Lo Stracquadanio pensiero: è tutta colpa di Cialente

08 Luglio 2010   15:08  

Il più fiero berlusconiano dei berlusconiani, l'onorevole Giorgio Clelio Stracquadanio pubblica sul suo blog il Predellino, l'intervento di Alessandro De Angelis, giornalista del Riformista, aquilano, ad un recente convegno sulla ricostruzione all'Aquila. Un intervento che da forza alla ricostruzione dei fatti aquilani e della manifestazione di ieri fatta dallo stesso onorevole ieri alla Camera, così riassumibile: se ci sono cose che non vanno a L'Aquila è colpa del sindaco Massimo Cialente, definito irresposabile perchè porta i cittadni a protestare a Roma, il governo ed ergo Silvio Berlusconi ha fatto tutto quello che andava fatto, ''offrendo all'Aquila una vocazione che non aveva più o che aveva perso perché quella era una città che stava morendo, indipendentemente dal terremoto ed il terremoto ne ha certificato la morte civile''. Il governo insomma ha fatto un miracolo ergo ''siamo noi che dobbiamo andare all'Aquila a manifestare contro di loro e non il contrario.''

La colpa è di Cialente, la sua è una gestione opaca della ricostruzione
di Alessandro De Angelis

'' Cari amici, non so se succede anche a voi, ma andando in giro per la città ho una sensazione di inquietudine. Per dirla con un verso di Flaubert: “L'avvenire ci tormenta e il passato ci trattiene”. La sento ovunque, a ogni angolo della città e della memoria. Ebbene, alla radice del problema che il verso di Flaubert evoca ci sono delle motivazioni e delle responsabilità tutte politiche.

È ora di indicarle, a costo di essere politicamente scorretti. Il problema è il presente, questo presente. Perché è un problema? Perché il futuro non riusciamo a guardarlo a causa di fenomeni morbosi, gravi, indecenti, vergognosi. Che riguardano la politica. E nell’ordine sono: mancanza di una operazione verità su quel che è successo, mancanza di una idea di città e di ricostruzione (l’interregno, appunto), la mancanza di una classe dirigente all’altezza, di una guida politica in grado di indicare una prospettiva d’avvenire.

E qui credo che il cuore del problema sia l’inadeguatezza e la gestione opaca di alcuni capitoli della ricostruzione da parte di sindaco e presidente della regione. Vado con ordine.

1) Che immagine politica ci ha consegnato il terremoto? In Abruzzo non sono crollate solo le Cupole delle chiese, o i presepi di montagna. È crollato lo Stato. Non un edificio che lo rappresenti stava in piedi: Comune, Provincia, Regione, prefettura, catasto, casa dello studente, ospedale. Non c’è un simbolo della religione civile della modernità in piedi.

Lo Stato è arrivato col governo Berlusconi, con Napolitano, con la protezione civile. Lo scarto di azione tra gli enti locali è il governo è stato clamoroso. È emersa, in Abruzzo, l’assenza di una politica, sotto le macerie. Di più. È emersa una politica miope e colpevole.

La traccia del ragionamento l’ha fornita, nella sua intensa visita a pochi giorni dal dramma, Giorgio Napolitano. Nel parlare del “dopo” e dell’”altro dopo” - che poi sarebbe l’oggi – il capo dello Stato ha rivolto un monito duro, durissimo a tutta la classe politica: “Deve esserci un esame di coscienza che non conosca coloriture politiche”. Di fronte al crollo di una città e a quello dello Stato abruzzese suona come una severa accusa: “Un esponente dell’opposizione ha detto che nessuno è senza colpa. In questo, credo avesse ragione. Si tratta di capire perché le norme di legge non sono state attuate, per difetto di controlli e per irresponsabilità diffuse”

Tutti colpevoli, dunque. La memoria torna alle parole di Pertini dopo l’Irpinia. All’Aquila, in Abruzzo, il “dopo”, a un anno dal sisma, non è immaginabile senza una profonda operazione verità sul recente passato. L’esame di coscienza non c’è stato. Questo terremoto è stato l’8 settembre di una classe dirigente. Il re non scappa a Pescara, ma tutta la classe politica balbetta. E fugge dalle sue responsabilità. La magistratura farà le inchieste.

