Malasanità, teramano muore in ospedale. Indagati 14 medici

18 Ottobre 2010   11:40  

Sono due test chiave, ma non sono stati mai eseguiti.

14 medici e anestestati finirono sotto inchiesta per il caso giudiziario del teramano Valeriano Mazzagatti. Mercoledì il caso torna in aula perché il pm chiede l’archiviazione ma il consulente medico della famiglia Mazzagatti scopre che i test chiave sulla morte in ospedale non sono stati fatti.

Due test quindi mercoledì all’Aquila riapriranno il caso giudiziario.

Doveva compiere 67 anni Valeriano Mazzagatti il 13 luglio del 2007 quando viene ricoverato all’Aquila, con una diagnosi di neoplasia, per essere sottoposto a un intervento in laparoscopia. Le operazioni però diventano sette, eseguite dalle equipe mediche di volta in volta composte da Mauro Di Marco, Daniele Centi, Zoi Gleni, Roberto Vicentini, Adelmo Antonucci, Giulio Mancinelli, Alessandro Ambrosio, con l’assistenza degli anestesisti Marcello Marotta, Daniela Lorusso, Francesco Vacca, Pierfrancesco Fusco, Giovanni Arrigoni, Sara Visconti e Fabrizio Marzilli.
 Gli interventi vanno avanti per 2 mesi dal 16 luglio al 26 settembre, e le condizioni del paziente peggiorano di giorno in giorno fino a diventare gravi  per una peritonite  che che, la sera del primo ottobre 2007, evolve in setticemia  e causa la morte del paziente, dopo quasi tre mesi di sofferenze.

Valeriano quindi morì per una infezione post operatoria. Ma il tratto di intestino asportato in uno dei sette interventi, a cui è stato sottoposto, e 800 cc di liquido scuro, non sono stati mai esaminati.

I parenti, assistiti dall’avvocato Gennaro Lettieri, chiesero allora di aprire l’inchiesta, e il gip, Giansaverio Cappa, dispone un incidente probatorio per stabilire se ci sia stata colpa professionale come causa diretta della morte di Mazzagatti.


Il giudice nomina i periti Vittorio Fineschi, dell’università di Foggia e Rocco Bellantone della Cattolica di Roma. Il 2 dicembre del 2008, Fineschi non si presenta all’inizio delle operazioni peritali, che dovevano svolgersi al policninico Gemelli di Roma e ancora il 26 gennaio del 2009 tutto si svolge in mezz’ora appena e senza la presenza del perito dei familiari, il dottor Gaetano Falcocchio


Sulla base della perizia di Fineschi, il 4 febbraio scorso il pm chiede d’archiviare l’inchiesta. Ma i parenti si oppongono. Lo fanno sulla base di un’indagine del proprio consulente.

Ed è la controperizia del consulente della famiglia a gettare pesanti ombre sulla vicenda.

Secondo la controperizia i periti non esaminarono il tratto d’intestino asportato in uno dei 7 interventi, quello del 22 luglio.

Ancora,dopo l’intervento del 21 luglio, i medici aspirano dal paziente 800 centimetri cubici di colore giallo bruno. Ma anche questi non vengono esaminati.

Secondo il consulente della famiglia, i due reperti avrebbero chiarito che a causare l’infezione mortale sarebbe stata una «soluzione di contunuo (una lacerazione, ndr) provocata al paziente durante il primo dei sette interventi, e colposamente ignorata».

Perché allora il professore Fineschi non avrebbe esaminato i reperti?

Il dottor Falcocchio e l’avvocato Lettieri rispondono così: «Inspiegabile superficialità dei periti, fattispecie processuale sconcertante»,

Il gip Marco Billi deciderà quindi mercoledì se riaprire il caso di presunta malasanità, disponendo un’indagine che chiarisca davvero la morte sospetta.


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