le eventuali misure di assistenza alla ricollocazione del lavoratore interessato.

La Direzione territoriale del lavoro convoca il datore di lavoro e il lavoratore nel termine perentorio

di sette giorni dalla ricezione della richiesta: l’incontro si svolge dinanzi alla Commissione

provinciale di conciliazione di cui all’articolo 410 del codice di procedura civile.

Le parti possono essere assistite dalle organizzazioni di rappresentanza cui sono iscritte o

conferiscono mandato oppure da un componente della rappresentanza sindacale dei lavoratori,

ovvero da un avvocato o un consulente del lavoro.

La procedura di cui al presente articolo, durante la quale le parti, con la partecipazione attiva della

Commissione di cui al comma 3, procedono ad esaminare anche soluzioni alternative al recesso, si

conclude entro venti giorni dal momento in cui la Direzione territoriale del lavoro ha trasmesso la

convocazione per l’incontro, fatta salva l’ipotesi in cui le parti, di comune avviso, non ritengano di

proseguire la discussione finalizzata al raggiungimento di un accordo. Se fallisce il tentativo di

conciliazione e, comunque, decorso il termine di cui al comma 3, il datore di lavoro può comunicare

il licenziamento al lavoratore.

Se la conciliazione ha esito positivo e prevede la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro,

trova applicazione l’articolo 23, comma 2, della legge recante “Disposizioni in materia di riforma

del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita” e può essere previsto, al fine di favorirne la

ricollocazione professionale, l’affidamento del lavoratore ad un’agenzia di cui all’articolo 4, primo

comma, lettere a) e b), del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276.

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Il comportamento complessivo delle parti, desumibile anche dal verbale redatto in sede di

Commissione provinciale di conciliazione e dalla proposta conciliativa avanzata dalla stessa, è

valutato dal giudice per la determinazione dell’indennità risarcitoria di cui all’articolo 18, comma

ottavo, della legge 20 maggio 1970, n. 300, e per l'applicazione degli articoli 91 e 92 del codice di

procedura civile.”.

18

Art. 14

(Tutele del lavoratore in caso di licenziamento illegittimo)

1. All’articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300 sono apportate le seguenti modifiche:

a) la rubrica è sostituita con la seguente: “Tutela del lavoratore in caso di licenziamento

illegittimo”;

b) i commi dal primo al sesto sono sostituiti dai seguenti:

“Il giudice, con la sentenza con la quale dichiara la nullità del licenziamento perché discriminatorio

ai sensi dell’articolo 3 della legge 11 maggio 1990, n. 108, ovvero intimato in concomitanza col

matrimonio ai sensi dell’articolo 35 del decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, o in violazione

dei divieti di licenziamento di cui all’articolo 54, commi 1, 6, 7 e 9, del decreto legislativo 26 marzo

2001, n. 151, ovvero perché riconducibile ad altri casi di nullità previsti dalla legge o determinato

da un motivo illecito determinante ai sensi dell’articolo 1345 del codice civile, ordina al datore di

lavoro, imprenditore o non imprenditore, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro,

indipendentemente dal motivo formalmente addotto e quale che sia il numero dei dipendenti

occupati dal datore di lavoro. La presente disposizione si applica anche ai dirigenti. A seguito

dell’ordine di reintegrazione, il rapporto di lavoro si intende risolto quando il lavoratore non abbia

ripreso servizio entro trenta giorni dall’invito del datore di lavoro, salvo il caso in cui abbia

richiesto l’indennità di cui al terzo comma del presente articolo. Il regime di cui al presente articolo

si applica anche al licenziamento dichiarato inefficace perché intimato in forma orale.

Il giudice, con la sentenza di cui al primo comma, condanna altresì il datore di lavoro al

risarcimento del danno subito dal lavoratore per il licenziamento di cui sia stata accertata la nullità,

stabilendo a tal fine un’indennità commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto maturata dal

giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto percepito, nel

periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative. In ogni caso la misura del

risarcimento non potrà essere inferiore a cinque mensilità della retribuzione globale di fatto. Il

datore di lavoro è condannato inoltre, per il medesimo periodo, al versamento dei contributi

previdenziali e assistenziali.

Fermo restando il diritto al risarcimento del danno come previsto al secondo comma, al lavoratore è

data la facoltà di chiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel posto di

lavoro, un’indennità pari a quindici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, la cui

richiesta determina la risoluzione del rapporto di lavoro, e che non è assoggettata a contribuzione

previdenziale. La richiesta dell’indennità deve essere effettuata entro trenta giorni dalla

comunicazione del deposito della sentenza, o dall’invito del datore di lavoro a riprendere servizio,

se anteriore alla predetta comunicazione.