Ma la politica deve, deve, promuovere una operazione verità. Quella chiesta dal capo dello Stato. Invece sta facendo vergognosa, un’amnistia mascherata, all’insegna del “tutti coinvolti, tutti assolti”. C’è per caso una contrapposizione destra, centro sinistra sui crolli? No, perché la paura è bipartisan. Si tace in modo omertoso. Io non credo alla storia scritta dai giudici e non credo che i giudici, nell’assenza di uno spirito pubblico consapevole, si assumano la responsabilità di andare fino in fondo.

La politica risponda. Sul “perché” – anche all’Aquila – il mito del mattone si è congiunto con quello delle mani libere da regole; o sul perché la direzione dei lavori di un ospedale la cui costruzione è durata trent’anni ha forse risposto più alle ditte succedutesi nel valzer degli appalti che al committente (e qui se volete avrei molti da dire, querela); o sul perché a Pettino si è costruito su una faglia sismica; o sul perché tutti sapevano che la casa dello studente poteva essere una tomba e nessuno parlava.

O sul perché il rapporto di Franco Barberi, capo della protezione civile alla fine degli anni ’90, sia rimasto lettera morta, come ha denunciato Iacona: avete visto il balbettio di Tempesta, Pace? E non solo loro. Sul perché non c’è stata prevenzione. Diciamoci la verità. Come mostrano i dati dei soldi stanziati sulla protezione civile, sul bilancio del Comune e della Regione.

Il ragionamento che si è fatto in questi anni è stato questo: mettiamo i soldi sulle strade, tanto non succede niente. E così di fronte alle catastrofi più che la prevenzione c’è il Padreterno, per chi ci crede.

Su tutto questo forse ci saranno risposte. Ma il punto è: secondo voi si ricostruisce una comunità solo col calcestruzzo o pure con la verità? Chiedo ai politici locali: con che cosa lo impastiamo questo calcestruzzo? Io ho la sensazione che la colla siano, ancora, le menzogne. Io ho la sensazione che un anno dopo Napolitano potrebbe ripetere le stesse parole di un anno fa. E questo è il primo punto.

2) E qui veniamo al secondo punto. È difficile su queste basi, che ci possa essere un’idea di città, che infatti non c’è. Mi è venuto un brivido lungo la schiena quando ho visto il sindaco a Porta a Porta, a un anno dal sisma. Quando a domanda di Vespa: “Ce l’ha un’idea di città?” ha risposto: “Me la sto facendo”. Ora? Un anno dopo. Anzi dopo un anno in cui ha detto di tutto? Vi ricordate quando annunciò che avrebbe portato Fuksas e architetti famosi in una intervista in cui rimpiangeva i tramonti a vicolo san Martino?

Poi la compiacenza al governo, poi le carriole…. Poi a Porta a porta ha promesso che in sei mesi si accederà a Santa Maria di Roio. Ne mancano quattro… e la zona rossa è un’incognita…. Uno spettacolo francamente indecente. La verità è che il sindaco un’idea collettiva di città non ce l’ha. Ma in questi mesi si è mosso, eccome, per fare alcune operazioni che gli stavano a cuore. Lì invece aveva le idee chiare.

Poiché chi governa non ha un’idea di città, oggi il dibattito è tra chi rivuole l’Aquila com’era, dov’era (curia, intellettuali, cittadini) e alcuni intellettuali come Alessadro Clementi, Giancarlo De Amicis e Walter Cavalieri che vogliono trasformare la ricostruzione in una rifondazione con pensieri innovativi. È questa la via, trasformare una sventura in una opportunità. Ma la rifondazione la politica non l’ha ancora pensata. Perché?

Perché non aveva le idee chiare prima. Il punto è che il “dopo” non si vede oggi perché non si vedeva nemmeno il prima. Il ciclo politico di Remo Gaspari basato sulla dilatazione del deficit e l’elefantiasi della pubblica amministrazione ha rappresentato un keynesismo clientelare che ha tenuto l’economia e garantito alla Dc una riserva di voti. Non era una mission, era la degenerazione della questione meridionale.

Con l’ingresso in Europa non poteva tenere. Chi è venuto dopo però - il centrosinistra guidato da Falconio (1995-2000), il centrodestra guidato da Giovanni Pace (2000-2005), poi Del Turco e Giovanni Chiodi - non ha avuto la capacità di tracciare una missione per l’Abruzzo. Del Turco ci ha provato, e le lobby sanitarie lo hanno fatto fuori. La politica si è piegata alle lobby e nessuno ha spiegato il ruolo che doveva assumere l’Abruzzo, nel Mezzogiorno e nell’Italia di oggi.

Lo stesso vale per il Comune dell’Aquila, molto poco europeo e più vicino a quel paese della Basilicata che uno studioso analizzò per mettere a punto la categoria del familismo amorale, dove attorno a tanti progetti delle meraviglie la classe politica si è accapigliata attorno agli affari più che a un’idea di città. E in questi anni non si è capito quale fosse la missione dell’Aquila.

Dismesso il polo elettronico e il suo tessuto industriale, e in assenza di una politica del turismo, L’Aquila non ha investito sulla sua vocazione universitaria. Metà dei morti nelle case del centro sono studenti, l’ottanta per cento dell’Ateneo è a terra. E la città – che doveva essere universitaria – registra il fallimento della sua prima azienda, l’Università appunto.

Al primo consiglio di amministrazione ……. Nomina dottori di ricerca, il sisma solo al terzo punto all’ordine del giorno. Ora qualcuno sogna le tute blu mentre nessuno investe su una moderna Harward, e dire che la Gelmini su questo aveva le idee chiare. Questa è la mission. A vedere i dati della Cassa integrazione. Edilizia, commercio….. Dramma sociale e esodo silenzioso.

Guardate che l’Aquila prima del sisma era una città morta in attesa di funerale. La città prima del 6 aprile era una città in piena crisi occupazionale, un’economia di tipo parassitario, una città sciatta e mal tenuta, piena di opere incompiute – a proposito la metropolitana prima osteggiata poi appoggiata dalla sinistra chi la paga oggi? – una città con un traffico congestionato, un corso mal illuminato, esercizi chiusi nei giorni festivi, randagismo e vandalismo.

La mission, dunque non c’era prima e non c’è oggi. E non c’erano, e non ci sono partiti radicati nella società che abbiano provato a far diventare cittadini europei gli abruzzesi passati così dal vassallaggio a Gaspari a quello imposto oggi. Il terremoto ha solo squarciato il velo sul fallimento della classe dirigente. E le reazioni a caldo di sindaco, del presidente della Regione, sono davvero da “senza vergogna”.

Il sindaco Massimo Cialente, che una volta flirtava quasi con Rifondazione si è messo sotto l’ombrello di Berlusconi: “Nessun imbarazzo – ha detto al Messaggero - a collaborare col Pdl. Condivido l’approccio del premier e del ministro delle Finanze che si basa sull’idea che la ricostruzione del tessuto umano e di quello economico devono procedere insieme”. Erano i tempi del “Caro Gianni” e “caro Giulio”.

Oggi è in piazza contro Giulio. Lolli definì Berlusconi un “genio” in un’intervista a Luca Telese, mentre il figlio capitanava la rivolta del comitato 3 e 32. Aplomb istituzionale, forse. Poi in piazza a Montecitorio con la Fiom e i Cobas, Cremaschi e Bernocchi – gente che non sa neanche dove sta l’Aquila – contro Tremonti. Mentre si perdeva tempo con i professionisti della protesta Berlusconi ha fatto le case e vinto le elezioni.

O forse il Comune, quando partiranno le inchieste, è l’istituzione che dovrà dare più di una risposta: sui controlli antisismici, sui soldi stanziati sulla protezione civile. Quindi meglio non alzare polveroni. Pure il presidente della Regione Chiodi, è fuggito su Marte: ”Se lo avessi saputo, non mi sarei candidato” ha detto a Libero.
Al momento della responsabilità arriva il peggio. Comportamenti opachi. Purtroppo la logica della cricca che si annidano sotto nobili bandiere, della sinistra, per chi ci crede.