Il giudice, nelle ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo

soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, per insussistenza dei fatti contestati

ovvero perché il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle

previsioni della legge, dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili, annulla il

licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro di cui al primo

comma e al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di

fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto il

lavoratore ha percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative,

nonché quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova

occupazione. In ogni caso la misura dell’indennità risarcitoria non potrà essere superiore a dodici

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mensilità della retribuzione globale di fatto. Il datore di lavoro è condannato, altresì, al versamento

dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello della effettiva

reintegrazione, maggiorati degli interessi nella misura legale senza applicazione di sanzioni per

omessa o ritardata contribuzione, per un importo pari al differenziale contributivo esistente tra la

contribuzione che sarebbe stata maturata nel rapporto di lavoro risolto dall’illegittimo licenziamento

e quella accreditata al lavoratore in conseguenza dello svolgimento di altre attività lavorative. In

quest’ultimo caso, qualora i contributi afferiscano ad altra gestione previdenziale, essi sono imputati

d’ufficio alla gestione corrispondente all’attività lavorativa svolta dal dipendente licenziato, con

addebito dei relativi costi al datore di lavoro. A seguito dell’ordine di reintegrazione, il rapporto di

lavoro si intende risolto quando il lavoratore non abbia ripreso servizio entro trenta giorni

dall’invito del datore di lavoro, salvo il caso in cui abbia richiesto l’indennità sostitutiva della

reintegrazione nel posto di lavoro ai sensi del terzo comma.

Il giudice, nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo

soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, dichiara risolto il rapporto di lavoro con

effetto dalla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità

risarcitoria onnicomprensiva determinata tra un minimo di dodici e un massimo di ventiquattro

mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, in relazione all’anzianità del lavoratore e tenuto

conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell’attività economica, del

comportamento e delle condizioni delle parti, con onere di specifica motivazione a tale riguardo.

Nell’ipotesi in cui il licenziamento sia dichiarato inefficace per violazione del requisito di

motivazione di cui all’articolo 2, secondo comma, della legge 15 luglio 1966, n. 604, della

procedura di cui all’articolo 7 della legge 20 maggio 1970, n. 300, o della procedura di cui

all’articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, si applica il regime di cui al quinto comma, ma con

attribuzione al lavoratore di un’indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata, in relazione alla

gravità della violazione formale o procedurale commessa dal datore di lavoro, tra un minimo di sei

e un massimo di dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, con onere di specifica

motivazione a tale riguardo, a meno che il giudice, sulla base della domanda del lavoratore, accerti

che vi è anche un difetto di giustificazione del licenziamento, nel qual caso applica, in luogo di

quelle previste dal presente comma, le tutele di cui ai commi quarto, quinto o sesto.

Il giudice applica la medesima disciplina di cui al quarto comma del presente articolo nell’ipotesi in

cui accerti il difetto di giustificazione del licenziamento intimato, anche ai sensi dell’articolo 4,

comma 4, e 10, comma 3, della legge 12 marzo 1999, n. 68, per motivo oggettivo consistente

nell’inidoneità fisica o psichica del lavoratore, ovvero che il licenziamento è stato intimato in

violazione dell’articolo 2110, secondo comma, del codice civile. Può altresì applicare la predetta

disciplina nell’ipotesi in cui accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del

licenziamento per giustifico motivo oggettivo; nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli

estremi del predetto giustificato motivo, il giudice applica la disciplina di cui al quinto comma. In

tale ultimo caso il giudice, ai fini della determinazione dell’indennità tra il minimo e il massimo

previsti, tiene conto, oltre ai criteri di cui al sesto comma, delle iniziative assunte dal lavoratore per

la ricerca di una nuova occupazione e del comportamento delle parti nell’ambito della procedura di

cui all’articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604. Qualora, nel corso del giudizio, sulla base della

domanda formulata dal lavoratore, il licenziamento risulti determinato da ragioni discriminatorie o

disciplinari, trovano applicazione le relative tutele previste dal presente articolo.

Le disposizioni dal comma quarto al comma settimo si applicano al datore di lavoro, imprenditore o

non imprenditore, che in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha

avuto luogo il licenziamento occupa alle sue dipendenze più di quindici lavoratori o più di cinque se

trattasi di imprenditore agricolo, nonché al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, che

20

nell’ambito dello stesso comune occupa più di quindici dipendenti ed all’impresa agricola che nel

medesimo ambito territoriale occupa più di cinque dipendenti, anche se ciascuna unità produttiva,

singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti, e in ogni caso al datore di lavoro, imprenditore

e non imprenditore, che occupa più di sessanta dipendenti.