- All’articolo 4 del decreto Abruzzo, il dl 39 il sindaco fece inserire tra gli enti a totale carico dello Stato, da recuperare con intervento diretto e immediato sapete cosa? L’Accademia dell’immagine di cui nel momento in cui chiede l’inserimento Cialente è presidente e il suo Assessore alla Cultura Ximenes direttore. Ebbene l’Accademia fu considerata priorità come i principali Enti ecclesiastici e le principali strutture dello Stato, neanche avesse prodotto la Gioconda di Leonardo. Altro che conflitto di interessi. Se lo avesse fatto Berlusconi, il sindaco avrebbe fatto i girotondi.

- Poi c’è la vicenda dei rifiuti. Cialente, allora commissario del centro storico, affida – senza gara – un appalto di 80 milioni di euro (cifra ricostruita dai giornali sulla base dei metri cubi) a una ditta che non risulta iscritta all’albo e quindi non può agire. Nelle polemiche salta tutto. Domando: è dilettantismo, distrazione oppure siamo di fronte a una gestione opaca della cosa pubblica?

- dei giorni scorsi è la vicenda dei MaR, moduli abitativi removibili. Un appalto di 40 milioni di euro. Viene ritirato dopo la protesta di alcuni consiglieri. Anche qui la gestione è opaca. Un imprenditore (Palmerini), tra gli altri, partecipa all’appalto con una terra che secondo il Piano stralcio difesa alluvioni è a rischio esondazioni. E tra i requisiti del bando c’è un maggior punteggio per chi ha un terreno con destinazione d’usa camping.

Poi non è stato attribuito il punteggio. Guarda caso l’imprenditore in questione ottiene questa licenza di destinazione d’uso un giorno prima della presentazione del bando. E guarda caso il tutto avviene in un momento di vacatio del titolare della polizia, in una fase di interim che dura pochi giorni, che si occupa di commercio, quindi camping. E il dirigente preposto alla valutazione del terreno è un dirigente della polizia. Mi risulta un accesso agli atti della procura. Molti parlamentari del Pd in questi mesi mi hanno chiesto delucidazioni. Dicono: ma così non se ne esce.

- Fin qui bibì cioè Cialente, poi c’è bibò, cioè Chiodi. Rischia di essere un caso nazionale alla Camera dei deputati. Chiodi al momento della sua elezione annunciò “guerra contro le lobby possenti e antiche che si oppongo al cambiamento”. E quando Bertolaso gli passò il testimone di commissario straordinario garantì – ricordo un’intervista fatta a me - “trasparenza, appalti, regole chiare”.

Ebbene pochi giorni fa anche Chiodi è stato protagonista di un episodio opaco: i soldi provenienti dallo svincolo dei Docup, destinati al terremoto – 16 milioni di euro – e i quasi sette milioni dell’assicurazione di palazzo Centi sono stati stanziati come mance post elettorali per appagare la fame del tramano e del pescarese (aeroporto di Pescara e i debiti dall’87 al 2002 dell’Arpa e di tutto). Poi fortunatamente la delibera è stata ritirata.

- E se bibì e bibò si occupano di tutto tranne che della grande politica, un altro dato lo considero inquietante. Perché per la guida della Struttura tecnica di missione (che ha preso il posto della protezione civile) si è scelta una figura certo di altro profilo, ma certo di un profilo caratterizzato come l’architetto Fontana, ex direttore generale dell’Ance Italia, l’associazione costruttori.

Per carità, nessuno discute la competenza. In un paese normale si sarebbe data ad alti funzionari dello Stato, il più lontani possibili, anche per formazione dalle lobby. Qui no. Ce di più. Gli organi di direzione politica sono commissariati. Il consiglio comunale è commissariato, non partecipa al processo di adozione e di approvazione dei provvedimenti di ricostruzione della città.

E quindi: Fontana li predispone, Cialente li firma, Chiodi concorda. Poi chi deve recitare la parte che è di sinistra, come Cialente, mentre con una mano firma, con l’altra aizza le carriole. Da un lato promette a Porta a porta che tra sei mesi si passeggerà a San Silvestro, dall’altro manca l’ordinanza sul centro e le linee guida di Fontana lo rimandano di un anno. Città in mano alle lobby, con l’opaca compiacenza della politica.