Ai fini del computo del numero dei dipendenti di cui all’ottavo comma si tiene conto dei lavoratori

assunti con contratto a tempo indeterminato parziale per la quota di orario effettivamente svolto,

tenendo conto, a tale proposito, che il computo delle unità lavorative fa riferimento all’orario

previsto dalla contrattazione collettiva del settore. Non si computano il coniuge ed i parenti del

datore di lavoro entro il secondo grado in linea diretta e in linea collaterale. Il computo dei limiti

occupazionali di cui al nono comma non incide su norme o istituti che prevedono agevolazioni

finanziarie o creditizie.

Nell’ipotesi di revoca del licenziamento, purché effettuata entro il termine di quindici giorni dalla

comunicazione al datore di lavoro dell’impugnazione del medesimo, il rapporto di lavoro si intende

ripristinato senza soluzione di continuità, con diritto del lavoratore alla retribuzione maturata nel

periodo precedente alla revoca, e non trovano applicazione i regimi sanzionatori previsti dal

presente articolo.”.

2. Alla legge 4 novembre 2010, n. 183, articolo 30, comma 1, in fine, è aggiunto il seguente

periodo: “L’inosservanza delle disposizioni di cui al precedente periodo, in materia di limiti al

sindacato di merito sulle valutazioni tecniche, organizzative e produttive che competono al datore di

lavoro, costituisce motivo di impugnazione per violazione di norme di diritto”.

21

Sezione II – Disposizioni in materia di licenziamenti collettivi

Art. 15

(Modifiche alla legge 23 luglio 1991, n. 223)

1. All’articolo 4, comma 9, della legge 23 luglio 1991, n. 223, al secondo periodo, la parola:

“Contestualmente” è sostituita dalle seguenti: “Entro sette giorni dalla comunicazione dei recessi”.

2. All’articolo 4, comma 12, della legge 23 luglio 1991, n. 223, è aggiunto, in fine, il seguente

periodo: “Gli eventuali vizi della comunicazione di cui al comma 2 del presente articolo possono

essere sanati, ad ogni effetto di legge, nell’ambito di un accordo sindacale concluso nel corso della

procedura di licenziamento collettivo”.

3. L’articolo 5, comma 3, della legge 23 luglio 1991, n. 223, è sostituito dal seguente: “Qualora il

licenziamento sia intimato senza l’osservanza della forma scritta, si applica il regime sanzionatorio

di cui all’art. 18, primo comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300. In caso di violazione delle

procedure richiamate all’art. 4, comma 12, si applica il regime di cui al settimo comma del predetto

articolo 18. In caso di violazione dei criteri di scelta previsti dal comma 1, si applica il regime di cui

al quarto comma del medesimo articolo 18. Ai fini dell’impugnazione del licenziamento trovano

applicazione le disposizioni di cui all’articolo 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604”.

22

Sezione III – Rito speciale per le controversie in tema di licenziamenti

Art. 16

(Ambito di applicazione)

1. Le disposizioni della presente sezione si applicano alle controversie aventi ad oggetto

l’impugnativa dei licenziamenti nelle ipotesi regolate dall’articolo 18 della legge 20 maggio

1970, n. 300 e successive modificazioni, anche quando devono essere risolte questioni relative

alla qualificazione del rapporto di lavoro.

23

Art. 17

(Tutela urgente)

1. La domanda si propone con ricorso al Tribunale in funzione di giudice del lavoro. Il ricorso

deve avere i requisiti di cui all’articolo 125 del codice di procedura civile. Con il ricorso non

possono essere proposte domande diverse da quelle di cui all’articolo 16, salvo che siano

fondate sugli identici fatti costitutivi. A seguito della presentazione del ricorso il giudice fissa

l’udienza di comparizione delle parti, con decreto da notificarsi a cura del ricorrente, anche a

mezzo di posta elettronica certificata.

2. L’udienza di comparizione deve essere fissata non oltre trenta giorni dal deposito del ricorso. Il

giudice, sentite le parti e omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel

modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione indispensabili richiesti dalle parti o

disposti d’ufficio e provvede, con ordinanza immediatamente esecutiva, all’accoglimento o al

rigetto della domanda.

3. L’efficacia esecutiva del provvedimento di cui al comma 2 non può essere sospesa o revocata

fino alla pronuncia della sentenza con cui il giudice definisce il giudizio instaurato ai sensi

dell’articolo 18.

24

Art. 18

(Opposizione)

1. Contro l’ordinanza di accoglimento o di rigetto di cui all’articolo 17, comma 2, può essere

proposta opposizione con ricorso contenente i requisiti di cui all’articolo 414 del codice di

procedura civile, da depositare innanzi al Tribunale che ha emesso il provvedimento opposto

entro trenta giorni dalla notificazione dello stesso, o dalla comunicazione se anteriore. Con il

ricorso non possono essere proposte domande diverse da quelle di cui all’articolo 16, salvo che

siano fondate sugli identici fatti costitutivi o siano svolte nei confronti di soggetti rispetto ai

quali la causa è comune o dai quali si intende essere garantiti. Il giudice fissa con decreto

l’udienza di discussione non oltre i successivi sessanta giorni, assegnando all’opposto termine

per costituirsi fino a dieci giorni prima dell’udienza.

2. Il ricorso, unitamente al decreto di fissazione dell'udienza, deve essere notificato, anche a mezzo

di posta elettronica certificata, dall’opponente all’opposto almeno trenta giorni prima della data

fissata per la sua costituzione.

3. L’opposto deve costituirsi mediante deposito in cancelleria di memoria difensiva a norma e con

le decadenze di cui all’articolo 416 del codice di procedura civile. Se l’opposto intende

chiamare un terzo in causa deve, a pena di decadenza, farne dichiarazione nella memoria

difensiva.

4. Nel caso di chiamata in causa a norma degli articoli 102, secondo comma, 106 e 107 del codice

di procedura civile, il giudice fissa una nuova udienza entro i successivi sessanta giorni, e

dispone che siano notificati al terzo, ad opera delle parti, il provvedimento nonché il ricorso

introduttivo e l'atto di costituzione dell’opposto, osservati i termini di cui al comma 2.

5. Il terzo chiamato deve costituirsi non meno di dieci giorni prima dell'udienza fissata,

depositando la propria memoria a norma del comma 3.

6. Quando la causa relativa alla domanda riconvenzionale non è fondata su fatti costitutivi identici

a quelli posti a base della domanda principale il giudice ne dispone la separazione.

7. All’udienza, il giudice, sentite le parti, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio,

procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione ammissibili e rilevanti richiesti

dalle parti nonché disposti d'ufficio, ai sensi dall'articolo 421 del codice di procedura civile, e

provvede con sentenza all'accoglimento o al rigetto della domanda, dando, ove opportuno,

termine alle parti per il deposito di note difensive fino a dieci giorni prima dell’udienza di

discussione. La sentenza, completa di motivazione, deve essere depositata in cancelleria entro

dieci giorni dall’udienza di discussione. La sentenza è provvisoriamente esecutiva e costituisce

titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale.

25

Art. 19

(Reclamo e ricorso per cassazione)

1. Contro la sentenza che decide sul ricorso è ammesso reclamo davanti alla Corte d'appello entro

trenta giorni dalla comunicazione, o dalla notificazione se anteriore.

2. Non sono ammessi nuovi mezzi di prova o documenti, salvo che il collegio, anche d'ufficio, li

ritenga indispensabili ai fini della decisione ovvero la parte dimostri di non aver potuto proporli

in primo grado per causa ad essa non imputabile.

3. La Corte d'appello fissa con decreto l’udienza di discussione nei successivi sessanta giorni e si

applicano i termini previsti dai commi 1, 2 e 3 dell’articolo 18. Alla prima udienza, la Corte può

sospendere l’efficacia della sentenza reclamata se ricorrono gravi motivi. La Corte

d’appello, sentite le parti, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel

modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione ammessi e provvede con sentenza

all'accoglimento o al rigetto della domanda, dando, ove opportuno, termine alle parti per il

deposito di note difensive fino a dieci giorni prima dell’udienza di discussione. La sentenza,

completa di motivazione, deve essere depositata in cancelleria entro dieci giorni dall’udienza di

discussione.

4. In mancanza di comunicazione o notificazione della sentenza si applica l’articolo 327 del codice

di procedura civile.

5. Il ricorso per cassazione contro la sentenza deve essere proposto, a pena di decadenza, entro

sessanta giorni dalla comunicazione della stessa, o dalla notificazione se anteriore. La

sospensione dell’efficacia della sentenza deve essere chiesta alla Corte d’appello, che provvede

a norma del comma 3.

6. La Corte fissa l’udienza di discussione non oltre sei mesi dalla proposizione del ricorso.

7. In mancanza di comunicazione o notificazione della sentenza si applica l’articolo 327 del codice

di procedura civile.

26

Art. 20

(Priorità nella trattazione delle controversie)

1. Alla trattazione delle controversie regolate dagli articoli da 16 a 19 devono essere riservati

particolari giorni nel calendario delle udienze.

27

Art. 21

(Disciplina transitoria)

1. Gli articoli da 16 a 20 si ap


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