Questo quadro sta facendo riprendere fiato alle vecchie logiche di conservazione. O logiche da cricca. O qualcuno vuole dire che questa non è una logica da cricca? Tra un po’ aprirò il capitolo di come Stefania perde le elezioni perché sull’Aquila il plebiscito non c’è stato e paga le responsabilità di Cialente.

Prima voglio dire, da giornalista da aquilano e da riformista che una sinistra così neanche in Uganda. Diceva un grande intellettuale come Federico Caffè che un riformista non è di un sistema né l’apologeta né il becchino. Ma uno che identifica il cambiamento possibile. Ebbene dico: basta apologie e becchini. Berlusconi è stato bravissimo ed è demenziale continuare a dire che si doveva fare come in Umbria, visto che il sisma è quattro volte l’Umbria.

Ma non si può continuare a tessere le lodi di come è stata gestita l’emergenza senza pensare al domani. E basta becchini. Come la Guzzanti. A un comico che non fa ridere – ma che fa soldi sulle disgrazie – contesto l’assunto di fondo: nell’emergenza manca la democrazia. Propaganda. La democrazia non è nei pronti soccorsi, non è quando agiscono le forze dell’ordine, non è nell’emergenza.

3) Siamo all’inadeguatezza della sinistra. La sensazione è che il modello Friuli in Abruzzo non sia applicabile. Lì – lo ha ricordato l’ex presidente Biasutti sul Riformista – la ricostruzione avvenne su una linea chiara: prima le fabbriche, poi le case, poi le chiese. La missione c’era dopo il terremoto, perché c’era prima. E c’era una classe dirigente capace di portarla avanti, a partire dal presidente della regione e dai cento comuni che guidarono i progetti di ricostruzione.

In Abruzzo il modello è inapplicabile. Quando il governo stanzia i soldi per la ricostruzione, ma la politica locale, a differenza del Friuli, non ha indicato la rotta. Si batte cassa ma senza rotta. Mi colpì una cosa ai tempi del decreto Abruzzo. Al Senato Marini, Lolli, Legnini si impuntarono su un fatto: vollero un articolo che prevedeva che la ricostruzione sul lungo periodo – nel medio il progetto case era governativo – fosse gestita dagli enti locali. Via il governo dunque. Perché?

Secondo me è stato un errore strategico. Così come è stato sbagliato archiviare il capitolo new town banalizzando: “L’Aquila diventa pompei e attorno un insieme di palazzine”. No, la new town è un progetto di ricostruzione. Non di emergenza come è stato. È una città nuova. Si è privilegiato la ricostruzione dell’esistente. Io dico: comunque va fatta una città nuova: servizi, case sicure, trasporti, uffici da migliorare, nuova concezione dei luoghi pubblici, una città più avanzata.

Guardate che il terremoto non è come la guerra, che spinge verso il com’era, dov’era. Dresda. La guerra è legata al fattore umano, il terremoto ha in sé un elemento di imprevedibilità nel suo ripetersi nel tempo. Il coraggio è mancato e pure le idee.

E così c’è una new town dell’emergenza e basta. L’assenza di riformismo ha portato anche a una estinzione della sinistra. È chiaro che Stefania perde a causa anche delle opacità. Ma c’è di più. Con le amministrative si chiude un ciclo iniziato con il caso Del Turco. una sinistra non di governo è buona per essere messa su una carriola e rottamata. Giustizialismo e mancanza di progetti sulla ricostruzione hanno fatto perdere la sinistra riducendo il suo blocco sociale.

Su Del Turco la linea fu: rispetto per la magistratura disse Tenaglia, ministro ombra e forse portavoce dell’Anm. Ora che dalla “valanga di prove” abbiamo “una valanga di proroghe delle indagini” chiedo: perché uno di sinistra deve rispettare Trifuoggi? L’altro giorno il vicecapogruppo al Senato Nicola Latorre ha detto: “Su Del Turco abbiamo sbagliato”. Secondo me Ottaviano la ricostruzione l’avrebbe gestita meglio. Tra due anni si vota per il comune. Cialente andrà a casa. E faremo un convegno sul fatto che oggi è mancato il coraggio


Oroscopo del Giorno powered by oroscopoore